Se, nel 1994,
qualcuno avesse pensato che tangentopoli
fosse stata in grado di sradicare, dal sistema partitico, la metastasi della
corruzione e dell’affarismo, avrebbe semplicemente sottovalutato il diffuso
radicamento di siffatto malcostume nel bagaglio culturale e comportamentale
della politica italiana.
Dalla stagione di “mani pulite” sono trascorsi venti anni infettati
però, senza soluzione di continuità, dalle condotte criminose di politici di
ogni colore e livello.
A rendere ancora più
intollerabili i reati, oggi, è la constatazione che, mentre fino al 1994 i
politici delinquevano quasi tutti per procurare illeciti finanziamenti ai loro
partiti, negli ultimi anni i politici sono ricorsi sempre più al malaffare per procurarsi
utilità personali.
Non solo, ma la pratica
del delinquere si è così propagata che emergono reati di corruzione, per poche
migliaia di euro, anche in inaspettate situazioni del nostro quotidiano.
D’altra parte,
aldilà di proclami ipocriti e di sterili promesse elettorali, tutti i partiti
politici non hanno fatto nulla, in questi anni, per contrastare il malaffare ed
impedire il suo dilagare, assecondati dalla generale indifferenza di molti
italiani.
Anzi, non si deve trascurare
che proprio milioni di italiani si sono dimostrati così incuranti dei fenomeni
di corruttela e depravazione da avere eletto, più volte e senza vergognarsi, un
presidente del consiglio che vanta, nel suo curriculum, la corruzione
di giudici per addomesticare una sentenza, l’aver comprata la falsa
testimonianza dell’avvocato Mills in tribunale, la corruzione del senatore De
Gregorio per favorire la caduta del governo Prodi.
Insomma, con a capo
del governo un individuo di così provata disonestà era inevitabile attendersi che
si architettassero solo leggi per assecondare, o quanto meno indulgere di
fronte a modalità corruttive e di malaffare.
Un esempio per
tutte: la legge 61/2001 con la quale si è provveduto a depenalizzare il reato
di falso in bilancio e di cui lo stesso presidente del consiglio si è avvalso.
Per cui, se oggi,
alla luce degli scandali “Expò” e “Mose”, gli stessi inquirenti affermano di
trovarsi di fronte a circostanze molto più gravi di quelle affrontate con
tangentopoli, c’è da chiedersi quanto diffuso ed inquietante sia il marciume con
il quale convive il nostro Paese.
Si tratta, cioè, di milioni
e milioni di denaro pubblico dirottati nelle tasche di lestofanti che si
arricchiscono sulle spalle dei contribuenti.
Una stato di cose
così degenerato, ormai, che nessuno può illudersi di contrastarlo con il guanto
di velluto o con tocchi di fioretto.
In un certo senso ha
ragione Matteo Renzi quando afferma che chi
commette reati così infamanti e squallidi si macchia del reato di alto
tradimento.
Un tradimento, però,
prima ancora che dello Stato e delle Istituzioni, di tutti gli italiani onesti,
che lavorano, pagano le tasse e soffrono gli effetti di una crisi drammatica.
Ecco perché sarebbe un
grave errore illudersi di riuscire a combattere ed annientare, con la normale
routine investigativa e giudiziaria, il tarlo della disonestà che si è
saldamente insinuato in troppe delle teste che alloggiano nelle stanze dei
bottoni.
I farabutti, infatti,
sanno molto bene che grazie alle leggi permissive volute dai governi
berlusconiani, grazie ai tre gradi di giudizio, grazie alla buffonata dei
termini di prescrizione, difficilmente saranno condannati, ma di certo potranno
godere con serenità il frutto dei loro misfatti.
Per affrontare,
perciò, l’emergenza creata da decine, centinaia, e probabilmente migliaia di
reati di corruzione, concussione, collusione, peculato, commessi con il denaro pubblico,
cioè con il portafoglio dei contribuenti, occorrerebbe una sola legge, ma una
legge speciale che, per la sua durezza, servisse anche come deterrente per i
malintenzionati.
Una legge speciale
che, ad esempio, prevedesse:
- ricorso organico al rito del processo per direttissima collegiale;
- unico grado di giudizio con sentenza definitiva ed esecutività immediata della pena;
- inapplicabilità dei termini di prescrizione previsti per i vari reati;
- raddoppio delle pene massime indicate dalle leggi in vigore, ed esclusione di ogni forma di patteggiamento, sconto e riduzione;
- inappellabilità della sentenza;
- confisca di tutti i beni mobili ed immobili di proprietà del condannato, dei suoi parenti in linea retta e collaterale di 1° e 2° grado, oltre che del coniuge.
Già, ma figuriamoci se questa classe politica, che gozzoviglia
nei palazzi, possa accettare anche solo l’idea
di mettere un freno ai tanti farabutti con i quali bisbocciano spartendosi
poltrone e benefici.
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