Quando si ordisce
una congiura per eliminare un tiranno, un avversario politico, un capo troppo
dispotico, un pericoloso concorrente, e via dicendo, i congiurati sono convinti
che, in caso di successo, si possa ribaltare una situazione a loro sfavorevole,
illudendosi però che, in caso di fallimento, nella migliore delle ipotesi non
cambierebbe nulla.
La storia insegna,
invece, che non sempre si è verificata la “migliore delle ipotesi”, per cui il
fallimento di molte congiure ha provocato spesso la acutizzazione delle
situazioni avversate e, quasi sempre, nefaste conseguenze per i congiurati.
Molto probabilmente anche
Renzi e Berlusconi, quando si sono ritrovati al Nazareno, in quel sabato 18
gennaio 2014, per ordire la loro congiura, confidavano che in caso di fallimento
per loro non sarebbe cambiato nulla, dal momento che con quel patto segreto si
ripromettevano soprattutto la defenestrazione di Enrico Letta e del suo governo.
Infatti, se la cospirazione
avesse avuto successo, Renzi avrebbe soddisfatta la sua irrefrenabile ambizione
di conquistare Palazzo Chigi, mentre Berlusconi sarebbe risuscitato
protagonista della scena politica, pur se pregiudicato e radiato dal Senato.
In caso di
insuccesso, invece, Renzi avrebbe continuato a fare il sindaco di Firenze ed il
segretario del PD, e Berlusconi avrebbe proseguito a fare gli affari suoi, con
la condiscendenza del Tribunale di Sorveglianza.
Offuscati perciò dai
loro dissennati propositi, quei congiurati hanno ignorato che stavano giocando una
partita che metteva a rischio le sorti del Paese, da anni angustiato da una crisi
che aveva messe in ginocchio milioni di famiglie italiane.
Detto fatto.
Nel giro di pochi
giorni il Governo Letta fu liquidato, a Palazzo Chigi si arrampicò Matteo Renzi,
il “patto del Nazareno” divenne, di fatto, l’agenda di governo, e da quel
momento Berlusconi ha ripreso a pavoneggiarsi protagonista della politica
italiana.
Nel frattempo l’Italia
continuava a scivolare verso il baratro sotto i colpi di una crisi che sembra
non aver fine.
Di fatto il Paese
stava rinculando velocemente sulle posizioni critiche della estate 2011, quando
i mercati internazionali guardavano con apprensione all’Italia, lo spread si impennava,
i tassi di interesse sulle emissioni dei titoli di Stato crescevano, la BCE
dettava al Governo Berlusconi l’agenda delle cose da fare.
Stavano svanendo, in
pratica, gli sforzi che, nel biennio 2012-2013, erano stati fatti dai governi Monti,
prima, e Letta, poi, per rimettere in ordine i conti pubblici e permettere al
Paese di uscire dalla procedura di infrazione per debito eccessivo, avviata
dall’UE.
Sforzi che sono costati
amarissimi sacrifici agli italiani.
Sono bastati, però,
questi primi sette mesi del 2014, a riportarci indietro di tre anni, con lo
spread che ha ripreso a salire, il Presidente BCE, Mario Draghi, che ha richiamato
il governo a fare le riforme economiche senza le quali non ci potrà essere ripresa,
il PIL che ha confermato a fine giugno lo stato di recessione tecnica, l’agenzia
di rating Moody’s che ha riviste in termini peggiorativi le previsioni per il
nostro Paese.
Ai già inquietanti indicatori
sul tasso di disoccupazione, sul PIL, sulla stagnazione dei consumi, sulle
imprese che hanno cessata l’attività, sul rischio deflazione da Torino a Roma,
da Firenze a Bari, da Verona a Livorno, Bankitalia oggi “ci mette il suo carico da 11” rendendo noto che a fine giugno il
debito pubblico ha raggiunto il nuovo record di 2.168,4 miliardi con un incremento
di 100 miliardi nei soli primi sei mesi di questo anno, mentre le entrate
tributarie, nello stesso periodo, sono diminuite di circa 1,5 miliardi.
Un quotidiano
nazionale riporta indiscrezioni secondo le quali Giulio Tremonti, ministro del
tesoro del Governo Berlusconi nella drammatica estate 2011, sia così persuaso
che il Paese si ritrovi nella stessa situazione di tre anni fa da aver immaginato
che “la Troika è già a Vipiteno”.
Ebbene, in presenza
di uno scenario così drammatico e delle prevedibili infauste conseguenze che potrebbero
ricadere sull’Italia e sugli italiani che cosa emerge in queste ore ?
A candidarsi in
soccorso del Governo Renzi, è nientepopodimeno che Silvio Berlusconi, il quale propone
a Renzi di elaborare insieme le riforme economiche per fare uscire il Paese da
questa situazione.
Ma Berlusconi chi ?
È forse lo stesso
Berlusconi che era a capo del governo nell’estate 2011 ?
Lo stesso che non
riuscì neppure ad avviare le riforme che BCE gli aveva intimate formalmente e
con lettera “strettamente riservata” del 5 agosto 2011 ?
Lo stesso che, in
quelle angosciose settimane, andava in giro raccontando che non c’era crisi
perché i ristoranti erano pieni ?
Lo stesso che non aveva
capito che da anni la crisi stava flagellando gli italiani ?
Lo stesso che resosi
conto di non essere capace a raddrizzare quella situazione decise di fuggire
nottetempo da Palazzo Chigi mollando la patata bollente nelle mani di Mario
Monti ?
Ah vabbè, ma allora la sfiga ci perseguita !
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