Prima di salire
sulla scaletta dell’aereo che lo porterà negli USA per un’altra delle sue campagne
promozionali auto celebrative, Matteo Renzi ha voluto soffiare ancora una volta
sul fuoco dei contrasti con una parte del PD e con il sindacato.
Sono convinto che,
in realtà, l’art. 18 sia solo un pretesto di cui Renzi si serva per muovere i
primi passi nel solco della sua progettualità politica che mira a superare l’ossimoro
sinistra – destra, Partito Democratico – Forza Italia.
Ciò non significa
che lo Statuto dei Lavoratori, ed in particolare l’articolo 18, non siano reperti
archeologici da riporre nella teca di un museo, a ricordo del calabraghismo dei
vertici confindustriali, degli anni ’60, e della miopia politica e sindacale
dell’epoca.
Basta scorrere i
dati della disoccupazione in continuo aumento, del numero di soggetti da anni in
cassa integrazione (NdR: cosiddetta “cassa
integrazione a perdere”), della diffusione del precariato, per comprendere
che, di fatto, l’art. 18 è ridotto a sbiadito spauracchio per le imprese ed a totem
ideologico per sindacalisti e sinistroidi irriducibili.
Peraltro, l’art. 18,
non applicabile né alle aziende con meno di 15 dipendenti, né alle botteghe
artigiane, né ai Co.Co.Co., né ai Co.Co.Pro, né ai lavoratori con partita IVA, conferma
la già citata miopia politica e sindacale dei suoi padri, e comprova la sua asimmetria
con un aggregato occupazionale fortemente cambiato negli ultimi quaranta anni,
nel quale proprio le imprese a più elevato tasso di occupazione sono
ridimensionate anche per effetto delle delocalizzazioni.
Renzi, quindi, si serve
del “job act” e dell’art. 18 unicamente
come un grimaldello, per scardinare un sistema politico che vive da sempre sulla
contrapposizione tra sinistra e destra, per realizzare il suo vero obiettivo, un
modello di “partito personale” che appaghi il suo “ego”.
Come non leggere, in
queste parole di Renzi, riferite ai risultati delle recenti elezioni europee, una
spia del suo autentico modo di vivere la politica: “Io ho presi questi voti (NdR: il 40,8%) per cambiare l’Italia davvero”, ed ancora: “Non ho preso il 41% per lasciare il futuro del Paese a Mineo (NdR:
Corradino Mineo, senatore PD, rimosso dalla Commissione Affari Costituzionali
perché contrario alla riforma del Senato voluta da Renzi)” ?
Nella sua sconfinata
iattanza Renzi è convinto che il 40,8% degli elettori (NdR: il 40,8% dei soli votanti, pari al 58,69% degli aventi diritto)
abbia votato non il PD ma Matteo Renzi.
Come se il PD non fosse
esistito prima di lui, e come se il contributo, di tutti gli altri esponenti del
partito, al risultato elettorale fosse stato inesistente.
Una spocchia così sconclusionata
e ridicola da apparire infantile, pur se minacciosa per il futuro della nostra
democrazia.
Siamo in presenza, quindi,
di un disegno politico che legittima ipotesi imbarazzanti di futuri scenari.
D’altra parte, già
oggi è evidente che il governo del Paese sia nelle mani di due co-presidenti
del consiglio.
Per analogia
possiamo immaginare Palazzo Chigi come la vettura di una autoscuola, a doppia
guida, al volante della quale sia seduto un “apprendista premier” (Renzi) assistito, sul sedile accanto,
da un istruttore, ex-premier e scafato maneggione (Berlusconi).
Come avviene all’autoscuola,
è l’istruttore che sceglie la strada da percorrere, le manovre da eseguire, le
marce da inserire, quando accelerare o frenare.
Ora, se questo è il
percorso prescelto da Renzi, per realizzare il suo “partito personale”, o ha sottovalutati
con troppa faciloneria i rischi che farà correre al Paese, oppure sta solo
recitando un copione già scritto, fin da gennaio, dalla “tresca del Nazareno”.
Un copione che
prevede, ad esempio, che Renzi insista nel trattare con strafottenza una parte
del PD, partito di cui è segretario, per indurre molti parlamentari a votare
contro il “job act”, e rendere così
indispensabili, per la sua approvazione, i voti di FI.
E voilà, il gioco è
fatto !
Come ha già annunciato
nelle ultime ore Renato Brunetta, FI voterà il “job act”, ma se i voti di FI risulteranno determinanti, Renzi dovrà
aprire immediatamente la crisi di governo.
C’è da scommettere
che, a quel punto:
- gli irriducibili del PD e CGIL, per reazione, potrebbero promuovere un referendum per l’abrogazione del “job act”;
- dichiarandosi tradito da una parte del PD, Renzi avrebbe la scusa per chiamare a raccolta i renziani e dar vita al suo “partito personale”;
- come previsto dalla “tresca del Nazareno” Renzi e Berlusconi si accorderebbero per formare un nuovo governo di larghe intese, di cui Renzi continuerebbe ad essere co-presidente del consiglio;
- a Giorgio Napolitano potrebbero girare gli zebedei e dare finalmente le dimissioni;
- a Capo dello Stato verrebbe eletto un candidato su misura per concedere la grazia a Berlusconi.
Aspettiamo qualche settimana per sapere se
abbiamo vinta la scommessa !
1 commento:
E adesso rimarremo in balia di un burattino del PD che promette per non fare, un uomo che riesce a mantenere le sue promesse meno di quanto sa presentare un discorso in Inglese.
Posta un commento