sabato 17 marzo 2018

Una ciambella per uscire dallo stallo


Ci mancava solo il venticello parigino con i timori espressi da Angela Merkel ed Emmanuel Macron sui risultati elettorali del nostro Paese per rendere ancora più ingarbugliato ed incerto lo scenario politico italiano.
Non bastava, infatti, che nel firmare il decreto di scioglimento delle Camere, il Presidente della Repubblica avesse già avuto un sussulto rimuginando sul fatto che da lì a qualche settimana si sarebbe trovato a fare i conti con le conseguenze della oscena legge elettorale, il Rosatellum, che lui stesso aveva promulgata frettolosamente senza fare una piega.
Forse fu proprio quel sussulto a suggerire a Sergio Mattarella di aggrapparsi alla ciambella del governo Gentiloni.
Un salvagente però che, senza voler fare dietrologia, solleva non pochi dubbi.
Ad esempio, ieri il governo Gentiloni, eletto nella XVII legislatura da una maggioranza che non esiste più perché sbaragliata dal voto del 4 marzo, ha emanato il decreto attuativo della riforma carceraria senza recepire le modifiche sostanziali che aveva richieste la commissione giustizia del Senato.
Immediate le reazioni critiche al decreto da parte del M5S e della Lega, cioè delle due formazioni uniche vincitrici delle elezioni.
Come mai si è deciso di emanare, a pochi giorni dall’insediamento del nuovo Parlamento, un decreto che da mesi giaceva sul tavolo del CdM e che non ha alcuna chance di diventare subito operativo ?
Non è, per caso, che tramite questa scelta del governo Gentiloni il Capo dello Stato abbia voluto inviare un messaggio sibillino alle forze politiche affinché non si trastullino nel perder tempo con i loro giochetti post-elettorali ?
In altre parole, il Paese ha un governo nella pienezza dei suoi poteri ed è sostenuto dal Quirinale.
Un messaggio ancora più ricco di significato tenendo presente che anche la scadenza del 10 aprile si approssima rapidamente ed entro tale termine il governo sarà tenuto a presentare alle Camere il DEF (Documento di economia e finanza) per i tre anni successivi.
Si tratta, peraltro, di un documento composito sul quale l’UE valuterà e giudicherà lo stato di salute dei conti nazionali.
Ora, anche se il DEF non ha carattere vincolante, mi domando: è legittimo che il governo Gentiloni pianifichi spese ed investimenti per i prossimi tre anni senza coinvolgere le formazioni che hanno vinte le elezioni ?
Su questa situazione già di per sé ingarbugliata gravano anche le fitte nebbie che schermano le intenzioni di coloro che dovrebbero accordarsi almeno sulle prime scelte politiche.
Ad esempio, l’accordo tra Di Maio e Salvini per  la elezione dei presidenti di Camera e Senato, che fino a qualche ora fa sembrava vicino alla soluzione, è tornato in alto mare per le assurde pretese non di chi ha vinto, ma di un pregiudicato, spoglio di un qualsivoglia ruolo istituzionale, che ha clamorosamente perse le elezioni.
Una situazione che, al momento, sembra non offrire molte vie di uscita e che provoca di certo non pochi grattacapi a Sergio Mattarella, per sua natura non un decisionista.
Per uscire dalla impasse la soluzione potrebbe essere la conferma del governo Gentiloni per gestire il ritorno alle urne entro l’autunno, dopo che il Parlamento avrà approvata una nuova legge elettorale che escluda ogni forma di accrocchi e preveda un premio di maggioranza plausibile sotto il profilo costituzionale.
Ad osteggiare, però, questa che potrebbe essere la scelta più logica e risoluta per evitare uno stallo rischioso e nocivo, è prevedibile che si mettano in moto:
a.      la contrarietà a nuove elezioni del PD e FI che i sondaggi di questi ultimi giorni segnalerebbero in ulteriore caduta verticale a vantaggio di M5S e Lega che, invece, sarebbero accreditati di più ampi consensi;
b.      l’istinto di preservazione dei parlamentari appena eletti che difficilmente accetterebbero di decadere dopo pochi mesi dalla loro elezione;
c.      infine, certamente non ultima per autorevolezza, la contrarietà del Capo dello Stato che potrebbe vivere come un insuccesso personale il non riuscire a tradurre il risultato elettorale in un nuovo Esecutivo.

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