domenica 29 giugno 2014

Anche il Corsera, per i soldi, sa prostituirsi

Dopo aver tentato, con la latitanza a Beirut, di sfuggire ai sette anni di carcere, inflittigli con sentenza definitiva dalla Corte di Cassazione per “concorso esterno in associazione mafiosa”, è stato finalmente estradato in Italia e rinchiuso in una cella delle galere parmensi.
Il riferimento a Marcello Dell’Utri, protagonista di queste vicende, non è casuale.
Dell’Utri, infatti, amico fraterno di Berlusconi, ex senatore di Forza Italia, partito del quale è stato tra i padri fondatori, è l’individuo che dopo aver fatto assumere come “stalliere” nella villa San Martino di Arcore il mafioso e pluriomicida Vittorio Mangano, ha avuta la sfrontatezza di definirlo un “eroe” per non aver rivelati alla magistratura i rapporti che intercorrevano tra lo stesso Dell’Utri, il compare Berlusconi ed i vertici mafiosi.
Ebbene, da una sfrontatezza all’altra ecco che, nei giorni scorsi, i lettori del Corriere della Sera si sono imbattuti in una pagina a pagamento, con la quale, sotto il titolo “Al tuo fianco, Marcello”, decine di affettuosi fan del pregiudicato Dell’Utri gli esprimevano la loro vicinanza e solidarietà.
Un esempio vergognoso di come anche il quotidiano della borghesia italiana possa, di fronte al denaro, diventare strumento per il fiancheggiamento di pregiudicati, conniventi con la mafia.
A quando una pagina sul Corsera degli amici di Totò Riina o di Bernardo Provenzano ?
Tra i tanti italiani, sconcertati e turbati dalla prostituzione del Corsera, anche Antonio Vassallo, un consigliere comunale di Capaci impegnato nella lotta alla mafia, che si è rivolto ai “fiancheggiatori” di Dell’Utri con una lettera il cui testo desidero proporre ai lettori di questo blog. 
(Ndr: la lettera di Vassallo è stata pubblicata su Huffington Post del 27 giugno 2014).

*  *   *

"Cari "fiancheggiatori" di Marcello dell'Utri, mi chiamo Antonio Vassallo, sono un consigliere comunale di Capaci. Dopo aver letto la vostra pagina a pagamento, sul Corriere della Sera, con la quale avete sentito il dovere di esprimere vicinanza al vostro amico e capo, sento anch'io il dovere di ricordarvi che Marcello dell'Utri non è stato condannato per non avere saputo amministrare bene Publitalia o per avere falsato qualche partita della Bacigalupo calcio.
Non entro nel merito dei sentimenti di quanti di voi conoscono e vogliono mostrare la loro vicinanza a una persona detenuta, ci tengo a ricordarvi che Marcello Dell'Utri è stato messo in galera perché condannato a sette anni, a titolo definitivo, per concorso esterno in associazione mafiosa, per avere avuto rapporti con chi nel nostro Paese, dalla Sicilia alla Lombardia, ha seminato terrore e sangue, uccidendo bambini, uomini e donne.
Dite che nulla può cambiare il vostro giudizio su chi ha contribuito a far crescere il nostro Paese. Perché non lo dite ai tanti ragazzi italiani disoccupati che non hanno mai voluto vendere la propria dignità per un lavoro? Ditelo ai familiari delle vittime di Mafia. Ditelo ai familiari di tutti i giornalisti che sono stati ammazzati da Cosa Nostra.
Vi ho scritto queste righe pensando a tutti gli italiani molto diversi da voi, che ancora amano coltivare il senso dell'indignazione, che vorrebbero dire - non attraverso le pagine di un quotidiano ma guardandovi in faccia - che chi ha favorito la Mafia ricoprendo il ruolo di Senatore è due volte Colpevole e va allontanato.
Potevate fare sentire la vostra "vicinanza e affetto" al vostro Marcello privatamente e invece, da maestri della comunicazione quali siete, avete voluto scegliere di farlo così, pubblicamente, sapendo bene che certe iniziative possono trasformarsi in pericolose interferenze su indagini in corso e contribuire a creare un clima di discredito nei confronti dei magistrati e degli uomini delle forze dell'ordine impegnati contro la mafia.
L'averlo fatto in modo così plateale è davvero inquietante, imbarazzante ed offensivo, in una Italia fatta da tante persone che vorrebbero comprare dieci pagine di tutti i quotidiani d'Italia per scrivere che la mafia è una gran montagna di m****, e che uomini come Il vostro "fiancheggiato" vi hanno costruito sopra le loro fortune politiche, compromettendo il futuro di molti territori Italiani. A Marcello Dell'Utri mi sento di dire molto umilmente di scontare serenamente i sette anni di prigione e al suo rilascio, di tornare tra la belle persone (quelle che forse non ha mai frequentato) quelle pulite, quelle che credono e operano ogni giorno inneggiando alla bellezza per farsi contagiare".

sabato 28 giugno 2014

Renzi naviga a vista in un mare procelloso

Assistendo allo streaming dell’incontro tra la delegazione del M5S e quella del PD, capitanata da Matteo Renzi, mi è sembrato che, aldilà delle scontate parole di compiacimento, Renzi si trovasse a disagio.
A metterlo in difficoltà, forse, l’incertezza del suo ruolo in quei momenti.
Probabilmente era lacerato da un dilemma: ma a questo incontro sto partecipando come segretario del PD oppure come Presidente del Consiglio ?
Una perplessità tutt’altro che banale, proprio per la diversa risonanza che i suoi atteggiamenti e le sue parole avrebbero avuto sulla scena politica.
Renzi, cioè, era in difficoltà per il timore di dire o fare qualche ammissione o concessione, al M5S, che risultasse indigesta al suo sodale e partner Berlusconi.
Infatti, per tutto il tempo l’ombra del “patto del Nazareno” ha aleggiato su Renzi fino a rendere le sue parole stucchevoli, da un lato, e sfuggenti, dall’altro.
Ad esempio, mi è sembrato fastidioso ed irritante che Renzi abbia ripetuto ai rappresentanti grillini, come un mantra, che la nuova legge elettorale dovrà garantire la “governabilità”.
Mi sembra inevitabile che risulti fastidioso ed irritante chiunque voglia prendere per i fondelli gli italiani raccontando loro la favola della “governabilità”.
Ora, Renzi ripete a pappagallo che, per lui, è irrinunciabile poter conoscere, poche ore dopo la chiusura dei seggi, chi abbia vinte le elezioni, e fino a qui nulla da eccepire.
Chiunque abbia un po’ di buon senso, però, può rendersi conto che Renzi sia in stato confusionale quando pretende di far credere che la “certezza della vittoria elettorale” produca come effetto garantito la “governabilità”.
Può darsi che, su questa ambiguità non semantica ma sostanziale, anche Renzi nutra qualche inconfessata perplessità se, alle reiterate osservazioni con cui Di Maio lo incalzava, è sgusciato via senza mai rispondere.
D’altra parte anche lui sa che, da che mondo è mondo, le elezioni le ha sempre vinte il partito od il candidato che ha ottenuto un voto in più dei suoi contendenti.
Perfino in Italia questo è potuto accadere in tutte le tornate elettorali, politiche, amministrative, europee, a dispetto dei miscredenti.
E’ altrettanto vero, però, che in Italia non sempre la vittoria elettorale abbia garantita al vincitore la possibilità di governare stabilmente.
È stato così per il primo Governo Berlusconi (10 maggio 1994 – 17 gennaio 1995), per il primo Governo Prodi (18 maggio 1996 – 21 ottobre 1998), per il secondo Governo Prodi (17 maggio 2006 – 7 maggio 2008), per il quarto Governo Berlusconi (7 maggio 2008 – 16 novembre 2011).
La storia documenta, cioè, che a causare la “non governabilità” non siano state le leggi elettorali, bensì le coalizioni messe insieme soltanto per fare massa critica, senza il collante di valori e programmi comuni.
Poiché anche l’Italicum prevede la partecipazione di coalizioni elettorali, quanti ancora si ostinano ad accreditare l’Italicum della garanzia di “governabilità”, dimostrano di essere in malafede, oppure di possedere uno scarso quoziente intellettivo.
Si è in presenza, tra l’altro, di una legge elettorale che, oltre a dare il via libera a raffazzonate coalizioni ed a sconsiderati premi di maggioranza, espropria l’elettore del diritto sacrosanto di scegliere con le preferenze i propri rappresentanti.
Ciò nonostante, però, Renzi sembra non poter fare a meno di esibirsi in fregnacce come la “governabilità”, pur di difendere l’Italicum che Berlusconi gli ha dettato, parola per parola, nel loro tête-à-tête al Nazareno.
Ecco perché, preso in contropiede dal M5S, Renzi ha accettato il confronto con i pentastellati sulla legge elettorale solo per non sputtanarsi dopo che, urbi et orbi, aveva proclamato di voler fare le riforme con la partecipazione di tutti.
Il suo imbarazzo, però, di fronte alle proposte della delegazione pentastellata è apparso evidente.
Renzi era angosciato dalla preoccupazione che ogni sua apertura, pur minima, al M5S avrebbe scatenate le ire di Berlusconi e dei suoi lacchè.
Il che, del resto, si è verificato puntualmente.
Anche per questo non sono necessarie doti di chiaroveggenza per prevedere che il confronto tra PD, Renzi ed il M5S, sul percorso delle riforme, si sia esaurito in realtà ancor prima di iniziare.
Tra le pieghe del “patto del Nazareno”, infatti, potrebbero esserci intese in grado di condizionare la libertà e le scelte di Renzi anche come capo del governo.
E’ facile prevedere, perciò, che ad approfittare di questo pastrocchio sarà Beppe Grillo che, ancora una volta, non si lascerà sfuggire l’occasione per vomitare nuovo fango su Renzi e sui fumosi accordi che lo legano a Berlusconi ed a Forza Italia.

martedì 24 giugno 2014

Signor Renzi le scrivo, così mi rilasso un po’

Signor Renzi, buongiorno !
Sarei di più a mio agio se potessi dirle a voce, vis-à-vis, ciò che sto per scrivere, almeno potrei divertirmi nel decifrare la ipocrisia che trapelerebbe dalle sue smorfie.
Siccome, però, non sono altro che un semplice uomo della strada non avrò mai la possibilità di dire con franchezza, ad un “potente” come lei, quali reazioni e sensazioni provochino in me certe dichiarazioni e certi atteggiamenti.
Comunque bando alle ciance, voglio raccontarle l’incazzatura di oggi.
Premetto che sono perfettamente al corrente di quanto lei sia impegnato nel volare da Hanoi a Parigi, da Pechino a Berlino, da Astana a Bruxelles, sospinto dall’ansia di costruirsi una parvenza di internazionalità.
Per noi italiani, però, sta diventando un problema il fatto che lei abbia affidate le faccende del nostro Paese alle giovani mani di un team, ben addestrato ad assecondare la voce del padrone, ma ancora inesperto, ad esempio, nel comprendere che una semplice virgola, posta prima o dopo una parola, possa cambiare il significato anche di un pensiero complesso ed importante.
Così, mentre lei è in giro per il mondo, con il passare delle ore va montando il pasticciaccio della riforma del Senato, in  cui è stata inserita l’immunità per coloro che dovrebbero occupare gli scranni senatoriali post-riforma.
Che si tratti di una porcata colossale lo evidenziano i tentativi di tutti i protagonisti di scaricarne su altri la responsabilità.
Per primo a tirarsi indietro è stato il ministro Maria Elena Boschi dichiarando “Il Governo non la voleva”, seguita a ruota dal senatore Paolo Romani che ha affermato “Forza Italia non c’entra con l’immunità”, il che sembrerebbe confermato da uno dei firmatari della proposta, il leghista Calderoli.
Fatto sta che, anche se di soppiatto, qualcuno deve aver pur inserita la vergognosa immunità in quel testo, poi diffuso con il taciturno ed ottuso consenso di coloro che avevano preso parte ai lavori della Commissione Affari Costituzionali.
Che sia la solita manfrina dello scaricabarile lo si deduce anche dalle parole di Anna Finocchiaro, Presidente della Commissione Affari Costituzionali: “Il Governo ha vistato due volte i nostri emendamenti, compreso quello sull’immunità. Conosceva il testo, sapeva tutto. Ha fatto una scelta”.
Ecco, proprio le parole, “ha fatto una scelta”, mi hanno mandato in orbita, spinto dal vorticoso roteare delle pal(l)e dell’elicottero.
Ma come, signor Renzi, nel nostro Paese, appestato dal malaffare di politici, amministratori pubblici e funzionari dello Stato, in cui ogni giorno salta fuori un nuovo scandalo, lei sceglie di concedere l’immunità agli amministratori che la sua riforma trasformerebbe in senatori per qualche giorno, durante l’anno?
Cioè, se ho ben capito, lei avrebbe deciso di garantire, ai senatori part-time, lo scudo dell’immunità fruibile anche per le attività svolte come amministratori locali ?
Signor Renzi, mi scusi ma è inquietante e preoccupante che lei, capo del governo, dia prova di così tanta insensatezza e cinismo, confermati dalle parole che lei ha dette ai suoi collaboratori: “… se l’immunità diventa un problema la si toglie”.
Signor Renzi, ma lei c’è o ci fa ?
Cosa cavolo le svolazza nella testa ?
L’immunità va cancellata dalla riforma del Senato, e non solo, perché è semplicemente una schifezza, tout court, e non soltanto qualora dovesse diventare un problema per far passare la riforma.
Ma lei lo sa che se, alla vigilia delle elezioni europee, avesse manifestata la stessa ambiguità a proposito degli scandali EXPO’ e Mose, non avrebbe ottenuto il voto di molti elettori ?
Ma tant’è, lei sta turlupinando spudoratamente gli italiani, per pagare quelle cambiali che ha firmate a Berlusconi in cambio dell’aiuto per arrivare a Palazzo Chigi.
Tra gli italiani presi in giro ci sono, però, anche quei milioni di elettori il cui voto europeo l’ha fatto godere e l’ha illuso di essere il dominatore della scena politica.
Faccia molta attenzione, signor Renzi, perché quando si accorgeranno degli inciuci che la avvinghiano al pregiudicato di Arcore, gli elettori la scaraventeranno giù dal piedistallo.
Sarò sincero, del fatto che per lei possa essere doloroso capitombolare dalla poltrona di Palazzo Chigi, nun me ne po’ frega’ de meno.
Mi preoccupa molto, invece, che gli italiani stiano gettando alle ortiche un’altra occasione per risollevarsi dalla rovinosa situazione in cui li ha fatti precipitare questa classe politica.
Per questo signor Renzi, la smetta di giocare a fare il premier e di sentirsi soddisfatto come il bambino che ce l’ha fatta a rubare la marmellata.
L’Italia, questa Italia ha bisogno di un Governo serio, capace, consapevole delle difficoltà reali del Paese.
Concludo queste righe con un freddo e formale saluto, perché non me la sento proprio di battere il cinque con lei. 

domenica 22 giugno 2014

Riforme raffazzonate … ma bisogna fare presto

C’è qualcosa, in questa ossessiva ansia da riforme di Matteo Renzi, che lascia perplessi e suscita sospetti.
È di queste ore la conferma che tra PD, Forza Italia e Lega si sarebbe raggiunto l’accordo sulla possibile riforma del Senato.
Ci sono buoni motivi perché appaia maleodorante di raffazzonato palliativo la fulminea diffusione di questa notizia, pochi giorni prima che si svolga l’incontro, sollecitato al Presidente del Consiglio dal M5S, tra una delegazione grillina e quella del PD.
Sorprende il riscontrare che, fino a poche ore prima, i disaccordi espressi da autorevoli esponenti di Forza Italia, escludessero la possibilità di un qualsiasi accordo a breve.
I forzisti, ad esempio, consideravano indigeribile l’ipotesi, proposta dal Governo, di una consistente presenza di sindaci nella composizione del Senato, presenza che, secondo loro, avrebbe “colorato di rosso” il nuovo Senato.
Si trattava, evidentemente, di una contestazione buttata là e campata in aria, perché avrebbe significato la tacita ammissione di una incapacità perenne di Forza Italia ad imporsi, a livello locale, con propri sindaci.
Ai forzisti risultava anche indigesta la ipotizzata presenza nel futuro Senato di senatori nominati dal Capo dello Stato.
Quindi, cosa può essere successo, nel giro di poche ore, per sciogliere come neve al sole i dissensi forzisti ?
Di certo, ad indurre Berlusconi ed i suoi portaborse ad abbassare la cresta, deve aver contribuito il rischio che, nei prossimi giorni, il M5S potesse sedersi al tavolo delle riforme ed offrire a Renzi l’opzione per mandare in soffitta il “patto del Nazareno”.
Infatti, per Berlusconi sarebbe intollerabile non poter salire da protagonista sul carrozzone delle riforme, per almeno due buoni motivi.
Innanzitutto, come lui stesso ha dichiarato, perché Berlusconi vive la sua partecipazione al processo di riforme solo come “cavallo di Troia” per ottenere, in cambio, un provvedimento di grazia che lo affranchi definitivamente dai suoi guai giudiziari.
E poi perché, nel caso l’intervento del M5S mandasse in soffitta il “patto del Nazareno”, Matteo Renzi potrebbe sentirsi esonerato dal pagare, a Berlusconi, le cambiali ancora in scadenza, ad esempio, sulla riforma della giustizia.
Ed a proposito della chiara volontà di avversare leggi e giustizia, non può essere di certo casuale il fatto che, nella rimaneggiata riforma del Senato, sia stato intrufolato l’istituto della “immunità” per soggetti che, in quanto amministratori locali, non godono oggi di questa prerogativa medioevale e feudale, ma che domani, se eletti senatori ne potrebbero godere anche per gli atti amministrativi compiuti, sul territorio, nell'esercizio del loro ruolo di consiglieri regionali e sindaci.
Una scelta inaudita in presenza di un malaffare della politica che sembra inarrestabile !
Poiché però il testo proposto dal Governo non la prevedeva, è lecito pensare che l'immunità sia stata infilata alla chetichella da Forza Italia, un partito che fin dalla costituzione si è distinto per il suo impegno prioritario nel garantire l’impunibilità a corrotti e corruttori, faccendieri e maneggioni, camorristi e mafiosi, etc.
Come uomo della strada mi domando: non è immorale che il Governo Renzi avalli la introduzione della immunità proprio per amministratori locali che, ad esempio, coinvolti negli scandali EXPO’ e Mose, potrebbero essere salvati dai loro partiti con l’elezione nel Senato delle Autonomie ?
Mi domando anche: è l'introduzione dell'immunità la ragione che ha indotti PD e Forza Italia a stringere i tempi per l'accordo sulla riforma del Senato, onde evitare che il possibile inserimento del M5S mandasse a puttane questa deplorevole infamia ? 

martedì 17 giugno 2014

Casaleggio e Grillo in mimetica da guastatori

Quando i media hanno diffusa la notizia che Casaleggio e Grillo avevano data la loro disponibilità, a Matteo Renzi, per discutere di riforme, come molti altri anch’io sono rimasto di stucco prima ancora che sorpreso.
Non ho ancora dimenticato, infatti, l’assurdo incontro di febbraio in cui uno spocchioso Grillo si rivolgeva a Renzi con parole tutt’altro che civili, del tipo: “tu rappresenti un potere marcio e non abbiamo nessuna fiducia in te”“provo totale indignazione per quello che tu rappresenti”“tu non meriti la mia stima”“sei una persona non credibile”, "non ho tempo da sprecare con te", etc.
Nelle settimane successive a quell’incontro, Grillo ha continuato a latrare ingiurie, volgarità, calunnie nei confronti di Renzi.
Come non restare sbigottiti, perciò, di fronte a questo improvviso slancio, verso un Renzi così deprecabile, da parte del dominus Casaleggio e del suo liberto Grillo?
A prima vista mi era sembrato un indecifrabile rompicapo, poi ho incominciato a leggerlo come il malcelato tentativo di tendere una trappola, a Renzi, sul percorso delle riforme, e non solo.
Perbacco, mi sono detto, non sarà che dopo il successo ottenuto dal PD alle elezioni europee ed il flop dell’hashtag grillino #vinciamonoi, i due infidi, Casaleggio e Grillo, abbiano indossata la mimetica per camuffarsi da guastatori e tentare di boicottare l’azione di Renzi e di incrinarne la credibilità ?
Ricordando, però, che Edoardo III, mentre raccoglieva la giarrettiera della Contessa di Salisbury aveva sentenziato “honi soit qui mal y pense!”, e non volendo vergognarmi per aver pensato male di Casaleggio e Grillo, sono corso a leggere il loro post per cercare possibili spiegazioni a questo strano voltafaccia.
Come prima bizzarria ho riscontrato che, dopo averlo denigrato per mesi come rappresentante di un “potere marcio”, come persona immeritevole di stima, come individuo non credibile, il burattinaio ed il suo burattino hanno deciso, all’improvviso, che Renzi fosse diventato un interlocutore affidabile solo “perché legittimato dal voto popolare” delle elezioni europee.
Una ridicolaggine ! Poteva bastare il risultato delle urne per redimere Renzi da tutte le nefandezze di cui Grillo lo ha accusato ?
Evidentemente, però, era necessario riabilitare Renzi prima di poterlo attirare nella trappola.
E la trappola, infatti, è scattata con l’indurre i media a diffondere una balla colossale.
Nel post, pubblicato sul blog di Grillo, si legge a chiare lettere: “se Renzi ritiene che la legge M5S possa essere la base per una discussione comune … batta un colpo. Il M5S risponderà”.
I due furbastri, Casaleggio e Grillo, perciò non si sono detti disponibili ad un confronto con Renzi sulle riforme; loro stanno semplicemente invitando Renzi a discutere della loro proposta di legge elettorale e niente altro.
Una legge elettorale che, a quanto dicono, sarebbe stata votata online dai circa 20/30 mila “iscritti” virtuali del M5S.
La solita carnevalata, e non solo perché si tratterebbe della proposta votata da “iscritti” virtuali del M5S, ma soprattutto perché il numero di questi “iscritti” virtuali avrebbe meno peso rappresentativo di quello degli abitanti di un qualsiasi popoloso caseggiato di Milano o Torino.
A rendere ancora più ridicolo il loro “generoso” invito, però, ecco che Casaleggio e Grillo nel post fissano una condizione: l’esito dell’eventuale confronto “dovrà comunque essere ratificato dagli iscritti al M5S”.
A questo punto è ragionevole domandarsi: ma il burattinaio ed il burattino ci sono o ci fanno ?
Cioè, dato e non concesso che il premier Renzi accetti l’invito e si trovi perfino d'accordo sulla legge elettorale del M5S, la sua decisione di capo del governo, dovrebbe essere ratificata da quei 20/30 mila virtuali “iscritti” del M5S ?
A concepire una tale scempiaggine non poteva essere che un fuori di testa come Grillo !
L’impressione è che, dopo aver sbraitata ai quattro venti la certezza di stravincere le elezioni europee, dopo aver promessa ai grullini una marcia su Roma con assedio del Quirinale e dimissioni del Capo dello Stato, dopo aver assicurato lo scioglimento immediato del Parlamento, Casaleggio e Grillo si siano ritrovati a fare i conti con il flop elettorale, con i maldipancia dei grullini frustrati, e con il sempre più rischioso isolamento politico.
Cosa fare, allora, se non tentare il recupero minando il credito e la popolarità di colui che li aveva ridicolizzati agli occhi degli italiani e degli stessi grullini?
A Casaleggio e Grillo, infatti, per ridare fiato ai loro schiamazzi basterebbe che Renzi stesse al gioco, accettasse l’incontro ma non condividesse la legge del M5S.
Nell’ipotesi, invece, che Renzi non accogliesse l’invito, Casaleggio e Grillo avrebbero sicuramente molti altri pretesti per schiamazzare.
Ma se, per caso, riuscissero ad ottenere da Renzi anche un solo flebile cenno di assenso alla legge proposta dal M5S, Casaleggio e Grillo avrebbero una chance favolosa per far dimenticare ai grullini il flop elettorale e tornare ad essere spocchiosi ed insolenti come sempre.
È evidente, infatti, che la trappola sia stata ideata in modo che qualunque cosa faccia Renzi, i due furbastri possano trovare spunti per cercare di uscire dal pantano in cui si sono cacciati, a meno che…
Appunto, a meno che Renzi non sia così abile da mettere in atto una contro-trappola, ad esempio ponendo lui come condizione che siano Casaleggio e Grillo, prima dell’incontro, a dare la loro disponibilità per un confronto a tutto campo sull’intero processo di riforme.
In questo caso le mimetiche da guastatori si scolorirebbero !

domenica 15 giugno 2014

La “NON” giustizia fa anche sorridere

Solo tra una quindicina di giorni saranno rese pubbliche le motivazioni del disposto con cui il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria ha decisi gli arresti domiciliari per Claudio Scajola e, invece, la custodia in carcere per  Chiara Rizzo.
Sono accusati entrambi di aver favorita la latitanza di Amedeo Matacena, marito di Chiara Rizzo ed ex deputato di Forza Italia, condannato con sentenza definitiva a cinque anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Infatti, dal 6 giugno 2013, giorno in cui la Corte di Cassazione ha emessa la sentenza definitiva, il pregiudicato Matacena è latitante a Dubai.
Secondo i magistrati di Reggio Calabria, sarebbero stati la moglie, Chiara Rizzo, ed il suo compagno di partito ed ex ministro Claudio Scajola ad averne favorita e mantenuta la latitanza.
Dopo aver appresa e seguita questa vicenda attraverso i media, la decisione del Tribunale della Libertà ha provocato in me, uomo della strada, non solo stupore, ma anche il sospetto che, in Italia, si sia affermato ormai il postulato che la giustizia NON debba essere uguale per tutti.
Oddio, il sospetto si era già insinuato in me, come un tarlo, scompigliando le mie reminiscenze di codici e pandette, quando un altro tribunale, quello di sorveglianza di Milano, aveva convertito in un ridicolo servizio sociale, di quattro ore settimanali, l’anno residuale di detenzione che un altro pregiudicato, Silvio Berlusconi, avrebbe dovuto scontare, a seguito della condanna definitiva per frode fiscale.
In verità, se fino ad ieri poteva essere solo un sospetto, da oggi, con la decisione del Tribunale della Libertà, temo che il sospetto si sia trasformato in evidenza.
Trovo inquietante, infatti, apprendere dai media che nei confronti di Chiara Rizzo e Claudio Scajola, accusati entrambi di aver aiutata la latitanza di un pregiudicato, il magistrato non solo abbia adottati due provvedimenti differenti, ma ne abbia addirittura invertita la gravità.
Mi riferisco al fatto che Chiara Rizzo abbia si facilitata la fuga ed aiutata la latitanza di un pregiudicato, ma si trattava pur sempre di suo marito, condizione questa che dovrebbe essere considerata come una attenuante, umanamente comprensibile e giuridicamente valida.
Invece no, per Chiara Rizzo il magistrato ha disposto la permanenza in carcere.
Lo stesso magistrato, però, ha disposti gli arresti domiciliari per Claudio Scajola che, obiettivamente, nella latitanza di Amedeo Matacena ha svolto un ruolo più composito, compromettendosi in iniziative ed atti sicuramente più gravi.
Scajola, infatti, non solo ha agevolata fin dall’inizio la latitanza ma, servendosi delle relazioni internazionali intrecciate come ex ministro del governo Berlusconi, ha cercato di organizzare il trasferimento di Matacena da Dubai in Libano e di fargli ottenere una condizione personale che lo mettesse al riparo dalla richiesta di estradizione.
Scajola ha giustificati agli inquirenti i suoi laboriosi maneggi sostenendo che, trattandosi di un amico e compagno di partito, aveva avvertito come suo dovere aiutare la latitanza di Matacena.
C’era da attendersi, forse, che queste spiegazioni costituissero delle aggravanti, sennonché l’ex sindaco di Imperia, ex deputato ed ex ministro, Claudio Scajola, negli ultimi giorni ha confessato di essere stato indotto ad aiutare il latitante Matacena anche da una infatuazione per la signora Rizzo.
Ohibò ! Vuoi vedere che, turbato da questa motivazione romantica, il magistrato ha voluto punire la ignara seduttrice e lenire, invece, le sofferenze di quel meschinello sedotto e non ricambiato?
Perlomeno, questa è la interpretazione con la quale vorrei dare un senso alla strana decisione del Tribunale della Libertà.     

venerdì 13 giugno 2014

La porcata parlamentare del voto segreto

Non è la prima volta, e probabilmente non sarà neppure l’ultima, che in questo blog manifesto il mio disprezzo per la vigliaccheria dei parlamentari che nascondono i loro pensieri e le loro azioni dietro lo scudo del voto segreto.
Un voto segreto al quale i regolamenti parlamentari, di Camera e Senato, consentono di ricorrere in troppe circostanze, su richiesta di trenta parlamentari  o dei capigruppo.
Questo istituto, che i padri costituenti vollero come momento di continuità con lo Statuto Albertino del 1848 per “proteggere e garantire la libertà e l’autonomia dei parlamentari”, troppo spesso si è trasformato in strumento di gretta lotta politica.
Ora, l’idea che, per sentirsi liberi ed autonomi nel gestire il mandato ricevuto dagli elettori e nel manifestare il proprio pensiero, i parlamentari abbiano bisogno di imboscarsi nel voto segreto, non solo mi avvilisce, come cittadino elettore, ma ancor più mi induce a provare disistima e diffidenza nei confronti di coloro che dovrebbero rappresentarmi.
È risaputo che, molte volte, il voto segreto sia servito ai partiti di opposizioni per tendere trabocchetti alla maggioranza o per far emergere divergenze tra i partiti al governo.
Quando è accaduto si è avuta solo la conferma, comunque, che in Parlamento c’è una masnada di codardi che non ha il coraggio e l’onestà morale delle proprie idee e scelte politiche.
Ecco perché, a me cittadino elettore il voto segreto sembra proprio una porcata, anche se statuito dai padri costituenti e previsto dai regolamenti parlamentari.
Perché mai, come cittadino e come elettore, non posso conoscere se quel parlamentare che mi rappresenta, perché eletto anche con il mio voto, stia tramando per far cadere il governo ?
Perché non devo essere informato se chi mi rappresenta sta votando a favore, o contro la richiesta di autorizzazione all’arresto di un deputato colluso con la mafia, o di un senatore che ha arraffate mazzette?
Perché con il voto segreto mi deve essere impedito di sapere cosa pensa delle problematiche etiche colui che rappresenta anche me ?
Perché il voto segreto deve rendermi impossibile conoscere se si comporti da troglodita, chi mi rappresenta, boicottando il processo di riforme necessario per rinnovare il mio Paese ?
Il rosario dei perché potrebbe proseguire all’infinito, soprattutto perché, come cittadino elettore, ho il diritto sacrosanto di sapere se il modo di agire, le scelte e le propensioni di quella persona, che siede in Parlamento, anche con il mio voto, rispondano alle mie aspettative o, piuttosto, obbediscano ad inciuci ed intrighi intollerabili.
Da ieri, ad esempio, vorrei poter conoscere nome e cognome di quei 40, 60 o più “franchi tiratori” che, da codardi, si sono avvalsi del voto segreto per approvare l’emendamento leghista alla legge comunitaria sulla responsabilità civile dei magistrati.
Vorrei che questi individui spiegassero, a me ed a tutti gli italiani, se lo hanno fatto perché intimamente convinti, oppure solo per mandare un messaggio intimidatorio ai magistrati che stanno scoperchiando le sconcezze di “Expò” e “Mose”, od ancora più semplicemente come avvertimento a Matteo Renzi perché la smetta di insistere nel riformare il Paese.
Era il 1947 quando, in sede costituente, l’onorevole Moro propose l’abolizione del voto segreto affermando che “da un lato tende ad incoraggiare i deputati meno vigorosi nell’affermazione delle loro idee e dall’altro tende a sottrarre i deputati alla necessaria assunzione di responsabilità di fronte al corpo elettorale per quanto hanno sostenuto e deciso nell’esercizio del loro mandato” (Cfr: Atti Assemblea Costituente, seduta del 14 ottobre 1947).
Evidentemente, con 67 anni di anticipo, l’onorevole Moro aveva già intuito che le magagne del voto segreto lo avrebbero ridotto ad una odiosa porcata parlamentare.

giovedì 12 giugno 2014

La perfidia dei ballottaggi

Dopo che le urne elettorali sono state dissigillate anche in Sicilia, il voto amministrativo è passato al vaglio di politici, commentatori, analisti.
Gli addetti ai lavori si infervorano in commenti che esaltano chi avrebbe vinto e, per contro, gettano la croce su chi avrebbe perso.
Personalmente preferisco usare il condizionale perché, a differenza dei campi di calcio, dai quali ogni squadra esce con la certezza di un risultato sia esso 1, x o 2, nel caso delle elezioni, soprattutto amministrative, a chiunque è consentito lasciarsi andare a fantasiose letture ed interpretazioni.
Già l’eventualità di un primo e secondo turno genera, di per sé, dinamiche di voto anche molto diverse a soli quindici giorni di distanza.
Al primo turno, infatti, l’elettore vota, di solito, il candidato che conosce, di cui ha sentito parlare, o che, comunque, è stato designato dalla forza politica nella quale l’elettore si riconosce od alla quale si sente idealmente vicino.
In caso, invece, di secondo turno, al quale si arriva quando in ballottaggio ci sono solo due candidature, le dinamiche di voto sono più incerte ed imprevedibili.
E’ provato, ad esempio, che nel secondo turno aumenti l’assenteismo e, di conseguenza, possa variare sensibilmente la composizione del corpo elettorale che si reca alle urne, in funzione di età, sesso, scolarità, professione, orientamento politico.
Molti elettori, poi, anche se delusi dal risultato del primo turno, avvertono come dovere civico quello di recarsi comunque al seggio e perciò, tappandosi il naso, finiscono per votare il candidato che appare loro come “il minore tra i due mali”.
Ma, sull’esito del secondo turno spesso può incidere ed essere determinante un fattore assolutamente imponderabile, e cioè l’esistenza, dichiarata o sottintesa, dei cosiddetti apparentamenti in base ai quali le liste, escluse al primo turno, possono dare il loro sostegno a questo o quel candidato.
Può accadere, così, che, il ballottaggio sia vinto da un candidato votato, in parte, da un elettorato anche del tutto antitetico alle sue posizioni politiche.
Domanda: a questo punto un sindaco eletto al ballottaggio può contare su una accettazione popolare identica a quella di un sindaco eletto al primo turno?
Da un punto di vista rigorosamente quantitativo la risposta non può essere che affermativa.
È più che legittimo, invece, nutrire molte riserve sotto il profilo del consenso ideologico e programmatico.
Infatti, il candidato eletto al primo turno, che ha ottenuto il voto dalla maggioranza assoluta degli elettori, gestirà il suo mandato con la consapevolezza che la maggior parte dei cittadini lo ha scelto con convinzione.
Se conseguita al ballottaggio, invece, una elezione potrebbe essere il risultato anche di scelte non convinte, almeno di una parte dell’elettorato, se non di apparentamenti del tutto strumentali
A mo’ di esempio, proviamo ad esaminare due dei risultati, scaturiti dai ballottaggi di domenica, che più hanno vivacizzati i dibattiti di questi giorni.
Nel rigoroso rispetto dell’ordine alfabetico, osserviamo per primo il risultato del Comune di Livorno, da sempre feudo incontrastato della sinistra.
Al primo turno, degli 85.286 voti validi il candidato del centrosinistra, Marco Ruggeri se ne era aggiudicati 34.096 (= 39,97%), contro i 16.216 ottenuti dal primo dei suoi antagonisti, cioè Filippo Nogarin, candidato del M5S.
Dopo soli quindici giorni, il ballottaggio ha riservato un esito imprevedibile.
Infatti, con una affluenza ridottasi di ben 17.628 elettori, Filippo Nogarin è risultato eletto sindaco con 35.899 voti, portando a casa, cioè, 19.683 voti in più di quelli che aveva ottenuti al primo turno.
Da dove sono saltati fuori questi 19.683 voti ?
Di certo non si è trattato di cittadini convertiti al grillismo, nelle ultime ore, ammirando i bastioni di Fortezza Vecchia, ma piuttosto di elettori che, dopo aver sostenuti al primo turno schieramenti politici (di destra, di centro e di sinistra) anche idealmente molto lontani dal M5S, al ballottaggio, per ragioni diverse e sconosciute, hanno deciso di “turarsi il naso”.
Di certo il consenso manifestato con convinzione al candidato del M5S va identificato nei 16.216 voti, del primo turno, mentre per i voti ottenuti in più al ballottaggio sarebbe più sensato parlare di “voti in prestito od in transito”.
Senza se e senza ma, invece, ad uscire sconfitto è stato il candidato della sinistra che, contando su un vantaggio di 17.880 voti al primo turno, si è fatto riprendere e superare al ballottaggio.
Più o meno le stesse dinamiche si sono ripetute a Pavia, dove il sindaco uscente, berlusconiano DOC, era stato indicato da un sondaggio come il “sindaco più amato d’Italia”.
Un giudizio che sembrava trovare conferma anche al primo turno, quando Alessandro Cattaneo, candidato di Forza Italia, otteneva 18.350 dei 39.307 voti validi, contro i 14.326 voti del suo antagonista Massimo Depaoli, candidato del centrosinistra.
Al secondo turno, ridottosi a 32.128 il numero degli elettori per effetto dell’astensionismo, dalle urne è uscito un verdetto inatteso.
Massimo Depaoli ha recuperati 2.742 “voti in prestito od in transito” con i quali ha agguantato il primo posto contando su 17.068 consensi, mentre Alessandro Cattaneo ha persi per strada, in quindici giorni, 3.290 sostenitori.
È probabile, ad esempio, che dopo il primo turno, dando per certo il successo del loro candidato, molti elettori di centrodestra abbiano disertate le urne, mentre gli elettori delle altre liste sia di sinistra che del M5S, uscite al primo turno, abbiano fatto confluire i loro voti su Massimo Depaoli.
Si potrebbero analizzare gli esiti di molti altri ballottaggi per rendersi conto di quanto possa essere falso e deformante un secondo turno in cui a dare le carte non siano gli elettori ma le camarille e gli inciuci che tutte le forze politiche, per meschini intrallazzi, mettono in piedi, all’insaputa ed a spese degli elettori.
Tanto, poi, se l’amministrazione eletta si dimostrerà inadeguata, a patire le sue incapacità e carenze saranno sempre e solo i cittadini, e perciò … chi se frega !

sabato 7 giugno 2014

Una legge speciale per sconfiggere il malaffare

Se, nel 1994, qualcuno avesse pensato che tangentopoli fosse stata in grado di sradicare, dal sistema partitico, la metastasi della corruzione e dell’affarismo, avrebbe semplicemente sottovalutato il diffuso radicamento di siffatto malcostume nel bagaglio culturale e comportamentale della politica italiana.
Dalla stagione di “mani pulite” sono trascorsi venti anni infettati però, senza soluzione di continuità, dalle condotte criminose di politici di ogni colore e livello.
A rendere ancora più intollerabili i reati, oggi, è la constatazione che, mentre fino al 1994 i politici delinquevano quasi tutti per procurare illeciti finanziamenti ai loro partiti, negli ultimi anni i politici sono ricorsi sempre più al malaffare per procurarsi utilità personali.
Non solo, ma la pratica del delinquere si è così propagata che emergono reati di corruzione, per poche migliaia di euro, anche in inaspettate situazioni del nostro quotidiano.
D’altra parte, aldilà di proclami ipocriti e di sterili promesse elettorali, tutti i partiti politici non hanno fatto nulla, in questi anni, per contrastare il malaffare ed impedire il suo dilagare, assecondati dalla generale indifferenza di molti italiani.
Anzi, non si deve trascurare che proprio milioni di italiani si sono dimostrati così incuranti dei fenomeni di corruttela e depravazione da avere eletto, più volte e senza vergognarsi, un presidente del consiglio che vanta, nel suo curriculum, la corruzione di giudici per addomesticare una sentenza, l’aver comprata la falsa testimonianza dell’avvocato Mills in tribunale, la corruzione del senatore De Gregorio per favorire la caduta del governo Prodi.
Insomma, con a capo del governo un individuo di così provata disonestà era inevitabile attendersi che si architettassero solo leggi per assecondare, o quanto meno indulgere di fronte a modalità  corruttive e di malaffare.
Un esempio per tutte: la legge 61/2001 con la quale si è provveduto a depenalizzare il reato di falso in bilancio e di cui lo stesso presidente del consiglio si è avvalso.
Per cui, se oggi, alla luce degli scandali “Expò” e “Mose”, gli stessi inquirenti affermano di trovarsi di fronte a circostanze molto più gravi di quelle affrontate con tangentopoli, c’è da chiedersi quanto diffuso ed inquietante sia il marciume con il quale convive il nostro Paese.
Si tratta, cioè, di milioni e milioni di denaro pubblico dirottati nelle tasche di lestofanti che si arricchiscono sulle spalle dei contribuenti.
Una stato di cose così degenerato, ormai, che nessuno può illudersi di contrastarlo con il guanto di velluto o con tocchi di fioretto.
In un certo senso ha ragione Matteo Renzi quando afferma che chi  commette reati così infamanti e squallidi si macchia del reato di alto tradimento.
Un tradimento, però, prima ancora che dello Stato e delle Istituzioni, di tutti gli italiani onesti, che lavorano, pagano le tasse e soffrono gli effetti di una crisi drammatica.
Ecco perché sarebbe un grave errore illudersi di riuscire a combattere ed annientare, con la normale routine investigativa e giudiziaria, il tarlo della disonestà che si è saldamente insinuato in troppe delle teste che alloggiano nelle stanze dei bottoni.
I farabutti, infatti, sanno molto bene che grazie alle leggi permissive volute dai governi berlusconiani, grazie ai tre gradi di giudizio, grazie alla buffonata dei termini di prescrizione, difficilmente saranno condannati, ma di certo potranno godere con serenità il frutto dei loro misfatti.
Per affrontare, perciò, l’emergenza creata da decine, centinaia, e probabilmente migliaia di reati di corruzione, concussione, collusione, peculato, commessi con il denaro pubblico, cioè con il portafoglio dei contribuenti, occorrerebbe una sola legge, ma una legge speciale che, per la sua durezza, servisse anche come deterrente per i malintenzionati.
Una legge speciale che, ad esempio, prevedesse:
  • ricorso organico al rito del processo per direttissima collegiale;
  • unico grado di giudizio con sentenza definitiva ed esecutività immediata della pena;
  • inapplicabilità dei termini di prescrizione previsti per i vari reati; 
  • raddoppio delle pene massime indicate dalle leggi in vigore, ed esclusione di ogni forma di patteggiamento, sconto e riduzione;
  • inappellabilità della sentenza;
  • confisca di tutti i beni mobili ed immobili di proprietà del condannato, dei suoi parenti in linea retta e collaterale di 1° e 2° grado, oltre che del coniuge.

Già, ma figuriamoci se questa classe politica, che gozzoviglia nei palazzi, possa accettare anche solo l’idea di mettere un freno ai tanti farabutti con i quali bisbocciano spartendosi poltrone e benefici.