lunedì 19 marzo 2018

Lo Chef Menù casereccio del PD


Non so se per la campagna elettorale il PD abbia ingaggiato un insigne spin doctor, precipitatosi qui dagli USA, oppure se, imbevuto di una irreversibile saccenteria, abbia preferito affidarsi ad uno Chef Menù casereccio per allestire nella cucina del Nazareno le portate della comunicazione.
Fatto sta che non sarebbe stato necessario attendere i disastrosi risultati delle urne per rendersi conto che il menù proposto non risultava gradito a coloro che, per storia ed orientamento, avrebbero dovuto essere gli elettori naturali del PD.
Infatti, ammesso e non concesso che il PD sia ancora un partito con idee e programmi di sinistra, il messaggio elettorale doveva essere rivolto non al establishment ma a quanti, nel Paese reale, vivono soprattutto in condizioni di disagio e di emarginazione sociale.
Quel Paese reale, cioè, nel quale ad attendersi un messaggio di speranza per il loro futuro erano i milioni di disoccupati, di lavoratori precari, di pensionati al minimo, di poveri veri e di persone a rischio povertà, di risparmiatori truffati dalle banche, di estromessi dal contesto sociale, etc.
In altre parole, sarebbe stato sufficiente, ai sedicenti cervelloni politici del partito, chiedere aiuto al ISTAT per farsi decifrare la situazione vera del Paese, piuttosto che infervorarsi nella autocelebrazione per qualche decimo in più di PIL o per i dati drogati sulla occupazione.
Invece, occupando ogni spazio messo servilmente a disposizione da stampa, radio e TV, Renzi, Gentiloni e lacchè assortiti si sono profusi per settimane nel ripetere la tiritera: “avete visto come siamo stati bravi nel governare l’Italia in questi cinque anni”.
Era inevitabile che milioni di italiani, possibili elettori di una sinistra oramai evanescente, si incazzassero di fronte alla tracotante dappocaggine di questa stomachevole litania e dirottassero i loro voti al M5S ed alla Lega, i soli a preoccuparsi del degrado angosciante delle classi più deboli e bisognose.
E sono di queste ore le stizzite parole con le quali l’ultrà renziano, Matteo Richetti portavoce PD invelenito ed astioso, respinge ostinatamente ogni critica alla gestione politica del partito, e replica ancora gli elogi sperticati al governo Renzi-Gentiloni.
Dichiarazioni che fanno intendere quanto impervia sia la arrampicata che il PD dovrà affrontare per risalire dal precipizio in cui è rovinato.
Sempre che ne sia capace e sempre che Renzi glielo permetta, ovvio !!!   

domenica 18 marzo 2018

Rottamato il rottamatore … e ora ?


Anche se al Nazareno fanno finta di non ammetterlo, la realtà è che dalle urne, il 4 marzo, sono usciti spietatamente sconfitti Matteo Renzi ed il renzismo.
È vero, come si ostinano a ribadire al Nazareno, che sulla scheda elettorale c’era il simbolo del PD e non la foto tessera di Renzi ma come non riconoscere che, nel quinquennio appena trascorso, per colpa del segretario il partito avesse persa, giorno dopo giorno, la sua identità politica generando inquietudini, contrasti e scissioni?
A questo punto il vero problema per il PD potrebbe essere la sua incapacità di procedere ad una spregiudicata, anche se obiettiva, analisi del perché, ad esempio, il partito abbia attesa con indolenza la disfatta, d'altra parte prevedibile, senza provare almeno una controffensiva.
Sarebbe imperdonabile, cioè, se con assurda ottusità il PD non riconoscesse di essere stato ostaggio per cinque anni, e per sua sventura lo è ancora, della insipienza politica di Renzi.
Un Renzi autoreferente che non ha esitato a crearsi, con destrezza, una corte  di fantaccini insediandoli sugli scranni che contano, anche all’interno del partito.
È la prima volta, per esempio, che dopo un tracollo elettorale la segreteria di un partito non rassegni compatta le dimissioni.
Nel PD, invece, solo Renzi si è dimesso da segretario mentre gli altri membri della segreteria, tutti di provata e cieca fede renziana, sono rimasti al loro posto a cominciare da Maurizio Martina già vice-segretario ed ora reggente.
Così, nei giorni scorsi quando in occasione del convegno organizzato da Sinistra Dem, Gianni Cuperlo ed Andrea Orlando hanno manifestate le prime critiche alla gestione autoritaria e clientelare del partito, immediate si sono levate le reazioni, altezzose e schizofreniche, dei fantaccini renziani.
Forse un primo spiraglio per uscire dall’angosciante vicolo cieco in cui si è cacciato il partito potrebbe essere la proposta di coinvolgere con referendum i militanti sulle scelte che il PD dovrà assumere a breve.
L’idea sembrerebbe ottenere già il favore di molti dirigenti, sia centrali che periferici, anche se non sarà facile superare la prevedibile contrarietà di coloro che sono ostinatamente consacrati alla ortodossia renziana dell’uomo solo al comando.
Intanto, i sondaggisti rilevano che dal 4 al 16 marzo i consensi del PD sarebbero regrediti ulteriormente.
Good luck !

sabato 17 marzo 2018

Una ciambella per uscire dallo stallo


Ci mancava solo il venticello parigino con i timori espressi da Angela Merkel ed Emmanuel Macron sui risultati elettorali del nostro Paese per rendere ancora più ingarbugliato ed incerto lo scenario politico italiano.
Non bastava, infatti, che nel firmare il decreto di scioglimento delle Camere, il Presidente della Repubblica avesse già avuto un sussulto rimuginando sul fatto che da lì a qualche settimana si sarebbe trovato a fare i conti con le conseguenze della oscena legge elettorale, il Rosatellum, che lui stesso aveva promulgata frettolosamente senza fare una piega.
Forse fu proprio quel sussulto a suggerire a Sergio Mattarella di aggrapparsi alla ciambella del governo Gentiloni.
Un salvagente però che, senza voler fare dietrologia, solleva non pochi dubbi.
Ad esempio, ieri il governo Gentiloni, eletto nella XVII legislatura da una maggioranza che non esiste più perché sbaragliata dal voto del 4 marzo, ha emanato il decreto attuativo della riforma carceraria senza recepire le modifiche sostanziali che aveva richieste la commissione giustizia del Senato.
Immediate le reazioni critiche al decreto da parte del M5S e della Lega, cioè delle due formazioni uniche vincitrici delle elezioni.
Come mai si è deciso di emanare, a pochi giorni dall’insediamento del nuovo Parlamento, un decreto che da mesi giaceva sul tavolo del CdM e che non ha alcuna chance di diventare subito operativo ?
Non è, per caso, che tramite questa scelta del governo Gentiloni il Capo dello Stato abbia voluto inviare un messaggio sibillino alle forze politiche affinché non si trastullino nel perder tempo con i loro giochetti post-elettorali ?
In altre parole, il Paese ha un governo nella pienezza dei suoi poteri ed è sostenuto dal Quirinale.
Un messaggio ancora più ricco di significato tenendo presente che anche la scadenza del 10 aprile si approssima rapidamente ed entro tale termine il governo sarà tenuto a presentare alle Camere il DEF (Documento di economia e finanza) per i tre anni successivi.
Si tratta, peraltro, di un documento composito sul quale l’UE valuterà e giudicherà lo stato di salute dei conti nazionali.
Ora, anche se il DEF non ha carattere vincolante, mi domando: è legittimo che il governo Gentiloni pianifichi spese ed investimenti per i prossimi tre anni senza coinvolgere le formazioni che hanno vinte le elezioni ?
Su questa situazione già di per sé ingarbugliata gravano anche le fitte nebbie che schermano le intenzioni di coloro che dovrebbero accordarsi almeno sulle prime scelte politiche.
Ad esempio, l’accordo tra Di Maio e Salvini per  la elezione dei presidenti di Camera e Senato, che fino a qualche ora fa sembrava vicino alla soluzione, è tornato in alto mare per le assurde pretese non di chi ha vinto, ma di un pregiudicato, spoglio di un qualsivoglia ruolo istituzionale, che ha clamorosamente perse le elezioni.
Una situazione che, al momento, sembra non offrire molte vie di uscita e che provoca di certo non pochi grattacapi a Sergio Mattarella, per sua natura non un decisionista.
Per uscire dalla impasse la soluzione potrebbe essere la conferma del governo Gentiloni per gestire il ritorno alle urne entro l’autunno, dopo che il Parlamento avrà approvata una nuova legge elettorale che escluda ogni forma di accrocchi e preveda un premio di maggioranza plausibile sotto il profilo costituzionale.
Ad osteggiare, però, questa che potrebbe essere la scelta più logica e risoluta per evitare uno stallo rischioso e nocivo, è prevedibile che si mettano in moto:
a.      la contrarietà a nuove elezioni del PD e FI che i sondaggi di questi ultimi giorni segnalerebbero in ulteriore caduta verticale a vantaggio di M5S e Lega che, invece, sarebbero accreditati di più ampi consensi;
b.      l’istinto di preservazione dei parlamentari appena eletti che difficilmente accetterebbero di decadere dopo pochi mesi dalla loro elezione;
c.      infine, certamente non ultima per autorevolezza, la contrarietà del Capo dello Stato che potrebbe vivere come un insuccesso personale il non riuscire a tradurre il risultato elettorale in un nuovo Esecutivo.

mercoledì 14 marzo 2018

Tra Porcellum e Rosatellum ... che match

Sono trascorsi oramai dieci giorni dal election day del 4 marzo e l’incertezza regna sovrana sul come e quando il nostro Paese potrà avere un nuovo governo, qualunque esso sia.
Uno stato di incertezza facilmente prevedibile già il 3 novembre 2017 quando sulla Gazzetta Ufficiale fu pubblicato il disdicevole pastrocchio della legge n. 165, meglio nota come Rosatellum.
Qualsiasi persona di buon senso, in quei giorni, avrebbe dovuto porsi alcune domande di fondo.
1.     Il padre putativo del Rosatellum, vale a dire il capogruppo PD alla Camera Ettore Rosato, era nel pieno delle sue capacità di intendere quando elaborò quel testo ?
2.     E se lo era, a quali perversi diktat dovette ubbidire ?
3.     Come mai Paolo Gentiloni ed il suo governo non si resero conto degli obbrobri contenuti in quella legge ed imposero il voto di fiducia al Parlamento pur di farla approvare ?
4.     Ed infine, possibile che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non abbia intuita neppure lui la avventatezza del Rosatellum per rimandarlo alle Camere con le sue osservazioni, invece di promulgarlo sic et simpliciter ? Tra l’altro Sergio Mattarella, nel dicembre 2014 come giudice costituzionale aveva contribuito a dichiarare incostituzionale l’altro capolavoro di legge elettorale, il Porcellum.
Mentre alla quarta ed ultima domanda ritengo praticamente impossibile trovare una qualsiasi risposta convincente, mi sembra possibile invece  intravvedere un fil rouge non casuale tra le prime tre domande.
Un fil rouge che ha un nome e cognome, quello di Matteo Renzi, indiscusso referente di Rosato, fedelissimo renziano, e chiara mente ispiratrice di Gentiloni che ha sempre gestito il governo in nome e per conto di.
A questo punto è inevitabile domandarsi cosa abbia a che vedere Renzi con il Rosatellum.
Ebbene, dopo che la Consulta aveva dichiarati costituzionalmente illegittimi sia il Porcellum che l’Italicum, approssimandosi la fine della XVII Legislatura e la conseguente chiamata degli elettori alle urne, il governo non poteva esimersi dal dare prontamente al Paese una nuova legge elettorale.
Però, sulle scrivanie di Matteo Renzi, segretario PD, e di Silvio Berlusconi, presidente di FI anche se ineleggibile perché pregiudicato, continuavano ad accatastarsi sondaggi che mostravano il consolidamento e la crescita di due formazioni politiche, il M5S e la Lega, considerate troppo pericolose dai due capibastone per non arginarle in qualche modo.
Era necessario, cioè, predisporre una legge elettorale che da un lato impedisse a M5S e Lega di avvicinarsi troppo a Palazzo Chigi, e dall’altro assecondasse la possibile nascita di un “governo della nazione” tra PD e FI.
Poiché il M5S, per vocazione, rifiutava qualsiasi apparentamento pre-elettorale, e poiché la Lega raccoglieva voti soprattutto nelle regioni del Nord, la nuova legge elettorale avrebbe dovuto relegare queste due formazioni a ruoli politici marginali contrapponendo loro due cartelli elettorali di peso, quelli di CSX e CDX.
Inglobare la Lega nel cartello di CDX per Berlusconi sarebbe stato un gioco da ragazzi, mentre il M5S sarebbe rimasto solo ed emarginato.
Su questi diktat Ettore Rosato si mise al lavoro partorendo il Rosatellum che fu approvato a larga maggioranza, con voto di fiducia, da PD, FI e Lega.
Il 4 marzo, però, gli italiani con il loro voto hanno demolito il castello di sabbia del Rosatellum e hanno reso fin troppo chiaro che:
1.     vincitori inequivocabili sono risultati il M5S e la Lega;
2.     PD e FI sono usciti dalla competizione elettorale con la coda tra le gambe;
3.     la magnificata “coalizione di CDX” non era altro che un dozzinale cartello elettorale come dimostrano le incompatibilità politiche che continuano ad emergere ogni giorno tra FI, Lega e FdI.
Questa ingarbugliata situazione passa ora sul tavolo di Sergio Mattarella che, credo, avrà modo di  pentirsi per non aver stoppato il Rosatellum quando ne avrebbe avuto la possibilità e soprattutto il potere.

lunedì 12 marzo 2018

Renzi ... convitato di pietra


Intervistato oggi da Massimo Giannini, su Radio Capital, il capogruppo uscente di Forza Italia, Renato Brunetta, si è richiamato al “partito della nazione”, fantasticato dal forse ex-segretario del PD, per manifestare il suo compiacimento qualora in un “centrodestra allargato” si formasse l’accoppiata Berlusconi – Renzi.
Le parole di Brunetta mi hanno richiamato alla memoria il post che pubblicai su questo blog il 7 novembre 2015: “Un machiavellico da Rignano sull’Arno”.
Rileggendolo non ho potuto fare a meno di sorridere perché già oltre due anni fa sembrava chiaro che tra gli inconfessabili accordi del Nazareno (18 gennaio 2014) ci fosse soprattutto il diabolico disegno di demolire a poco a poco il Partito Democratico fino alla sua estinzione.
Anzi, butterei là che questo perfido piano possa essere stato concepito fin dal 6 dicembre 2010 quando, a sorpresa, il sindaco di Firenze Matteo Renzi si recò ad Arcore, sede non istituzionale, per una visita informale a colui che era il padre-padrone di Forza Italia e Presidente del Consiglio in carica.
Fatto sta che, mentre in queste ore, dopo la disfatta elettorale, al Nazareno va in scena la resa dei conti tra i vertici DEM …  con Renzi convitato di pietra, mi sembra simpatico rileggere quel post.
Solo agli sprovveduti elettori del PD, ed ai loro intorpiditi rappresentanti in Parlamento, è sfuggito che il loro partito sia stato spinto sul viale del tramonto fin dal 18 gennaio 2014.

Quando, in quel freddo sabato di gennaio, Matteo Renzi ha invitato al Nazareno, per l’ora del tè, il già pregiudicato signore di Arcore, all’ordine del giorno più che il patto per le riforme, da dare in pasto a media creduloni e di regime, c’era la road map per demolire a poco a poco il partito democratico fino alla sua definitiva putrefazione.

La messinscena del patto del Nazareno serviva solo ad evitare che a qualcuno potessero nascere dubbi sui veri intenti di quel insolito tête-à-tête, dubbi che avrebbero messi a rischio non solo modalità e tempi della road map, ma la sua stessa praticabilità.

Innanzitutto, se fosse trapelato che i due machiavellici si erano accordati per azzerare l’attuale PD e traghettare i soli renziani fedelissimi, cioè quelli della “Leopolda”, in una nuova formazione politica (NdR: “partito della Nazione”?), la sollevazione, anche della base, sarebbe stata tale da ipotizzare perfino l’impeachment del neo-segretario Renzi.

Non solo, ma neppure il Capo dello Stato Napolitano, per quanto imprevedibile ed ambiguo, si sarebbe prestato ad essere loro complice ed il responsabile del siluramento di Enrico Letta e della successiva ascesa di Renzi a Palazzo Chigi.

Ecco perché, da quel giorno in poi, abbiamo assistito ad atti e modi di agire, in apparenza incomprensibili, mirati da un lato a creare squarci tra gli organi direttivi del PD e, dall’altro, ad assecondare scelte politiche che non alienassero le simpatie del popolo di destra.

La frottola della rottura del “patto del Nazareno”, le astiose ripetute stroncature di Brunetta, i voti forzisti in soccorso nei più difficili passaggi parlamentari, la protesi creata da Verdini e dai suoi seguaci, il riavvicinamento di Berlusconi a Salvini, e così via, non sono altro che cortine fumogene create dalla regia per dar modo alla road map di completare in sordina il suo percorso.

Probabilmente, Renzi e Berlusconi, entrambi sostenitori del bipolarismo, avevano immaginato di scoprire le carte solo quando, dissolto il PD, fosse nata una alternativa a sinistra alla quale contrapporsi nelle urne e sconfiggerla.

A rompere le uova nel paniere, però, sono intervenute le indicazioni di tutti i sondaggisti che, una volta tanto non in disaccordo tra loro, da settimane evidenziano che, ormai, il M5S accresce con continuità i suoi consensi anche a spese del PD.

A mettere una grande strizza al machiavellico di Rignano sull’Arno ed al suo sodale di Arcore è stata, però, la presa d’atto che il M5S, in caso di ballottaggio, nella prossima primavera vincerebbe le elezioni comunali a Roma.

La vittoria del M5S, infatti, butterebbe all'aria il progetto di bipolarismo che i due avevano immaginato quel giorno al Nazareno.

Come fare per impedire che ciò accada ?

Semplicemente accelerando i tempi della road map, come sembrano rivelare, con simulata ingenuità, le parole di un ministro del governo Renzi, Beatrice Lorenzin ospite del Corsera, che ha dichiarato: “PD, NCD e Forza Italia potrebbero appoggiare Alfio Marchini (NdR: che intende presentarsi con una propria lista). Sennò vincerebbe il M5S !”.

Cioè, se ho ben capito, l’obiettivo politico di PD, NCD e Forza Italia non sarebbe quello di risollevare la Capitale da anni di malgoverno, mafia e malaffare, ma semplicemente quello di sconfiggere il M5S ?

Allora voilà !

Signore e signori il piatto è servito, ecco a voi le miserie del programma politico del nuovo “Partito della Nazione” !