Nelle ultime ore sta aumentando
il gregge di caproni pronti a congelare il voto sulla decadenza da senatore di
Berlusconi, in attesa che la Consulta si pronunzi sulla costituzionalità del D.
Lgs 235/2012, cioè della Legge Severino.
Per questi caproni, dunque,
l’approvazione di una legge, con il voto del Parlamento, varrebbe meno di un
fico secco, ma meno ancora varrebbe il parere favorevole formulato dalla
Giunta Affari Costituzionali.
Una Giunta della quale facevano
parte esimi rappresentanti del PdL che, in quella sede, non sollevarono dubbi
d’incostituzionalità.
È fin troppo palese,
perciò, che il PdL, insistendo nel richiedere il parere della Consulta, voglia
solo perdere tempo e rinviare di mesi e mesi la decisione della Giunta delle
elezioni e delle immunità.
I sei pareri “pro veritate”, depositati da Berlusconi
presso la Giunta del Senato e redatti da famosi costituzionalisti, sembrano formulati
più per offrire un appiglio ai pidiellini, nei loro tentativi di differire il
voto della Giunta, che non per infirmare di fatto la costituzionalità della
legge Severino.
D’altra parte, le cavillose
motivazioni riportate nei sei pareri trovano adeguate risposte già nelle motivazioni
della sentenza n. 695 del 6 febbraio 2013, emessa dal Consiglio di Stato Sez. V, che ha
respinto il ricorso proposto da Marcello Miniscalco contro l’Ufficio Centrale
Regionale per l’elezione del Presidente e Giunta regionale della Regione
Molise.
Mi domando se, prima di redigere
i sei pareri “pro veritate”, i loro
estensori si siano presi la briga di consultare l’esegesi che della Legge
Severino fa il Consiglio di Stato con la citata sentenza, confermandone, di
fatto e diritto, la validità e la legittimità.
Comunque, il 9 settembre si
avvicina e, almeno in apparenza, le tensioni tra i partiti sembrerebbero aumentare
in un crescendo rossiniano.
Sarà vero oppure si
tratta di una delle consuete sceneggiate cui è avvezza la nostra classe
politica?
A legittimare questo dubbio
sono alcuni comportamenti e dichiarazioni degli ultimi giorni.
Ad esempio, il trionfalismo
di Alfano, le manifestazioni di giubilo di tutti i maggiorenti del PdL, l’essersi
attribuita la vittoria da parte di Berlusconi, a seguito della cancellazione
dell’IMU, non possono essere letti se non come conferma che, ad imporre la
propria volontà al governo Letta, sia di fatto il PdL, cioè uno solo dei tre partiti
patrocinatori delle larghe intese.
Se poi riflettiamo anche sul
ringraziamento personale che Berlusconi si è sentito in dovere di rivolgere ad
Enrico Letta “per aver rispettati i patti”
(sic!), come non essere sfiorati dal sospetto che tra Letta e Berlusconi ci siano
dei “patti segreti”?
E come non avere il dubbio che
Letta abbia pagata, al PdL, la cambiale dell’IMU in cambio del mandato a
Palazzo Chigi?
Quante cambiali Letta dovrà
pagare ancora a Berlusconi per continuare a fare il Presidente del Consiglio?
La domanda nasce spontanea (come direbbe Antonio Lubrano) dopo aver
ascoltato Letta che, mercoledì 28 agosto, in conferenza stampa, con tanta
sicumera dichiarava “il governo, da oggi,
non ha più scadenza”.
Quale significato attribuire
a queste parole?
Forse che i “patti segreti”
prevedono che il pagamento della prima cambiale (quella dell’IMU) sarebbe stata la condicio sine qua perché il governo potesse proseguire la sua navigazione
in acque tranquille?
Già, ma gli addetti ai
lavori e l’opinione pubblica hanno ben presente che, il 9 settembre in Senato, la
Giunta delle elezioni e delle immunità si troverà sul tavolo la patata bollente
della decadenza di Berlusconi da senatore.
Enrico Letta non ignora, di
certo, che tutti i maggiorenti del PdL, a cominciare dal loro leader, siano stati tassativi:
se la Giunta votasse la decadenza di Berlusconi il governo cadrebbe.
Come mai, allora, tanta
ostentazione di sicurezza sulla durata del governo?
Non vorrei che Letta, pur
di conservare la sua poltrona a Palazzo Chigi, stesse per pagare una seconda
cambiale, a Berlusconi, inducendo il PD ad acconsentire al rinvio del voto in
Giunta, se non, addirittura, a votare contro la decadenza.
Se
così fosse resterebbe solo da domandarsi quante altre cambiali, ancora nelle
mani del PdL, il Paese dovrà pagare per assicurare ad Enrico Letta la poltrona
di Presidente del Consiglio.