domenica 4 agosto 2013

O una grazia ad libitum oppure …

Sono trascorse ormai quarantotto ore da quando la Cassazione ha confermata la condanna a quattro anni di Silvio Berlusconi per il reato di frode fiscale.
Con il passare delle ore le reiterate rassicurazioni, declamate alla vigilia dal Cav, e dai suoi zerbini, che la sentenza non avrebbe impattato sulla vita e sulla durata del Governo Letta, si sono rivelate del tutto ingannevoli, com’era peraltro prevedibile.
Isterismi, fanatismi, paranoie si sono impossessati, ora dopo ora, del PdL e dei suoi parlamentari.
Al lagnoso messaggio televisivo di Berlusconi ed allo struggente gesto, di ministri e parlamentari, di rimettere nelle mani del Cav i loro mandati, hanno fatto seguito le parole scriteriate e sediziose di Sandro Bondi che ha minacciata una “forma di guerra civile” se non sarà resa possibile l’agibilità politica di Berlusconi, che l’ottenebrato ex comunista Bondi vede come leader del primo partito, mentre lo è solo del terzo partito italiano.
Non c’è da sorprendersi se individui, senza arte né parte, vissuti per vent’anni solo di luce riflessa, siano sconvolti, per l’imminente fatale uscita di Berlusconi dalla scena politica.
Sono terrificati, infatti, dall’idea di dover ritornare alle loro posizioni di partenza, cioè al nulla.
Chi di noi, ad esempio, se il Cav non li avesse ammessi alla sua corte come lacchè, avrebbe mai sentito parlare di Brunetta, Bondi, Santanchè, Biancofiore, Gelmini, Alfano, Carfagna, Cicchitto, Ghedini, Schifani e via dicendo?
L’interrogativo che in questi momenti assilla tali individui è: “chi saremo noi, domani, senza più il padrone da servire?”.
Questo tormento, in realtà, è all’origine dell’accanimento con cui la masnada di disperati vorrebbe opporsi alla sentenza della Cassazione per impedire che producesse i suoi effetti, arrivando perfino a pensare di poter ricattare Giorgio Napolitano perché conceda la grazia a Berlusconi.
A parte il fatto che la richiesta di grazia, come recita l’art. 681 del codice di procedura penale, può essere richiesta solo dal condannato, o da un suo stretto congiunto o dal suo avvocato ma, dato e non concesso che il Capo dello Stato fosse disposto a farsi ricattare dal PdL, è chiaro che anche un eventuale provvedimento di clemenza non risolverebbe comunque i problemi del Cav.
Innanzitutto, perché la grazia invaliderebbe le pene ma non cancellerebbe la sentenza, per cui, comunque, Berlusconi sarebbe ineleggibile per i prossimi sei anni in base al disposto dell’art. 1 del DL 235 del 31 dicembre 2012, voluto dal Governo Monti.
Inoltre, il Parlamento potrà votare la decadenza da senatore di Berlusconi sulla base della sentenza passata in giudicato, a meno che, come suggerisce il Financial Times, il Cav non abbia un sussulto di decenza e si dimetta prima di essere radiato.   
Infine, non si deve trascurare che Berlusconi abbia già subita un’altra condanna in primo grado, nel “processo Ruby”, e sia già indagato a Napoli per la compravendita dell’ex senatore Di Gregorio ed a Bari per la vicenda Tarantini.
Questo è il quadro giudiziario in presenza del quale Brunetta e Schifani avrebbero il coraggio di recarsi dal Capo dello Stato per perorare la grazia per Berlusconi?
Pretenderebbero, cioè, che Giorgio Napolitano facesse finta di nulla ed accettasse, qualora anche gli altri processi arrivassero a sentenza definitiva, l’illogico presupposto di dover concedere, uno dopo l’altro, ulteriori provvedimenti di clemenza.
Insomma, nel giro di un paio di anni, tra le sghignazzate di tutto il mondo, potremmo trovarci ad avere un Berlusconi con la “grazia 1a”, seguita dalla “grazia 2a”, “grazia 3a” e così via.
Questa sarebbe la democrazia che i pidiellini immaginano per il nostro Paese, patria del diritto?
Altro che repubblica delle banane!

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