Sono trascorsi oramai dieci giorni dal election day del 4
marzo e l’incertezza regna sovrana sul come e quando il nostro Paese potrà
avere un nuovo governo, qualunque esso sia.
Uno stato di incertezza facilmente prevedibile già il 3
novembre 2017 quando sulla Gazzetta Ufficiale fu pubblicato il disdicevole pastrocchio
della legge n. 165, meglio nota come Rosatellum.
Qualsiasi persona di buon senso, in quei giorni, avrebbe
dovuto porsi alcune domande di fondo.
1. Il padre putativo del Rosatellum, vale a
dire il capogruppo PD alla Camera Ettore Rosato, era nel pieno delle sue
capacità di intendere quando elaborò quel testo ?
2. E se lo era, a quali perversi diktat
dovette ubbidire ?
3. Come mai Paolo Gentiloni ed il suo governo
non si resero conto degli obbrobri contenuti in quella legge ed imposero il voto
di fiducia al Parlamento pur di farla approvare ?
4. Ed infine, possibile che il Presidente
della Repubblica, Sergio Mattarella, non abbia intuita neppure lui la avventatezza
del Rosatellum per rimandarlo alle Camere con le sue osservazioni, invece di
promulgarlo sic et simpliciter ? Tra l’altro Sergio Mattarella, nel dicembre
2014 come giudice costituzionale aveva contribuito a dichiarare
incostituzionale l’altro capolavoro di legge elettorale, il Porcellum.
Mentre alla quarta ed ultima domanda ritengo praticamente
impossibile trovare una qualsiasi risposta convincente, mi sembra possibile
invece intravvedere un fil rouge non
casuale tra le prime tre domande.
Un fil rouge che ha un nome e cognome, quello di Matteo
Renzi, indiscusso referente di Rosato, fedelissimo renziano, e chiara mente
ispiratrice di Gentiloni che ha sempre gestito il governo in nome e per conto
di.
A questo punto è inevitabile domandarsi cosa abbia a che
vedere Renzi con il Rosatellum.
Ebbene, dopo che la Consulta aveva dichiarati
costituzionalmente illegittimi sia il Porcellum che l’Italicum, approssimandosi
la fine della XVII Legislatura e la conseguente chiamata degli elettori alle
urne, il governo non poteva esimersi dal dare prontamente al Paese una nuova legge
elettorale.
Però, sulle scrivanie di Matteo Renzi, segretario PD, e
di Silvio Berlusconi, presidente di FI anche se ineleggibile perché pregiudicato,
continuavano ad accatastarsi sondaggi che mostravano il consolidamento e la
crescita di due formazioni politiche, il M5S e la Lega, considerate troppo
pericolose dai due capibastone per non arginarle in qualche modo.
Era necessario, cioè, predisporre una legge elettorale
che da un lato impedisse a M5S e Lega di avvicinarsi troppo a Palazzo Chigi, e
dall’altro assecondasse la possibile nascita di un “governo della nazione” tra
PD e FI.
Poiché il M5S, per vocazione, rifiutava qualsiasi
apparentamento pre-elettorale, e poiché la Lega raccoglieva voti soprattutto
nelle regioni del Nord, la nuova legge elettorale avrebbe dovuto relegare
queste due formazioni a ruoli politici marginali contrapponendo loro due cartelli
elettorali di peso, quelli di CSX e CDX.
Inglobare la Lega nel cartello di CDX per Berlusconi sarebbe
stato un gioco da ragazzi, mentre il M5S sarebbe rimasto solo ed emarginato.
Su questi diktat Ettore Rosato si mise al lavoro
partorendo il Rosatellum che fu approvato a larga maggioranza, con voto di
fiducia, da PD, FI e Lega.
Il 4 marzo, però, gli italiani con il loro voto hanno
demolito il castello di sabbia del Rosatellum e hanno reso fin troppo chiaro
che:
1. vincitori inequivocabili sono risultati il
M5S e la Lega;
2. PD e FI sono usciti dalla competizione
elettorale con la coda tra le gambe;
3. la magnificata “coalizione di CDX” non era
altro che un dozzinale cartello elettorale come dimostrano le incompatibilità
politiche che continuano ad emergere ogni giorno tra FI, Lega e FdI.
Questa
ingarbugliata situazione passa ora sul tavolo di Sergio Mattarella che, credo,
avrà modo di pentirsi per non aver
stoppato il Rosatellum quando ne avrebbe avuto la possibilità e soprattutto il
potere.
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