martedì 12 agosto 2014

Premesso che non sono fan di Grillo …

Da Orazi e Curiazi in poi, senza dimenticare Guelfi e Ghibellini e neppure Capuleti e Montecchi, nel nostro Belpaese sembra sia sufficiente esprimere liberamente il proprio pensiero per essere subito etichettato come partigiano di questa o quella fazione in campo.
Così, da quando ho avuta la peregrina idea di dar vita a questo blog, di volta in volta sono stato etichettato, dai lettori, come berlusconiano, montiano, renziano, grillino.
Eppure, ai lettori più abituali credo sia evidente come, per colpa di quello spirito indipendente che si è impadronito di me da oltre mezzo secolo, non ho l’abitudine di fare sconti a nessuno quando vedo, ascolto o leggo qualcosa che inquieta la mia personalissima prospettiva.
A volte capita che mi soffermi perfino a compiacermi di qualcuno o di qualcosa.
Sarà merito, o colpa, degli educatori che mi hanno inculcato il desiderio di schierarmi a favore dei più deboli e degli emarginati, senza essere un comunista, a condividere le logiche dell’economia mercantile, senza necessariamente piegarmi alle dottrine liberiste, a rispettare chi è diverso da me per cultura, religione, colore della pelle, etc., anche quando la diversità mi risultasse non comprensibile.
Mi scuso per questa lunga premessa ma, da alcuni giorni, i miei post critici nei confronti di Renzi e dei suoi inciuci nazareni, hanno fatto sì che alcuni lettori, renziani e berlusconiani, mi appiccicassero l’etichetta di grillino.
In verità, a Grillo ed al M5S ho già avuta occasione di dedicare post non certo indulgenti.
Il fatto è che da qualche settimana ho la sensazione che la situazione del nostro Paese stia scivolando fuori controllo, esattamente come lo era nell’agosto del 2011 quando l’Italia, sotto procedura d’infrazione dell’UE per debito eccessivo, era presa di mira dai mercati finanziari, lo spread toccava i suoi massimi e la BCE dettava al governo Berlusconi interventi da attuare e scadenze da rispettare.
Spero di sbagliarmi, ma le parole che Mario Draghi ha rivolte all’Italia, qualche giorno fa, mi sembra suonino come una esortazione se non proprio come un richiamo.
D’altra parte, il faraonico programma di interventi dei primi cinque mesi di governo, annunciato da Renzi alle Camere nel chiedere la fiducia, è praticamente fermo al palo.
Governo e Parlamento, infatti, hanno persi questi cinque mesi per dilaniarsi in scontri sopra le righe su due temi, legge elettorale e riforma del Senato, che di certo non aiutano la ripresa economica del Paese, checché ne dica Renzi.
Il PIL continua a rimanere sotto zero, il tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile non si arresta, le imprese sono in difficoltà, le persone in stato di indigenza aumentano giorno dopo giorno.
Con il pretesto strumentale che i tagli di spesa sono prerogativa della politica, anche le proposte della spending review sono finite nel cassetto.
Insomma, lo scenario non rassicurante ha indotti importanti commentatori stranieri a manifestare preoccupazioni sul futuro dell’economia italiana, mentre proprio oggi l’agenzia di rating Moody’s ha riviste al ribasso le previsioni del PIL ed al rialzo le stime di deficit e debito.
Renzi da par suo ha reagito alle critiche al grido di “ghe pensi mi”, malcostume ereditato dal suo compagno di merende al Nazareno.
L’agenda parlamentare dei mesi autunnali, però, prevede già, per la Camera, l’esame in prima lettura della riforma del Senato, mentre nell’aula di Palazzo Madama arriverà la nuova legge elettorale.
Visti i precedenti si tratta di due impianti legislativi il cui esame impegnerà per giorni e giorni sia deputati che senatori.
Che ne sarà, perciò, delle riforme economiche necessarie al Paese?
Ora è vero che a forza di decreti legge e di voti di fiducia il governo Renzi potrebbe accelerare l’emissione di provvedimenti legislativi, ma è altrettanto vero che affinché questi diventino operativi occorre che siano predisposti i decreti attuativi, punctum dolens della macchina legislativa.
A fine luglio, ad esempio, lo stock di provvedimenti attuativi in attesa di definizione ammontava ad oltre 500, tra i quali comparivano ancora molti lasciati in eredità sia dal Governo Monti che da quello Letta.
Ora mi domando, ma per il bene dell’Italia non sarebbe stato meglio che Renzi scegliesse come sua priorità la riforma di questo autentico freno al processo legislativo rinviando a giorni meno angosciosi sia la legge elettorale che la riforma del Senato?

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