Che
putiferio per l’art. 18 !
La migliore
evidenza, di come ancora troppi cervelli (o
pseudo tali) siano consegnati all’ammasso di ideologie oramai superate, è la
cagnara che sta agitando il dibattito sull’art. 18 (ovviamente mi riferisco all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori)
!
Piuttosto
di impegnarsi nel trovare soluzioni concrete
ed innovative al vero problema, con la P maiuscola, quello di un posto di
lavoro che ridia dignità e tranquillità alle centinaia di migliaia di
disoccupati, cassintegrati e precari, i sindacalisti, tutti, e molti politici, anzitutto
quelli della sedicente sinistra, fanno barricate nella difesa ostinata di una
norma, datata 1970, che ha fatto oramai il suo tempo dopo aver sopravvissuto
per oltre 40 anni.
Basterebbe
aver lavorato per qualche anno in una qualunque azienda, con più di 15
dipendenti, per essersi resi conto di quanto fosse difficile, se non impossibile,
collegare l’operato o la condotta di un
singolo dipendente all’ambiguo dettato di una norma che recita: “il licenziamento
è valido se avviene per giusta causa o giustificato motivo”.
Forti,
appunto, di questa norma, soprattutto coloro che eccellevano
per essere scansafatiche, buoni a nulla, improduttivi, incapaci, etc.
etc. hanno dato prova di sapere bene che il loro posto di lavoro, di fatto, era
da considerarsi blindato, per cui avrebbero potuto continuare a fare, senza
timore alcuno, i comodacci loro.
Infatti,
in caso di licenziamento, un qualsiasi Magistrato, a causa della nebulosità
interpretativa di formulazioni come “giusta causa” o “giustificato motivo”, avrebbe finito per imporre all’azienda il
reintegro del dipendente.
Insultare
o minacciare il datore di lavoro, rifiutarsi di eseguire le
direttive ricevute, danneggiare per stizza
gli strumenti di lavoro, malmenare un collega, abbandonare il posto di lavoro
senza giustificato motivo, sono alcuni casi in cui è risultato impossibile
ravvisare gli estremi che riconoscessero una “giusta causa” o un “giustificato
motivo” per procedere al licenziamento.
Di
fronte a questo stato di cose non ritengo che possa essere etichettato come intento
di restaurazione l’idea di mettere mano
all’art. 18, naturalmente non per cancellarlo ma solo per ridefinire, con
maggiore chiarezza, almeno i casi in cui l’art. 18 non sia applicabile.
Sarebbero
sufficienti non più di 10 parole nette ed inequivocabili, e … voilà l’art. 18
non sarebbe più un pomo della discordia.