sabato 31 dicembre 2011


Che putiferio per l’art. 18 !
La migliore evidenza, di come ancora troppi cervelli (o pseudo tali) siano consegnati all’ammasso di ideologie oramai superate, è la cagnara che sta agitando il dibattito sull’art. 18 (ovviamente mi riferisco all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori) ! 
Piuttosto di impegnarsi nel  trovare soluzioni concrete ed innovative al vero problema, con la P maiuscola, quello di un posto di lavoro che ridia dignità e tranquillità alle centinaia di migliaia di disoccupati, cassintegrati e precari, i sindacalisti, tutti, e molti politici, anzitutto quelli della sedicente sinistra, fanno barricate nella difesa ostinata di una norma, datata 1970, che ha fatto oramai il suo tempo dopo aver sopravvissuto per oltre 40 anni.
Basterebbe aver lavorato per qualche anno in una qualunque azienda, con più di 15 dipendenti, per essersi resi conto di quanto fosse difficile, se non impossibile, collegare l’operato o la  condotta di un singolo dipendente all’ambiguo dettato di una norma che recita: “il licenziamento è valido se avviene per giusta causa o giustificato motivo”.
Forti, appunto, di questa norma, soprattutto coloro che  eccellevano  per essere scansafatiche, buoni a nulla, improduttivi, incapaci, etc. etc. hanno dato prova di sapere bene che il loro posto di lavoro, di fatto, era da considerarsi blindato, per cui avrebbero potuto continuare a fare, senza timore alcuno, i comodacci loro.
Infatti, in caso di licenziamento, un qualsiasi Magistrato, a causa della nebulosità interpretativa di formulazioni come “giusta causa” o “giustificato motivo”,  avrebbe finito per imporre all’azienda il reintegro del dipendente.
Insultare o  minacciare  il datore di lavoro, rifiutarsi di eseguire le direttive ricevute, danneggiare per  stizza gli strumenti di lavoro, malmenare un collega, abbandonare il posto di lavoro senza giustificato motivo, sono alcuni casi in cui è risultato impossibile ravvisare gli estremi che riconoscessero una “giusta causa” o un “giustificato motivo” per procedere al licenziamento.
Di fronte a questo stato di cose non ritengo che possa essere etichettato come intento di restaurazione  l’idea di mettere mano all’art. 18, naturalmente non per cancellarlo ma solo per ridefinire, con maggiore chiarezza, almeno i casi in cui l’art. 18 non sia applicabile.
Sarebbero sufficienti non più di 10 parole nette ed inequivocabili, e … voilà l’art. 18 non sarebbe più un pomo della discordia.

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