domenica 21 luglio 2013

Oltre le ideologie per innovare il lavoro

Febbraio 1984, nel corso di un animato consiglio di amministrazione di un’azienda produttrice di componentistica elettronica, fu decisa la chiusura di uno stabilimento produttivo, in provincia di Pavia, al fine di trasferire impianti e produzioni a Milano.
L’unico voto contrario fu quello dell’amministratore delegato che chiese ed ottenne, tuttavia, il rinvio di un mese della decisione definitiva per poter prima esplorare eventuali altre soluzioni.
L’unità produttiva pavese occupava solo 54 operatrici, tutte persone del posto con buona e pluriennale esperienza.
L’unità era localizzata, però, in una zona che non offriva alternative occupazionali, per cui le lettere di licenziamento avrebbero inciso su un tessuto sociale difficile, provocando tensioni in quel paesino di circa 1.000 abitanti.
L’intento, dunque, doveva essere salvare sì i 54 posti di lavoro, ma ottenere anche la significativa riduzione di costo, per unità di prodotto, richiesta dal consiglio di amministrazione.
Entrambi gli obiettivi furono conseguiti con successo, grazie ad un accordo siglato da un sindacalista locale, dell’allora FLM, contro il parere del sindacato provinciale e regionale.
L’accordo, ispirato al principio del “lavorare meno lavorare tutti”, tra le altre pattuizioni, prevedeva il ricorso al part time per la prima volta in Italia .
Infatti, solo dopo dieci mesi sarebbe entrata in vigore la legge 863, del 19 dicembre 1984, che introduceva e disciplinava il lavoro part time.
Creò sconcerto constatare che ad  opporre resistenze e critiche all’accordo non furono  le lavoratrici, che anzi lo condivisero senza un’ora di sciopero e senza occupazione della fabbrica, bensì le associazioni industriali ed i sindacati, ostinatamente arroccati sui loro tabù ideologici e contrapposti.
Alla fine, comunque, l’accordo divenne operativo, le 54 lavoratrici conservarono il loro posto di lavoro e l’azienda ottenne benefici economici superiori alle attese.
Dopo trenta anni il ricordo di questa esperienza è riaffiorato nel venire a conoscenza di quanto accade a Marghera, in Fincantieri, ed a Sedico, Belluno, in Joint & Welding.
A Marghera, dopo sette mesi ininterrotti di cassa integrazione, Fincantieri ha ottenuta la commessa di una nave che, però, dovrà essere ultimata e consegnata inderogabilmente entro il 2015 alla società armatrice finlandese, Viking Line.
Poiché il mancato rispetto dei tempi di consegna, oltre alle penali, comporterebbe il rischio di perdere  una successiva commessa di altre due navi, Fincantieri ha dovuto richiedere ai sindacati di rinegoziare gli orari di lavoro, ad esempio per posticipare a fine turno la pausa mensa e per ricorrere, nei momenti di picco, a turni di lavoro ordinario anche nelle giornate di sabato.
I tre sindacati confederali, rifiutata la proposta aziendale, hanno proclamato lo stato di agitazione, entrando così in rotta di collisione con i lavoratori che, temendo il ritorno in cassa integrazione, hanno formalizzata in un documento la loro volontà di aderire alle richieste dell’azienda.
Poiché da anni il settore della cantieristica navale, non solo europea, attraversa uno stato di grave sofferenza, appare anacronistico e stolto che i sindacati si trincerino dietro preclusioni ideologiche, correndo il rischio di sottrarre opportunità occupazionali a quei lavoratori che hanno già pagati, a caro prezzo, gli effetti della crisi.
È probabile, perciò, che, da questo braccio di ferro i sindacati non solo ne escano perdenti, ma finiscano per minare la loro rappresentatività ed autorevolezza nel caso di future negoziazioni.
Presso la Joint & Welding, invece, la spaccatura tra lavoratori e sindacato è già un dato di fatto.
I dipendenti della Joint & Welding, infatti, per evitare che la difficile situazione economica dell’azienda si traducesse per loro in cassa integrazione, prima, ed in eventuale perdita del posto di lavoro, poi, hanno deciso, contro il parere del sindacato,  di accettare, a parità di salario, il prolungamento di mezz’ora del loro orario di lavoro.
È sconsolante dover prendere atto che, dopo trent’anni, il tema del lavoro rimane ancora terreno impregnato di ideologie, sospetti e rancori.
La strada della modernizzazione e della innovazione, quindi, si presenta ancora lunga e disseminata di ostacoli, sempre ammesso che sia tuttora possibile percorrerla.

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