A
pensarci bene le dimissioni di massa, chieste da Berlusconi ai suoi lacchè
parlamentari, mi sembrano una mossa troppo insulsa per essere vera.
Oddio,
se l’obiettivo fosse stato dimostrare che i parlamentari del PdL, quasi
tutti, siano così berluscodipendenti da rinunciare alle loro poltrone, allora bisogna
riconoscere che la sceneggiata, anche mediaticamente, abbia fatto clamore e riscosso
un certo successo.
Personalmente,
però, non credo che solo questo fosse l’obiettivo e, perciò, sono molto
scettico.
Con
il passare delle ore mi sto convincendo, infatti, che dietro le dimissioni
collettive ci sia uno dei soliti stratagemmi diabolici, ai quali Berlusconi ci
ha abituati in questi anni.
Cercherò
di spiegare il mio scetticismo.
È
risaputo che le dimissioni, anche se irrevocabili, prima di diventare effettive
devono essere accettate.
In
un’azienda è la direzione, deputata ad accettare le dimissioni di un
collaboratore.
Nel
caso dei parlamentari, invece, ad accettare le dimissioni è delegata l’Aula di
appartenenza, cioè Camera o Senato, che si esprime con voto segreto.
Dato
e non concesso, pertanto, che tutti, o gran parte dei senatori e deputati del
PdL presentassero insieme le loro dimissioni non si avvererebbero, comunque, le
condizioni per lo scioglimento delle Camere.
Il
perché è facilmente intuibile.
Le
Aule di Camera e Senato sarebbero chiamate a dibattere e votare per l’accettazione
o il respingimento delle dimissioni di ogni parlamentare.
Infatti,
non esiste alcuna possibilità che Camera e Senato possano accettare o respingere
dimissioni di comitive.
Ed
ecco che il diabolico trucco incomincia a prendere corpo.
Ipotizziamo che il Senato sia chiamato a dichiararsi su circa 95 senatori
pidiellini dimissionari, e la Camera su più o meno 95 deputati dimissionari.
Se
i leghisti, come hanno annunciato, si accodassero al PdL con le loro
dimissioni, i senatori dimissionari diventerebbero circa 110, mentre sarebbero quasi
120 i deputati.
A
questo punto, come prevedono l’art.113, comma 3, del Regolamento del Senato, e
l’art. 49, comma 1, della Camera, la votazione dovrà aver luogo a
scrutinio segreto.
È
consuetudine che l’Aula al primo scrutinio respinga le dimissioni, per una
forma di cortesia, per cui si dovrà procedere ad un secondo
e ad un possibile terzo scrutinio.
Siccome,
però, entrambe le Camere sono impegnate dalle agende di loro pertinenza, per
arrivare alla accettazione di ogni singola istanza di dimissioni potrebbero passare non
settimane ma mesi.
Nel
frattempo, quindi, i dimissionari resterebbero in carica e continuerebbero a
partecipare ai lavori parlamentari.
Ed
allora in cosa consterebbe il diabolico trucco berlusconiano?
Innanzitutto
nel tenere in piedi la legislatura fino a quando Berlusconi avrà espiati gli
arresti domiciliari, durante i quali, non avrebbe, infatti, alcuna possibilità
di fare campagna elettorale.
In
secondo luogo, il PdL manterrebbe sotto ricatto il governo con la minaccia
permanente di una crisi, imponendo così i suoi diktat.
Infine,
la risuscitata Forza Italia avrebbe il tempo per riorganizzarsi ed intercettare
un leader che possa guidare il partito nelle consultazioni elettorali.
È
molto probabile, infatti, che per molti anni Berlusconi, una volta interdetto dai
pubblici uffici, possa essere solo padre putativo di Forza Italia ma certamente
non il suo candidato premier.
Un
dubbio: ma se con tutto questo guazzabuglio Berlusconi avesse fatti i conti
senza l’oste ?