domenica 10 novembre 2013

Un crogiolo del malaffare

Non c’è da sorprendersi se ATAC, l’azienda che gestisce la mobilità autoferrotranviaria del Comune di Roma, sia finita ancora una volta sotto i riflettori come crogiolo del malaffare politico ed affaristico della Capitale.
Un bel daffare, davvero, per la Magistratura romana, impegnata da tempo nello scoperchiare la turpitudine, diffusa e variegata, che si è radicata negli anni in questa azienda pubblica, con la connivenza dei politici che si sono susseguiti nei palazzi romani del potere.
È stato definito “parentopoli”, a ragion veduta, lo scandalo che ha visti otto manager di ATAC rinviati a giudizio, con l’imputazione di abuso d’ufficio, per aver proceduto a 49 assunzione di mogli, figli, cognati, amici, amici degli amici, tra cui anche una ex cubista, “omettendo di fare riferimento nel singolo contratto di assunzione a specifiche e reali esigenze dell’azienda”.
Sfogliando le tredici pagine redatte dal Pubblico Ministero, a chiusura delle indagini, è possibile conoscere, per ognuno dei 49 beneficiati, qualifica, stipendio, irregolarità nella procedura di assunzione ed alla fine … c’è solo da incazzarsi di brutto.
Ma ATAC è implicata anche nell’inchiesta per una tangente di 600 milioni di euro che Breda Menarini avrebbe pagata per la vendita di 45 filobus, mai consegnati.
Inchiesta per la quale è finito in carcere Riccardo Mancini, ex amministratore delegato di Ente EUR.
L’elenco dei misfatti che hanno vista coinvolta, negli anni, ATAC potrebbe proseguire, se non che si viene a sapere, in questi giorni, che la Magistratura romana avrebbe scoperchiata un’altra vicenda inverosimile per la sua scelleratezza.
Ricorrendo ad un sistema di doppia contabilità, alcuni manager ATAC avrebbero messa in circolazione una serie clonata di ticket, per l’utilizzo dei mezzi pubblici, allo scopo di creare fondi neri con i quali foraggiare politici, amministratori locali, partiti e manager.
L’ammontare dei fondi neri si aggirerebbe su 70 milioni di euro, un importo, cioè, frutto dei servizi autoferrotranviari dell’azienda che, però, non figura nei bilanci ufficiali con le intuibili conseguenze rovinose, economiche e finanziarie, sulla gestione.
È inaudito che a fronte di un fatturato ATAC di circa 120 milioni di euro, servizi prestati dall’azienda per un valore di 70 milioni siano stati destinati alla creazione di fondi neri.
Ipotizziamo, ora, che la Magistratura scoprisse una nefandezza, di questo tipo e di questa rilevanza, presso una impresa privata.
Cosa succederebbe ?
Sicuramente imprenditore e manager finirebbero in gattabuia, i loro beni sarebbero posti sotto sequestro, l’impresa collasserebbe sotto il peso di imposte, tasse e salate sanzioni, i lavoratori si ritroverebbero sul lastrico.
Nel caso, invece, di un’azienda pubblica, come è il caso di ATAC, la fitta rete di corruzioni e connivenze, architettata dal sistema politico del malaffare, fa di tutto per ostacolare la Giustizia.
Prima o poi, con pazienza e determinazione, la Magistratura  arriva, però, a mettere le mani sui responsabili di questi misfatti.
Ecco perché sarebbe bello che, nel nostro Paese, si allestissero uno o più campi di lavori forzati nei quali relegare, a pane ed acqua, politici, amministratori locali, manager pubblici, corrotti e corruttori, rei di essersi appropriati e di aver dilapidato il denaro dei contribuenti.
Tra l’altro, sarebbero campi di lavoro di pubblica utilità perché potrebbero servire per realizzare, con costi minimi, le tante opere pubbliche di cui l’Italia ha bisogno.

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