Sarà,
forse, per il fatto che non mi appassionano i trattati di macroeconomia,
certo è che non riesco proprio a condividere la frenesia di questi giorni per
raggiungere la parità dell’euro con il dollaro.
A
detta di eminenti teste d’uovo dell’economia l’euro indebolito nei confronti
del dollaro aumenterebbe la competitività economica dei prodotti italiani sui
mercati internazionali e ne faciliterebbe lo sviluppo delle esportazioni.
Ovviamente
non mi permetterei mai di mettere in dubbio il verbo di così autorevoli economisti
sempre che assumano come scenario di riferimento solo l’insieme dei paesi che
adottano il dollaro nelle loro transazioni commerciali.
Per i
paesi, infatti, che adottano l’euro come moneta nazionale e che costituiscono
un mercato di oltre 340 milioni di consumatori, l’indebolimento dell’euro e la
sua parità con il dollaro non migliorerebbe affatto la competitività economica
dei prodotti italiani.
In
base ad un recente studio pubblicato dal Gruppo SACE, nel 2012 le imprese
italiane avrebbero indirizzato oltre il 50% delle loro esportazioni verso paesi
dell’area euro, quindi su questi mercati non si otterrebbe alcun miglioramento
della competitività grazie alla raggiunta parità euro-dollaro.
Anzi,
da uomo della strada ho il dubbio che proprio la parità euro-dollaro potrebbe
peggiorare la competitività dei prodotti italiani.
Siccome
tra i molti difetti ho anche quello di essere pragmatico, proverò a spiegare le
mie perplessità con qualche esempio concreto.
L’Italia
importa l’intero suo fabbisogno di petrolio e lo paga in dollari.
Fino a
quando il valore dell’euro è stato superiore a quello del dollaro per
acquistare un barile di petrolio occorrevano meno euro (NdR:
anche se di questo il consumatore italiano non se ne è mai reso conto perché le
aziende petrolifere si sono guardate bene dal riversare il vantaggioso
fluttuare dei cambi sui prezzi di benzina e gasolio alla pompa).
Discorso
analogo valeva per le nostre importazioni di gas.
Ebbene,
una volta che l’euro avrà raggiunta la parità con il dollaro, per le imprese
italiane e per noi consumatori aumenteranno, ad esempio, non solo i costi energetici
ma anche gli acquisti in dollari di materie prime, oltre ai costi per il
trasporto di persone e merci.
Il
risultato, perciò, sarà un diffuso aumento del costo per unità di prodotto che,
inevitabilmente, le imprese dovranno ribaltare sui prezzi di vendita vanificando,
se non del tutto almeno in parte, quella maggiore competitività economica che
tanto eccita le teste d’uovo dell’economia.
Come
se non bastasse, ancora una volta a farne le spese sarà il consumatore italiano
che con gli stessi euro che oggi ha nel suo portafoglio potrà comprare ancora meno
prodotti perché più cari.
Si soffocherà
così l’auspicato rilancio dei consumi interni.
Ma, anche
il turista italiano che visitando, ad esempio, gli USA godeva fino ad ieri di
un cambio euro-dollaro favorevole, domani perderà questo vantaggio.
Insomma, la solita manfrina dei poteri
finanziari per oscurare il loro vero obiettivo: riportare il tasso di
inflazione verso il 2% nell’UE, come agognato dalla BCE di Mario Draghi.
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