Appena chiuse le urne si è data la stura alle
elucubrazioni con cui analisti e commentatori politici si sono affrettati ad interpretare
il mancato raggiungimento del quorum per il cosiddetto referendum delle trivelle.
Da un lato i filorenziani erano al settimo cielo per l’insuccesso
del referendum, dall’altro, invece, i sostenitori del referendum si
rallegravano perché oltre 15 milioni e mezzo di italiani si erano recati alle
urne ed i “si”avevano superato l’85% dei voti espressi.
Insomma, come sempre ognuno dimostrava di avere di che
rallegrarsi.
Troppo impegnati, però, a sputare sentenze nessun
analista o commentatore ha saputo o voluto mettersi nei panni del comune uomo
della strada per cercare i veri perché di quel risultato.
Ad esempio, il quesito referendario poneva un problema di
sicuro critico, ma vissuto sulla loro pelle solo dalle popolazioni di alcune
zone della fascia adriatica, e più in particolare da coloro che vivono il mare
come una risorsa essenziale per la loro esistenza.
La maggior parte degli italiani, però, è portata a
preoccuparsi e ad aver cura soprattutto del proprio orticello, dimostrandosi troppo
spesso incurante delle difficoltà che affliggono gli orticelli dei vicini.
Per questo mi domando quale tormento possa aver generato,
per esempio in un cittadino della Valle d’Aosta o dell’Alto Adige, il fatto che
le trivelle inquinino il mare adriatico.
Ecco perché sono convinto che il quorum non si
raggiungerebbe neppure qualora fosse promosso un referendum contro il via vai di
transatlantici nel canal grande di Venezia o contro la TAV in Val di Susa.
Era facilmente prevedibile, perciò, che la maggioranza
degli italiani disertasse le urne trattandosi di un problema che non toccava il
loro orticello.
Non va neppure trascurato che i media di regime, ad iniziare
dalle televisioni RAI, avevano meticolosamente oscurato il referendum, impedendo così ai cittadini di farsi una idea, se non altro, delle ragioni del si e del no.
Ma sull’astensionismo ha sicuramente pesato l’azione ricorrente
di terrorismo disoccupazionista, messa in atto da Matteo Renzi e dai suoi galoppini,
sparando la menzogna che, se avesse vinto il si, dal giorno dopo 11.000
ingegneri, tecnici ed operai, impiegati sulle piattaforme, si sarebbero trovati
sul lastrico e senza lavoro.
Una menzogna monumentale perché era chiaro che qualora
avesse vinto il si le piattaforme avrebbero continuato ad essere operative per
l’intera durata delle concessioni in essere, per cui ingegneri, tecnici ed
operai sarebbero rimasti al loro posto di lavoro.
Menzogna che Renzi ha avuta la faccia tosta di riproporre
anche nella conferenza stampa di domenica, dopo la chiusura delle urne, affermando
che l’eventuale vittoria dei si “avrebbe portato a 11.000 licenziamenti”.
Oddio, è vero che non è questa la prima menzogna di cui
si sono serviti Renzi ed i suoi galoppini per turlupinare gli italiani, però è
inspiegabile che nessuno dei molti cronisti presenti alla pletora di conferenze
stampa ed interviste, rilasciate dalla gente renziana, abbia smascherata questa
fandonia.
Eppure bastava leggere il quesito referendario per
rendersene conto !
Comunque, nella storia della Repubblica è stato ancora
una volta il mancato superamento del quorum a trasformare un referendum in un
buco nell’acqua.
Mi domando, perciò: perché non prevedere un quorum anche per
le consultazioni che conferiscono a qualcuno il potere di governare il Paese,
le Regioni, i Comuni ?
Ad esempio, con la crescita dell’astensionismo registrata
negli anni e con una legge elettorale come l’Italicum, è accettabile che arrivi
a Palazzo Chigi, magari dopo il
ballottaggio, qualcuno che sia stato votato solo dal 15 / 20 % del corpo elettorale,
cioè da meno dei 15.806.788 che hanno votato il referendum ?
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