Era il 9 settembre 2016, cioè 4 giorni fa, quando dal
Ministero del Lavoro, e non dal boudoir delle sciura Maria, venivano resi noti
alcuni dati, non rassicuranti, sul mercato del lavoro relativi al secondo
trimestre 2016.
Secondo il Ministero del Lavoro, infatti, nel trimestre
aprile – giugno, si sarebbero registrati 221.186 licenziamenti, cioè 15.264 in
più (+ 7,4%) rispetto al secondo trimestre del 2015.
Non solo ma, il saldo tra attivazione di nuovi contratti
e cessazioni di quelli in essere, evidenziava un saldo attivo di 392.043 nuove
assunzioni, vale a dire il 29,4% in meno rispetto a
quelle registrate nel corrispondente trimestre 2015.
In incremento del 26,2%, invece, i contratti di
apprendistato.
Questi dati del Ministero del Lavoro sembrerebbero contrastare
con quanto l’ISTAT aveva affermato 24 ore prima, l’8 settembre, nella sua
consueta informativa sul mercato del lavoro: “… nel secondo trimestre del 2016 l’occupazione
complessiva cresce in modo sostenuto rispetto al trimestre precedente (+ 0,8%,
189.000) con una dinamica positiva che, con diversa intensità riguarda tutte le
tipologie: i dipendenti a tempo indeterminato (+0,3%), quelli a termine (+3,2%)
e gli indipendenti (+1,2%)”.
Naturalmente l’Innominato si è guardato bene dal
commentare i dati del Ministero del Lavoro, mentre ha colto al volo l’assist
offertogli dall’ISTAT per dichiarare gongolante: “è la prova che il Jobs Act
funziona !”.
È vero che il Ministero riporta il raffronto fra il
secondo trimestre 2016 ed il corrispondente periodo 2015, laddove l’ISTAT si
limita a confrontare esclusivamente i dati del secondo trimestre 2016 con quelli
del primo.
È anche vero che il Ministero considera tutto il lavoro
dipendente, compresi domestici, agricoli, pubblica amministrazione e contratti
di collaborazione, mentre l’ISTAT prende in considerazione solo i collaboratori
delle imprese industriali e dei servizi.
È vero, infine, che né il Ministero né l’ISTAT tengono conto
di 69,9 milioni di voucher venduti nel primo semestre 2016, destinati al pagamento
dei lavori precari, con un incremento del 40,1% rispetto al primo semestre 2015
(NdR: poiché, però, in
molti casi i datori di lavoro utilizzano
il voucher per regolarizzare solo una o due ore di lavoro, pagando in nero le altre ore prestate, dietro ai 69,9
milioni di voucher fiorisce il lavoro nero).
Ora,
di fronte a questo scenario di dati difformi ed incompleti io, comune cittadino
desideroso di capire quale sia lo stato di salute dell’occupazione nel nostro
Paese, a chi devo credere ?
Nessun commento:
Posta un commento