Non volevo e non potevo crederci !
Così sono andato sul sito di ISTAT e mi ha stralunato leggere
la specifica del criterio con cui, nel rispetto di quanto convenuto con la
Organizzazione internazionale del lavoro, l’Istituto Nazionale di Statistica
certifica l’occupazione in Italia.
“Occupati: comprendono le persone di 15 anni e più
che nella settimana di riferimento:
· hanno svolto almeno un’ora di lavoro retribuito
· hanno svolto almeno un’ora di lavoro non retribuito nella ditta di un
familiare nella quale collaborano abitualmente
· sono assenti dal lavoro (ad esempio per ferie o malattia)”
Proseguendo il paragrafo precisa anche cosa debba
intendersi per persona in cerca di occupazione.
“Persone in cerca di
occupazione comprendono le persone non occupate tra 15 e 74 anni che:
· hanno effettuata almeno un’azione attiva di
ricerca di lavoro nei trenta giorni che precedono l’intervista e sono
disponibili a lavorare entro le due settimane successive all’intervista
· inizieranno un lavoro entro tre mesi dalla
data dell’intervista e sono disponibili a lavorare entro le due settimane
successive all’intervista”
Finalmente comprendo come mai il tasso di disoccupazione
che ISTAT ci rifila periodicamente sia sempre difforme ed inconciliabile con i
dati reali sul mercato del lavoro che pubblicano il Ministero del Lavoro e l’INPS.
Mi sembra evidente che la difformità dipenda innanzitutto
dal metodo di rilevazione.
Infatti, Ministero del Lavoro ed INPS determinano il
saldo occupazionale, e quindi il dato effettivo, sulla base dei contratti di
lavoro in essere, dei nuovi contratti inseriti, dei licenziamenti e delle
dimissioni intervenute nel periodo (NdR: cioè con rispettosa fedeltà al principio “carta
canta”).
ISTAT, invece, pubblica quelle che l’Istituto stesso definisce
“stime ufficiali sul numero degli occupati e delle
persone in cerca di lavoro” valutate
in base ai risultati di “260 mila interviste condotte (ogni settimana) presso
circa 160 mila famiglie (intorno ai 370 mila individui)”.
Già solo da questa differenza di metodo si arguisce
perché secondo ISTAT il tasso di disoccupazione a luglio 2016 sia sceso all’11,4%,
mentre l’INPS evidenzia che nei primi sette mesi dell’anno i contratti di
lavoro a tempo indeterminato, documentati, abbiano registrata una caduta del
33,7% rispetto allo stesso periodo del 2015.
E’ fuorviante e distorcente, quindi, che le “stime
ufficiali” di ISTAT riconoscano come “occupato” perfino colui che nella
settimana dell’intervista abbia lavorato anche una sola ora retribuita, od
addirittura un’ora neppure retribuita se prestata presso la ditta di un
familiare.
Povera Italia ! Se siamo ridotti a considerare
occupazione anche il lavoro di una sola ora settimanale significa, per dirla
alla fiorentina, che siamo proprio “con il culo per terra”.
D'altronde, se i contratti a tempo indeterminato sono
crollati in sette mesi del 33,7%, come attesta l’INPS, mentre nello stesso
periodo i voucher venduti hanno raggiunto il numero record di 84,3 milioni, con un
incremento del 36,2% sul 2015 è innegabile non solo che ci contrabbandino come
affidabili indici della disoccupazione drogati, ma che la precarizzazione del
mercato del lavoro abbia imboccata ormai una china che sarà difficile, se non
impossibile, rimontare.
Nessun commento:
Posta un commento