Costituzione Italiana Art. 21: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione"
sabato 31 dicembre 2016
sabato 24 dicembre 2016
giovedì 22 dicembre 2016
Belando belando … salviamo la scranna
Un gregge di pecore e caproni, stanziale tra Montecitorio
e Palazzo Madama, con non uno ma ben tre voti di fiducia il 6 maggio 2015 ha
approvata quella che, secondo le esaltazioni del suo capo branco, sarebbe stata la
più efficace e pregevole legge elettorale del pianeta, invidiata all’Italia da capi
di stato e di governo di mezzo mondo smaniosi perfino di copiarla.
Mi riferisco, chiaramente, all’Italicum, la legge
elettorale in odore di incostituzionalità, che per mesi ha sequestrato il
Parlamento distogliendolo dai veri problemi urgenti del Paese.
Una legge elettorale, tra l’altro, “dettata” al gregge
dal rignanese, così sicuro di stravincere il referendum costituzionale da non
avere neppure presa in considerazione nell’Italicum la elezione del Senato.
A rompere le uova nel paniere, però, sono arrivate da un
lato la poderosa sconfitta nelle urne della riforma costituzionale e, dall’altro la perfidia con cui i sondaggisti hanno dimostrato che quella pregevole legge
elettorale sarebbe stata un boomerang letale per le mire dispotiche del ducetto
rignanese.
Cosa rimaneva da fare, allora ?
Dapprima una fulminea piroetta per riconoscere, di punto
in bianco, che l’Italicum tutto sommato non fosse così ben fatto ma
perfettibile e modificabile.
Poi, un colpo di scena davanti alla assemblea generale del PD con
riesumazione della legge elettorale cosiddetta “mattarellum” che il gregge, belando, ha osannato anche questa volta.
Oltretutto con malizia, poiché il “mattarellum” ricorda
il Capo dello Stato e quindi non dovrebbe dispiacere al Colle.
Tutto ciò però ancora non bastava perché il rignanese,
che ha perse molte delle sue certezze di assoluto dominatore del Paese, paventa
che il risultato del referendum costituzionale spinga alle urne il Popolo
Sovrano.
Cosicché ha architettato di chiamare in soccorso un suo
antico sodale, Berlusconi, il quale, in brodo di giuggiole all’idea di ritornare
star della scena politica, sebbene a capo di una ormai sgangherata Forza
Italia, ha gonfiato il petto propagando ai quattro venti l’intenzione di essere
protagonista della nuova legge elettorale.
Entrambi, però, Berlusconi ed il rignanese, hanno bisogno
di mesi per riassettare le loro incerte e sbrindellate schiere e, perciò, per perdere
tempo hanno deciso di riprendere il confronto sulla legge elettorale solo dopo
che la Consulta si sarà espressa sull’Italicum.
Così trascorreranno inutilmente molte altre settimane
prima che venga dato inizio al prevedibile lungo iter di trattative, scaramucce,
inciuci, retromarce e pseudo intese, mentre il Paese, impaziente di andare alle
urne, sarà tenuto in ibernazione.
Agli
italiani, perciò, non resta che assistere impotenti alle traversie del governo,
il Renzi bis, ed ancora dei soliti ministri Boschi, Poletti, Alfano, Madia, Lotti,
Pinotti, Padoan, Delrio, Calenda, Martina, Franceschini, Lorenzin, Orlando … senza
dimenticare la new entry Fedeli.
sabato 17 dicembre 2016
Autolesionismo a cinque stelle
Inesperienza, di certo. Dilettantismo, evidente. Sventatezza,
innegabile. Autolesionismo, velato.
Osservando in questi mesi le attività del sindaco romano,
Virginia Raggi, mi sembra impossibile non ascriverne comportamenti, scelte e modi
di fare ad un cocktail delle pecche prima citate.
Si ha quasi l’impressione che ci sia un preciso impegno
del sindaco nel voler dimostrare ai cittadini, non solo romani, la incapacità
del M5S a gestire la cosa pubblica.
Di sicuro una ferita letale al sogno utopico di Gianroberto
Casaleggio e Beppe Grillo di proporre una alternativa ad una politica che da
anni infetta il nostro Belpaese, una politica autoreferenziale, arrogante,
corrotta, clientelare, che non disdegna la collusione con mafia, camorra e
ndrangheta.
Una politica che mette alla pari senza distinzioni tutti
i partiti traghettatisi con tracotanza dalla prima alla seconda repubblica.
Per questo all’apparire del M5S milioni di italiani hanno
creduto alla possibilità di un cambiamento, a tal punto da far sì che il M5S, alle
elezioni politiche 2013, risultasse il primo partito alla Camera con 8.689.168
voti.
Un successo impensabile che oggi sembrerebbe confermato
ancora dai risultati del referendum costituzionale.
Per questo sorprende la noncuranza con cui Beppe Grillo assista
da mesi al devastante cocktail con cui il sindaco Raggi sta fracassando la
credibilità del M5S, e non solo.
Di fronte a tanta incuria il primo sospetto interpretativo
è che Grillo sia del tutto incapace di prevenire e gestire gli ostacoli che fatalmente
si frappongono alla affermazione di un movimento sfuggitogli di mano proprio
per la ampiezza del successo già ottenuto.
Una incapacità resa ancora più pregiudizievole dalla mancanza
di una visione strategica e dalla ottusità con cui Grillo sembra non
comprendere che quello che poteva essere, all’inizio, un trastullo per poche
decine di internauti, in rete con il mantra “uno vale uno”, sia diventato oggi
il punto di riferimento per milioni di cittadini.
Credere, ad esempio, che poche decine di contatti in rete
siano rappresentative di milioni di elettori non è solo da sciocchi, ma conferma
la faciloneria con cui il M5S affronti non solo scelte e decisioni al suo
interno, ma ancor più grave le difficoltà del Paese.
Ho, però, un altro sospetto interpretativo ancora più sgradevole.
Il sospetto, cioè, che a Beppe Grillo del M5S ormai nun glie ne pò fregà de meno dal momento che il suo vero obiettivo, fin
dall’inizio, fosse non solo quello di scrollarsi di dosso un po’ della polvere
di oblio che appannava la sua immagine di comico, ma quello di dar vita ad una
lucrosa nuova attività fatta di introiti pubblicitari, vendita di libri,
rilancio della sua immagine e tour teatrali.
Pur non avendo mai votato per i cinque stelle, seguo da
anni con curiosità ed interesse le loro attività che a volte trovo perfino intriganti
e spassose.
Forse per questo non ho remore a criticare con serenità
quella che considero la strada dell’autolesionismo imboccata dal M5S da qualche
tempo a questa parte, non so se per scelta cosciente di Grillo, ma di certo nella
sua indifferenza.
venerdì 16 dicembre 2016
Nebbioline sul Colle
Se è vero, e non ho motivi per dubitarne, che al centro
degli incontri che Paolo Gentiloni sta avendo in questi giorni a Bruxelles, c’è
la pressante richiesta dei vertici europei, di rimuovere con impegno e rigore
la “polvere lasciata sotto
il tappeto” dal governo Renzi, immagino che al neo
premier tremino i polsi e non sappia a che santo votarsi.
Nonostante gli apprezzamenti di rito espressi a Gentiloni,
nelle stanze dei bottoni della Commissione Europea serpeggia il timore,
infatti, che a causa della sordina bruxelliana sulle criticità italiane, messa
in atto per non interferire con il referendum costituzionale, i governanti del nostro Belpaese si siano distratti e ne abbiano approfittato per trascurare le cose da fare.
A Bruxelles sarebbero preoccupati, in particolare, per le
difficoltà in cui versa il nostro sistema bancario, per l’incerto futuro del
Monte dei Paschi, per le sofferenze dei risparmiatori-clienti delle quattro banche
salvate da Renzi, ma tecnicamente collassate, per la crescita del debito
pubblico, per la manovra finanziaria che, priva delle coperture per diversi miliardi,
richiederà una manovra integrativa già nei primi mesi del 2017.
Ora, l’invito rivolto dall’UE a Gentiloni perché non
indugi a rimuovere la “polvere
lasciata sotto il tappeto”, suscita
in me, uomo della strada, perplessità sul modo in cui il Capo dello Stato abbia gestita la crisi e mi propone
alcuni punti interrogativi.
Ad esempio:
1. se persino l’UE si era accorta della “polvere sotto il tappeto”, possibile che Sergio Mattarella ne fosse
all’oscuro?
2. Siccome Renzi era stato sfiduciato, è vero,
ma da venti milioni di elettori e non dal Parlamento, come mai il Capo dello
Stato non ha ritenuto opportuno respingere le sue dimissioni e non lo ha
rinviato alle Camere affinché prima di andarsene risolvesse tutte le rogne che
stava lasciando, compreso l’Italicum ?
3. Non lo ha fatto, forse, perché dovendo adottare
decisioni impopolari e ripudianti alcune
scelte dei 1000 giorni di governo, Renzi
si è rifiutato di restare a Palazzo Chigi ?
4. Sergio Mattarella aveva compreso che quei
venti milioni di “NO” referendari contenevano anche una indubbia istanza di
cambiamento ?
5. E nel caso lo abbia compreso come mai ha
consentito che agli italiani fosse riproposta una compagine governativa che di
fatto è l’inquietante duplicato del governo Renzi ?
6. Chi è stato l’autore del coup de theatre con il quale dal cilindro è uscito fuori il nome di Paolo
Gentiloni ?
7. Ascoltando, infatti, le dichiarazioni delle
delegazioni che hanno partecipato alla sceneggiata delle consultazioni,
nessuna, compresa quella del PD, ha ammesso di aver fatto il nome di Gentiloni.
Ora, posso comprendere che per Sergio Mattarella si
trattava della sua prima volta (NdR: nascita
di un nuovo governo) e, quindi, ha pagato lo scotto del
noviziato, però non credo che al Capo dello Stato mancassero illustri e
preziosi punti di riferimento con i quali confrontarsi prima di assumere
decisioni di cotanta importanza per la vita e l’immagine dell’Italia.
A meno che Sergio Mattarella non abbia ascoltati unicamente
i consigli di Giorgio Napolitano, solo in tal caso si spiegherebbe perché sia
venuto fuori un pasticciaccio di questo tipo.
martedì 13 dicembre 2016
Ci sono scout e scout
È opinione
diffusa che chi in età giovanile si sia avvicinato allo scoutismo rimanga poi fedele,
nella vita, alle 10 regole di quella “Promessa Scout” che il fondatore del movimento, Sir Robert
Baden-Powel, redasse nel 1907.
Può anche darsi
che questa voce abbia un qualche fondamento, però credo che sia utopistico attendersi
che gli ex-scout tengano fede, tutti, a quelle regole che si sono impegnati a
seguire da ragazzi, pure se ancora oggi mostrano autocompiacimento per il loro trascorso
da scout.
Ad esempio,
prendiamo uno a caso !
Di certo a
molti non sarà sfuggito che il rignanese, ex presidente del consiglio rovinosamente
scivolato sulla buccia del referendum, colga ogni occasione per fare sfoggio della
sua esperienza giovanile nel movimento scoutistico, ovviamente cattolico.
Ho il
sospetto che lui si serva, ad arte, di quel ricordo quasi come salvacondotto
per rassicurare quanti, di volta in volta, storcono il naso ascoltando le sue
parole od osservando i suoi modi di agire.
La realtà è
che mentre al primo posto della “Promessa Scout” Sir Robert
Baden-Powel ha inserito la regola “L’onore di uno scout è di essere creduto”, il rignanese non abbia mai fatto nulla per essere
credibile, tanto è vero che anche i suoi amici scout lo avevano soprannominato “Il Bomba” per quel suo vizio di spararle grosse.
Un vizio dal
quale, evidentemente, non si è affrancato neppure da presidente del consiglio.
Così, ingegnoso
e vivace nel millantare vagheggianti successi dei suoi mille giorni di governo,
non si scompone neppure di fronte alle realtà che lo sconfessano.
Continua a
vantarsi, per esempio, di aver creato migliaia di nuovi posti di lavoro stabili,
mentre di fatto ha incrementato solo il lavoro precario, come attestano gli
inconfutabili dati resi noti dal INPS.
Nel 2012,
anno precedente la scalata di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, erano stati riscossi
22.700.000 voucher da parte di 366.465 lavoratori precari. Nel 2015, vale a
dire tre anni dopo, i lavoratori precari erano diventati 1.380.030 ed avevano
riscossi 88.000.000 di voucher. Nei soli primi nove mesi del 2016 i voucher
riscossi sono stati già 109.600.000.
Se è questo
il lavoro stabile di cui si vanta, abbiamo la riprova che in quanto a credibilità
il rignanese sia sotto zero.
Sir Robert
Baden-Powel, però, al secondo posto della “Promessa Scout” ha indicata
la regola: “Lo Scout è
leale”.
E qui possiamo
solo scompisciarci dalle risate.
Da questo punto
di vista, infatti, Renzi è latitante non solo come scout ma anche come uomo.
È diventato
presidente del consiglio congiurando contro Enrico Letta, suo compagno di
partito, che ha pugnalato dopo averlo rassicurato con il #enricostaisereno.
In questi
giorni, nondimeno, il rignanese, oramai dimissionario, ha predisposta la sua trappola
per un altro compagno di partito, Paolo Gentiloni.
Infatti,
dopo averlo designato come suo successore a Palazzo Chigi, ha imposta a
Gentiloni la stessa compagine ministeriale di quel suo governo bocciato nettamente
dagli elettori il 4 dicembre.
Attorniato,
perciò, dagli stessi ministri e senza disporre delle mancette renziane da dispensare
qua e là, Gentiloni si dovrà preoccupare soprattutto di porre rimedio alle rogne
lasciategli in eredità dai 1000 giorni del governo Renzi.
Uno dopo l’altro,
quindi, Gentiloni dovrà: affrontare il pasticcio Monte Paschi, sottovalutato per
mesi da Renzi & Co., curare che i risparmiatori affidatisi a MPS non ci
lascino le penne, mettere in sicurezza il sistema bancario, porre mano alla
riforma della PA bocciata dalla Consulta, assicurare gli interventi a favore delle
zone terremotate, attuare iniziative di lotta alla povertà diffusa, revisionare
la riforma delle banche popolari che il Consiglio di Stato ha stoppata
rinviandola alla Corte Costituzionale, affrontare la manovra integrativa di
10/15 miliardi sollecitata dalla UE, varare una legge elettorale che sostituisca
l’Italicum sotto esame da parte della Consulta, etc. etc.
Se questo non è uno
scherzo da preti fatto, ancora una volta, ad un compagno di partito, per di più
fedelissimo renziano … vatte a fida' !!! domenica 11 dicembre 2016
Se non è zuppa è pan bagnato
Dopo due giorni e mezzo si è conclusa al
Quirinale la lunga maratona che ha visto il Capo dello Stato impegnato ad incontrare
le delegazioni di tutte le forze politiche, per il rituale giro di
consultazioni propedeutiche alla nomina di un nuovo governo.
Al Colle sono saliti, infatti, i portavoce di
partiti, movimenti, gruppi e gruppuscoli, acronimi e consorterie, a testimoniare la risibile frammentazione del Parlamento italiano.
Personalmente trovo inaudito ed
inconcepibile che il protocollo abbia imposto a Sergio Mattarella di ascoltare,
uno dopo l’altro, i delegati di:
1. Gruppo Misto del Senato
2. Gruppo Misto della Camera
3. Südtiroler Volkspartei
4. Minoranza linguistica della Valle d’Aosta
5. Alternativa Libera Possibile
6. UDC – componente del Gruppo Misto della
Camera
7. Unione Sudamericana Emigrati Italiani
(USEI-IDEA) – componente del Gruppo Misto della Camera
8. FARE-PRI – componenti del Gruppo Misto
della Camera
9. Movimento Partito Pensiero e Azione – componente
del Gruppo Misto della Camera
10. Partito Socialista Italiano (PSI) e
Liberali per l’Italia (PLI) - componenti del Gruppo Misto della Camera
11. Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale
(FDI)
12. Democrazia Solidale – Centro Democratico
(DeS-CD)
13. Grandi Autonomie e Libertà (Grande Sud –
Popolari per L’Italia – Moderati – Idea – Alternativa per l’Italia – Euro-Exit –
Movimento Politico Libertas)
14. Civici e Innovatori (CI)
15. Per le Autonomie (SVP – UV – PATT – UPT) e PSI
– MAIE – componenti del Gruppo Misto del Senato
16. Conservatori e Riformisti (CR) – componenti dei Gruppi Misti di Camera e
Senato
17. Lega Nord e Autonomie (LNA)
18. Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia
Libertà (SI-SEL)
19. ALA – Scelta Civica per la Costituente
Liberale– MAIE – componenti dei Gruppi Misti Camera e Senato
20. Area Popolare – NCD – Centristi per l’Italia
21. Forza Italia – Popolo della Libertà
22. Movimento 5 Stelle
23. Partito Democratico
Una miriade di partiti, movimenti, sigle e
consorterie, spesso sparuti, che se fossero
etichette di prodotti commestibili, non troverebbero posto tutti insieme neppure
sulle capienti gondole di un supermarket.
Invece, non solo trovano posto nel
Parlamento italiano ma riescono perfino a dettare i tempi del programma di lavoro
al Capo dello Stato.
Siffatta frammentazione è conseguenza della
ignobile faciloneria con cui parlamentari, eletti nelle liste di un partito, trasmigrano
verso altri lidi per meschini tornaconti o per patologica smania di personalismo.
Un cancro politico che potrà essere
estirpato solo quando una legge imporrà ai potenziali randagi di lasciare la
poltrona parlamentare nel momento stesso in cui tradissero gli elettori
abbandonando il partito con cui sono stati eletti.
La politica italiana, però, è afflitta purtroppo
anche da altri mali incurabili.
Ad esempio, il vizio dei governanti di
ingannare spudoratamente i cittadini vendendo per vere promesse e fandonie che
poi sono sconfessate sia dai fatti che dai loro stessi comportamenti.
Ma è cronico anche il male di ignorare con tracotanza
la volontà espressa dagli elettori con il voto.
La combinazione perversa di queste due abiezioni
del fare politica sta mettendo in imbarazzo, in queste ore, lo stesso Capo
dello Stato.
Infatti, dopo aver sbandierato ai quattro
venti, per mesi, la promessa di lasciare la politica se sconfitto nelle urne referendarie,
Renzi non solo si è prontamente rimangiata la parola data, ma pretende ora di
imporre al Capo dello Stato la continuità di quella stessa compagine
governativa che è stata bocciata, sette giorni fa, da oltre 19 milioni di
elettori.
Insomma,
Renzi vorrebbe un nuovo governo che se non è zuppa è pan bagnato.venerdì 9 dicembre 2016
Politico giovane ma “vecchia maniera”
Quando a gennaio 2016 Matteo Renzi definiva il referendum
costituzionale “la madre di tutte le battaglie” affermava anche “non sono un politico
vecchia maniera che resta attaccato alla poltrona” per aggiungere, poche settimane dopo, che
in caso di sconfitta “è
sacrosanto non solo che il governo vada a casa ma che io consideri terminata la
mia esperienza politica” e concludeva
“secondo voi posso
diventare un pollo da batteria che perde e fa finta di niente?”.
Ha voluto scommettere sul referendum convinto che gli
italiani gli avrebbero tributato un plebiscito, tale da cementarlo per anni al
governo del Paese.
Forte di questa sua certezza per mesi ha canzonati i
sostenitori del “NO” accusandoli di rappresentare la vecchia casta di politici ostinatamente
attaccati alle loro poltrone.
Purtroppo, per lui, domenica 4 dicembre il Popolo sovrano
non solo non gli ha tributato l’atteso plebiscito, ma lo ha sotterrato, sul
piano personale e politico, sotto una valanga di “NO”.
Era legittimo attendersi che allo tsunami referendario seguissero,
da parte di Renzi, scelte coerenti.
Ebbene, in linea con le categoriche dichiarazioni della
vigilia Renzi è salito al Colle ed ha rassegnate le dimissioni da presidente
del consiglio, nonostante gli sprovveduti portaborse
di cui si è circondato supplicassero di non farlo.
Se non altro il clamoroso successo dei “NO” ha
prodotta una pletora di ormai ex-ministri ed ex-sottosegretari.
Per contro, invece, presentatosi alla direzione del PD Renzi
non ha fatto alcun cenno alla intenzione di dimettersi anche da segretario del
partito, avvalorando così i dubbi che il perentorio impegno “è
sacrosanto che io consideri terminata la mia esperienza politica” fosse solo una delle tante bufale con cui
ha disseminati i mille giorni di governo.
Non solo, ma in queste prime ore di consultazioni al
Quirinale, sembra prendere sempre più corpo la voce secondo la quale Renzi
abbia data, al Capo dello Stato, nientemeno che la disponibilità a formare un
nuovo governo, a condizione che lo appoggino partiti e movimenti che sono usciti
vincitori dalle urne referendarie.
Una pretesa stravagante ed insensata che, però, ha una
sua chiave di lettura.
Infatti, nonostante la puerile enfatizzazione di stupefacenti
risultati che avrebbero ottenuti nei mille giorni a Palazzo Chigi, in realtà Renzi
ed il suo governo hanno fatto solo il minimo sindacale.
In realtà, colpevole
di aver gettati alle ortiche mesi e mesi di lavori per una legge elettorale, l’Italicum,
in predicato di incostituzionalità, per una riforma della PA bocciata dal
Consiglio di Stato, per una riforma costituzionale bocciata dagli elettori, il
governo nel frattempo ha nascosti sotto il tappeto nodi complicati che stanno venendo
al pettine.
Criticità del sistema bancario, situazione spinosa del
Monte dei Paschi, manovra correttiva plurimiliardaria richiesta dall’UE, sono
solo alcuni dei primi problemi che dovrà affrontare e risolvere subito il
prossimo governo.
Ora, la pretesa che le forze di opposizione gli tolgano
le castagne dal fuoco, manifestata da chi per mille giorni le ha mortificate
spudoratamente, è un affronto al buon senso.
Se
poi questa pretesa viene da colui che, per sua stessa voce, dovrebbe aver già conclusa
da giorni la sua esperienza politica … beh, allora siamo in presenza di una
bizzarria da camicia di forza. martedì 6 dicembre 2016
#NonsistupralaCostituzione
Sono
convinto che, per rincuorare Renzi e lenirgli le amarezze della disfatta
referendaria, Enrico Letta non sia ricorso ad un vendicativo e spietato #Matteostaisereno.
Lo immagino perché,
per stile, lealtà e serietà, Enrico Letta surclassa innegabilmente Matteo Renzi.
Immagino, anche,
che 19.419.507 elettori con l’eclatante successo referendario del “NO” abbiano
voluto, in cuor loro, inviare a Renzi & Co. un #NonsistupralaCostituzione.
Un messaggio
che deve essere arrivato forte e chiaro al destinatario se è vero che dalle ore
23.00 di domenica 4 dicembre i tweet renziani, così fitti ed invasivi nei mille giorni di
governo, finalmente tacciono.
Personalmente
ho qualche dubbio che tutti gli oltre 19 milioni di italiani che hanno bocciata
la riforma Boschi, l’abbiano letta, e probabilmente bocciata solo per sentito
dire.
Forse,
almeno credo, molti elettori hanno invece voluto manifestare soprattutto la disapprovazione
per l’arrogante bullismo renziano che, con insolenza e cialtroneria, ha offesa
la Democrazia, ha calpestata la Costituzione, ha mortificato il Parlamento,
solo per imporre il suo disegno di deriva autoritaria.
Insolenza e
cialtroneria, peraltro, che hanno contrassegnata la stessa campagna
referendaria condotta da Renzi e dai suoi galoppini.
Da un lato,
infatti, abusando del suo ruolo di presidente del consiglio per settimane si è impadronito
con arroganza di radio, TV e carta stampata.
Dall’altro, ha
denigrati gli avversari, da lui definiti una “accozzaglia”, ed ha tentato di
turlupinare gli elettori con mistificazioni di ogni genere, ultima, ad esempio,
la inverosimile ed ingannevole scheda per la elezione dei nuovi senatori che ha
tirata fuori dal cilindro all’improvviso.
Per mille
giorni il suo narcisismo morboso lo ha spinto a perseguire soprattutto la affermazione
personale, da oggi però deve fare i conti con una indubbia e sonora sconfitta personale.
A tradire
Renzi, fino dai primi giorni dell’insediamento a Palazzo Chigi, è stata la delirante
presunzione di poter irretire gli italiani con il suo scilinguagnolo sciolto e
con la elargizione di mancette qua e là per il paese.
Ha dimostrato
di credere che l’italiano fosse un popolo di gonzi pronti ad abboccare ad ogni fandonia
venisse data loro da bere.
Ieri, con una affluenza
alle urne che ha superata ogni attesa, il popolo italiano ha dimostrato invece non
solo di essere vigile e pronto ad intervenire, ma soprattutto di non gradire che
arroganti ed imbonitori si impossessino delle istituzioni repubblicane, una
indicazione della quale il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, non potrà non tenere
conto già dalle prossime ore.
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