Credo sia la prima volta che, nella galassia dell’imprenditoria
italiana, si accenda un così vivace e pungente scambio di vedute tra alcuni dei
suoi più autorevoli esponenti.
Da una parte, Andrea Della Valle, Cesare Romiti e Carlo De
Benedetti, dall’altra, John Elkann e Sergio Marchionne.
Tema del contendere è stato, e continua ad essere, il
futuro della FIAT e dell’industria automobilistica in Italia.
Ad accendere la miccia, un comunicato stampa, della
Direzione FIAT, con il quale si annunciava che “Fabbrica Italia”, il progetto di belle speranze illustrato, con
enfasi, da Marchionne solo due anni fa, è da considerarsi “non più attuale”.
Una notizia inquietante, oltre che per decine di migliaia
di lavoratori, anche per la stessa economia del nostro Paese.
Con le parole di quello scarno comunicato la Direzione
FIAT sembra voler annunciare che la più importante realtà industriale italiana avrà
un futuro incerto.
Una incertezza che, John Elkann e Sergio Marchionne, non
hanno fugata neppure nell’incontro con il Governo, ricorrendo a vaghe ed ambigue
dichiarazione di principio del tipo: “la
FIAT non lascerà l’Italia” e “da soli
non possiamo fare tutto”.
Che la profonda e grave crisi in atto abbia colpito anche
il settore dell’auto è indiscutibile e lo dimostrano, mese dopo mese, i dati
delle immatricolazioni.
Che la FIAT, in questi anni sia rimasta al palo,
proponendo al mercato solo il restyling di modelli vecchi, prodotti nelle
fabbriche italiane, mentre i concorrenti europei erano impegnati nel lanciare,
a raffica, modelli nuovi, è indiscutibile.
Che le uniche vere novità FIAT siano state la “Nuova 500” e le sue diverse versioni, comunque
non competitive a causa dei loro prezzi, è una realtà sotto gli occhi di tutti.
Che, infine, dirottando in Serbia ed in Messico la
produzione della “Nuova 500”, si sia
sottratta, all’economia italiana, l’opportunità di creare lavoro è innegabile.
Con queste premesse quale reale significato può avere l’affermazione
“la FIAT non lascerà l’Italia” ?
Affinché il marchio FIAT, ed i suoi stabilimenti italiani,
abbiano ancora un futuro, sarebbe indispensabile che il management investisse,
da subito, nella progettazione di nuovi modelli, competitivi e considerati con
favore anche dai mercati internazionali.
Per progettare un nuovo modello, però, occorrono dai 18 ai
24 mesi.
Quindi, se gli investimenti in progettazione non fossero
avviati subito, l’affermazione di Marchionne che la FIAT riprenderà ad
investire in Italia solo dal 2014, appare come una nuova bufala, buttata là solo
per dire qualcosa e prendere tempo.
Che cosa, dunque, potrebbe frullare nelle teste di John
Elkann e Sergio Marchionne ?
Poiché di strategie aziendali ne mastico un po’, provo a formulare
una ipotesi neppure troppo inverosimile.
Innanzitutto, la FIAT non vuole perdere il mercato
italiano del quale, comunque, detiene ancora una quota significativa.
In secondo luogo, la FIAT e la famiglia Agnelli hanno in Italia
troppi e rilevanti interessi da tutelare.
Per Elkann e Marchionne, perciò, scoprire, in modo chiaro
e definitivo, le loro strategie potrebbe diventare un boomerang
incontrollabile.
Per questo, pensano di realizzare le loro strategie, passo
dopo passo, in modo che la trasformazione degli stabilimenti FIAT avvenga alla
chetichella ed in modo indolore.
Trasformare gli stabilimenti FIAT in cosa ?
Da un lato trasformare gli stabilimenti in assemblatori di auto e loro parti, per altri marchi, e dall’altro,
utilizzare il know-how FIAT per farli diventare fornitori di motori, cambi, telai e
componenti per le produzioni di auto progettate e realizzate in stabilimenti
all'estero.
Questo renderebbe comprensibile anche lo stop degli ultimi anni alla
progettazione di nuovi modelli.
Siccome, però, questa strategia non garantirebbe, in Italia, i livelli
occupazionali attuali, Elkann e Marchionne non possono far altro che
tergiversare e prendere tempo.
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