Un anno fa su questo blog esternai il mio sconcerto quando
il Tribunale del Riesame di Milano commutò l’ultimo dei quattro anni di
condanna (NdR: tre anni erano stati coperti da indulto), inflitti a Silvio Berlusconi dalla Corte
di Cassazione, in un benevolo affidamento ai servizi sociali, tradottosi poi in
concreto nelle quattro ore di presenza settimanale presso la Sacra Famiglia di
Cesano Boscone.
Mi chiedevo, allora, se gli stessi giudici sarebbero
stati così magnanimi da riservare altrettanta benevolenza nel caso il
condannato fosse stato un poveraccio qualunque.
Da allora, però, non solo convivo con quel dubbio, ma da quando
il Tribunale di Sorveglianza ha anche ridotto l’anno di servizi sociali a dieci
mesi e mezzo ed ha cancellati i due anni di interdizione dai pubblici uffici,
mi sono convinto che per colpa della mia crassa ignoranza non riuscirò mai a
penetrare gli oscuri meandri della giustizia italiana.
Infatti, non potrò mai capire neppure la decisione del Tribunale
del Riesame (NdR: sempre quello di Milano) adottata nei giorni scorsi in merito alla
detenzione del mafioso Giulio Lampada.
Proverò a spiegarmi con alcuni ragguagli.
Giulio Lampada, 44 anni, è stato condannato in appello
per associazione mafiosa a 14 anni e 5 mesi di carcere con il regime ex art. 41bis
(NdR: il cosiddetto “carcere duro”), perché riconosciuto come braccio operativo e finanziario,
a Milano, del clan ‘ndranghetino Condello.
Fin dai primi giorni il detenuto Lampada ha dimostrata insofferenza
per la vita carceraria con scioperi della fame e comportamenti sia
autolesionistici sia di ostilità verso gli addetti alla custodia penitenziaria.
Ricoverato dapprima nella struttura sanitaria del carcere
e poi in un ospedale esterno ha persistito in atteggiamenti di intolleranza che
il suo legale ha voluto giustificare affermando: “…il mio assistito ha una tremenda avversione per le sbarre, per le
divise e perfino per i camici bianchi dei medici” (NdR:
sic !!!).
Dopo tre anni di detenzione, sulla base dei referti
medici, redatti da alcuni consulenti, il Tribunale del Riesame si impietosì al
punto di concedere, al mafioso Lampada, di scontare la pena agli arresti domiciliari
presso una comunità terapeutica di Cairo Montenotte, nell’entroterra di Savona,
ciò nonostante il parere contrario del PM.
Una comunità, cioè, senza guardie, né divise, né sbarre
alle finestre.
Dopo sette mesi, però, al mafioso Lampada anche gli
arresti domiciliari presso la comunità sono apparsi troppo rigorosi ed
insopportabili.
Secondo i medici che lo hanno visitato a più riprese
Lampada non soffrirebbe di una vera e propria malattia psichiatrica, ma la
permanenza in luoghi che lui considera ostili e persecutori potrebbero indurlo
anche ad atti di autolesionismo.
In base alle perizie, il Tribunale del Riesame ha accolto così un nuovo ricorso, e nei giorni scorsi non solo ha confermati gli arresti
domiciliari, ma ha disposto anche il trasferimento di Lampada dalla comunità di
Cairo Montenotte alla lussuosa e rassicurante villa che il mafioso possiede a
Settimo Milanese dove, assistito amorevolmente da moglie e figlie, potrà finire
di scontare la sua condanna.
Ora, per colpa della mia crassa ignoranza non sarò in
grado di comprendere gli arcani della giustizia ma, porcaccia di una miseria,
mi è per davvero impossibile accettare che quel mafioso da alcuni giorni sia ritornato
a casa, dove nel più assoluto comfort finirà di scontare la sua condanna.
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