Probabilmente in questi giorni non sono solo tra i 500
milioni di cittadini che vivono nei 27 Paesi dell’Unione Europea a pormi alcune
domande in cerca di risposte.
Ad esempio, mi chiedo se fosse proprio questa l’Europa che
avevano pensata De Gasperi, Adenauer, Monnet, Schuman, Churchill.
Così come mi interrogo su che fine abbia fatta l’idea di Europa
come “unione economica e, in prospettiva,
politica tra i vari Stati europei, inizio del processo di integrazione europea”
che Schuman tratteggiò nel suo discorso al Quai d’Orsay di Parigi il 9 maggio
1950.
La sensazione è che quel progetto ambizioso sia finito,
coperto di polvere, negli archivi della storia perché, dopo 65 anni, l’Unione
Europea appare solo una costruzione burocratica, autoreferente, in balia degli interessi di parte e di egoismi nazionalistici.
Assistiamo, infatti, a vertici europei, inconcludenti, attenti
solo a dimostrarsi guardiani severi dei conti pubblici degli Stati membri, e del
tutto incuranti del benessere dei cittadini.
E sono guai per quei capi di stato o di governo che osino
ribellarsi ad assurdi diktat e si rifiutino di fare scempio delle condizioni di
vita dei propri concittadini.
È sotto gli occhi di tutti il caso della Grecia che la
Troika (Ndr: UE, BCE e FMI) vorrebbe
vessare ulteriormente, non ancora soddisfatta di aver già messo in ginocchio il
Paese e di aver dissanguati i cittadini greci.
Il braccio di ferro ingaggiato con Christine Lagarde e
con il potente e malefico ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, si
è oramai concluso con il rifiuto di Tsipras di immolare ancora il popolo greco
sull’altare dell’euro.
Certo è, però, che questa UE, sempre pronta ad imporre i
suoi diktat, si dimostra invece non disponibile a sostenere i paesi membri in difficoltà,
neppure quei paesi che si siano sottomessi supinamente alle sue voglie inconsulte.
Prendiamo ad esempio l’Italia.
Quando nell’agosto 2011 la BCE inviò al governo italiano
la lettera con le sue imposizione, per qualche mese Berlusconi temporeggiò senza
fare nulla, lasciando così che sui mercati finanziari la speculazione si sbizzarrisse
facendo lievitare lo spread fino al livello di 575 punti.
Fu allora che un Berlusconi tremebondo preferì lasciare Palazzo
Chigi cedendo il testimone a Mario Monti.
Ereditati da Berlusconi i diktat della BCE, Mario Monti
non fece assolutamente nulla per respingere, o quantomeno negoziare le gravose pretese,
ma servilmente si assoggettò a fare i compiti che gli venivano dettati da
Bruxelles.
A farne le spese sono stati sia i cittadini sia l’economia
del Paese, sacrificati da Mario Monti nel nome di una ubbidienza ossequiosa all’UE.
Insomma, tasse e poi ancora tasse, cancellazione di
diritti dei lavoratori e pensionati, impiego di denaro pubblico per salvare gli
istituti bancari, etc. etc.
Purtroppo per i cittadini italiani questa umiliante solfa
non è cambiata quando a Palazzo Chigi si è insediato Enrico Letta, che ha
proseguito senza esitazione nella cieca ed assoluta osservanza delle intimazioni
europee.
Ma neppure l’avvento a Palazzo Chigi di Matteo Renzi ha
portato un cambio di rotta, anzi.
In buona sostanza, uno dopo l’altro, Berlusconi, Monti,
Letta, Renzi si sono dimostrati soprattutto incapaci di tutelare gli interessi
dei loro concittadini e di contrastare con fermezza la austerity imposta da Bruxelles.
Ma, nonostante anni di sottomissione dei governi italiani
alle pretese europee, il nostro Paese non ha acquisito né credito né rispetto presso
i partner europei.
Anzi, sembra quasi che l’essersi comportata da suddito osservante
dei voleri europei abbia rafforzata, nei nostri partner, la convinzione che l’Italia
possa essere bistrattata senza riguardo.
La conferma si è avuta nei giorni scorsi quando la
richiesta italiana, di condividere la gestione dei flussi di migranti che
sbarcano senza tregua sulle nostre coste, è stata di fatto spernacchiata dal vertice
dei capi di stato e di governo europei.
Infatti, checchè ne dica Matteo Renzi, rientrato da
Bruxelles con le pive nel sacco, il problema dei migranti sarà un fardello che
l’Italia dovrà gestire da sola, senza contare molto sulla “volontarietà” con cui gli stati membri potrebbero ripartirsi, in
due anni, l’irrisorio numero di 40000 migranti sbarcati sia sulle coste
italiane che su quelle greche.
Per
intanto se ne riparlerà nel prossimo vertice di luglio, quando i molti paesi
contrari, tra cui Repubblica Ceca, Slovacchia ed Inghilterra, potrebbero far
saltare qualsiasi abbozzo di accordo.
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