Ci sono dei giorni, ed oggi è uno di quelli, in cui dopo
aver fatto il pieno di notizie sulle dilapidazione del denaro pubblico e sulla
propagazione di ruberie e malaffare nella pubblica amministrazione non solo mi
incazzo, ma mi vergogno di essere italiano.
Disonestà, abusi, illegalità pervadono a tal punto la nostra
società da indurre a credere che la rettitudine e l’onestà siano monete ormai così
rare nel nostro Bel Paese da meritare un posto di rilievo nelle bacheche dei
collezionisti.
A lenire tanta amarezza c’è solo la consapevolezza che,
nonostante tutto, ci sono milioni e milioni di italiani perbene, che vivono del
loro lavoro, se hanno la fortuna di averne uno, fanno sacrifici, pagano le
tasse, a dispetto della disonestà dei troppi farabutti.
Purtroppo, mentre milioni di cittadini tirano la carretta
sempre più con fatica in questa congiuntura angosciante e senza fine, non passa
giorno che dalle cronache non emergano fatti a dir poco ignominiosi.
A Roma, ad esempio, mentre la Magistratura continua a
sollevare veli su “Mafia Capitale 1”
e “Mafia Capitale 2”, la Corte dei
Conti del Lazio avvia una indagine sull’impiego illegittimo di 350 milioni da
parte della amministrazione comunale.
Oggetto dell’inchiesta è il cosiddetto “salario
accessorio” con il quale, negli anni dal 2009 al 2013, l’allora sindaco
capitolino, il forzista Gianni Alemanno, ha generosamente omaggiati i 24000
dipendenti comunali usando denaro pubblico, ovviamente con il beneplacito di
quegli stessi sindacalisti sempre pronti a scendere in piazza per denunciare sprechi,
abusi, illegalità.
Di norma per svolgere con impegno e diligenza i compiti assegnati
ogni dipendente, anche quelli del Comune di Roma, percepisce un salario.
Sennonché il DL 78/2010 ha prevista la costituzione di
fondi per la corresponsione di un “salario accessorio” a quei dipendenti che si
distinguessero con performance di eccellenza per produttività, impegno, operosità.
Il “salario accessorio” dovrebbe essere, quindi, una forma
finalizzata a premiare il merito.
Ebbene, Gianni Alemanno, negli anni in cui è stato
sindaco di Roma, ha pensato bene di distribuire a pioggia i fondi del “salario
accessorio”, indiscriminatamente a tutti i 24000 dipendenti comunali, riuscendo
così a premiare anche coloro che si erano distinti con performance di “eccellenza” in termini di assenteismo, inoperosità,
sciatteria.
Ora, se Alemanno avesse dimostrata tanta generosità pagando
di tasca sua non ci sarebbe nulla da obiettare, se non che la generosità di Alemanno
è costata alle casse dello Stato, cioè a noi tutti, ben 350 milioni.
Ma, nelle stesse ore, la “eccellenza” negativa dei comuni italiani e dei loro dipendenti viene testimoniata dai Carabinieri di Marcianise e da alcune telecamere installate nei
locali del comune di Orta di Atella, cittadina di 30000 abitanti in Provincia
di Caserta.
L’occhio delle telecamere, infatti, ha permesso di osservare
un sistema consolidato con il quale, a turno, una ventina dei 128 dipendenti
comunali provvedeva alla vidimazione collettiva dei badge di presenza per tutti
i colleghi assenti dal posto di lavoro.
Così sono finiti indagati per i reati di truffa aggravata
e false certificazioni nientepopodimeno che 85 dei 128 dipendenti.
Ancora più disgustoso che questi reati, come è stato assodato,
siano stati commessi sotto gli occhi, tolleranti o complici, di amministratori
comunali, dirigenti ed addetti municipali alla vigilanza.
Non è certo questo il primo caso venuto a galla di truffe
commesse da dipendenti pubblici con l’illecito della vidimazione collettiva, ma
mi domando quanti di questi farabutti sono stati poi licenziati a calci nel
sedere?
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