La occhiata cupa e malevola, colta da questa foto, di Matteo
Orfini che fissava Michele Emiliano al termine del suo intervento, sintetizza il
clima astioso che aleggiava nei confronti di chiunque non fosse allineato e sottomesso
al verbo renziano durante la Assemblea generale del PD.
Non è la prima volta, a dire il vero, che nel PD si
conferma essere “democratico” solo l’aggettivo abbinato al nome del partito.
Un partito che, regnante il ducetto di Rignano, ha smarrita
ancor più la disponibilità intellettuale e reale al confronto delle idee, zittite
come blasfeme se non osservanti del pensiero renziano.
Eppure, basterebbe un minimo di onestà intellettuale per comprendere
che un confronto libero e franco avrebbe evitate al partito, o meglio al
governo Renzi, alcune rovinose musate che erano facilmente prevedibili.
Ad esempio, non occorreva essere docenti di diritto costituzionale
per rendersi conto che l’Italicum, la legge elettorale architettata da Renzi, contenesse
palesi ingredienti di incostituzionalità.
Ma il rignanese, ebbro di arroganza e presunzione, non
solo si è rifiutato di ascoltare le voci critiche che si levavano all’interno
del suo stesso partito, ma ha fatto perdere mesi di lavoro al Parlamento per
dibattere ed approvare a colpi di fiducia una legge che, come prevedibile, la
Consulta ha poi bocciata.
Ed oggi siamo senza una legge elettorale mentre il
Parlamento sarà costretto a sottrarre altro tempo ai problemi reali ed urgenti
del Paese per cercare di sfornare una nuova legge.
Ma elementi di incostituzionalità erano presenti anche
nella riforma Madia della Pubblica Amministrazione ed, ancora una volta, ha
dovuto intervenire la Consulta per cassarla e rimandarla al mittente.
La Consulta, invece, non ha avuto modo di esprimere il
suo giudizio sulla cosiddetta riforma Boschi perché ci ha pensato prima il
Popolo Sovrano ad affondarla sotto oltre 19 milioni di “NO” al referendum
costituzionale.
Ebbene, pur gravato da un fardello così greve di insuccessi
clamorosi, evitabili semplicemente dando spazio ad un confronto ed ascoltando
le opinioni di tutti, Renzi ed i suoi tirapiedi hanno trasformata la Assemblea al
Parco dei Principi nel più classico dei “j’accuse” rivolto a quanti
sembrerebbero non più disposti a rinunciare ad un confronto libero e franco per
sottomettersi ai diktat renziani.
Ho scritto “sembrerebbero” perché dopo aver trascorsa la
domenica ad essere presi a schiaffi dalle 11.00 alle 17.45, i cosiddetti “non
renziani” non hanno sbattuta la porta per dar vita a quella scissione che un
minuto prima che iniziasse l’Assemblea tutti davano per certa.
Eppure di aperture nei confronti delle proposte/richieste
della minoranza PD non si è intravisto alcuno spiraglio.
Anzi, la sensazione è che, con la convocazione di
congresso e primarie, Renzi ed i suoi peones abbiano iniziato a scavare la
fossa a Gentiloni per impedirgli di governare fino alla fine della legislatura.
Se questa si dimostrasse non essere solo una sensazione
vorrebbe dire che il rignanese, pur di installarsi a Palazzo Chigi, starebbe
per compiere un secondo assassinio politico di un compagno di partito, dopo
quello di Enrico Letta.
Di fronte a questo inquietante scenario mi domando: è mai
possibile che a rabbonire le bellicose argomentazioni di coloro che fanno parte
della cosiddetta minoranza PD sia la sola paura di perdere la lauta poltrona di
parlamentare o di amministratore locale?
Chi è che sta bluffando nel PD, Renzi che tira dritto sperando di liberarsi delle minoranze per sognare il Partito della Nazione o coloro che fingono la scissione ?
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