Oso credere che Michele Emiliano, governatore della
Puglia, non sia uno sprovveduto per cui se ha deciso di rompere il fronte
degli scissionisti e rientrare nei ranghi lo avrà fatto per un tornaconto che spieghi
la sua improvvisa piroetta.
Intervenendo alla direzione PD di ieri, peraltro, Emiliano
ha sparato ancora ad alzo zero contro l’ex segretario del partito, Renzi, riaffermando
molte delle critiche che già aveva espresse sabato alla riunione degli
scissionisti.
Ha anche confermato di volersi candidare alla segreteria
del partito, ispirandosi evidentemente alla massima decubertiana “l’importante
non è vincere ma partecipare”.
Immagino che il primo a compiacersi della sconcertante giravolta
di Emiliano sia proprio Renzi, il quale sa troppo bene di non potere fare a
meno di uno sparring partner per evitare che congresso e primarie appaiano, all’opinione
pubblica, come una ridicola sceneggiata.
Infatti, con un partito presidiato ormai in ogni dove da galoppini
renziani è scontato che Renzi sarà riconfermato segretario del PD.
In queste ore, dunque, sembrerebbe essere questo l’allestimento
scenico creato dall’Assemblea generale di domenica e dalla Direzione di
martedì.
Uno scenario sul quale, però, incombono due incognite: la
futura legge elettorale e la data delle elezioni.
Per quanto riguarda la data delle elezioni è prerogativa
del Capo dello Stato accertare se esistano le condizioni per anticiparle, dopo
aver valutati gli effetti che tale decisione potrebbe provocare al Paese ed
alla sua instabilità politica, economica e finanziaria.
La spada di Damocle della procedura di infrazione avrà certamente
il suo peso, così come lo ebbe nel novembre 2011 dopo la caduta del governo
Berlusconi.
Non sarà sufficiente, quindi, la decisione di Renzi di
staccare la spina al compagno di partito Gentiloni per indurre Mattarella ad
indire elezioni anticipate.
La seconda incognita è rappresentata dalla legge
elettorale che il Parlamento dovrà approvare dopo la bocciatura del Italicum da
parte della Consulta.
Se, come è probabile, il Parlamento dovesse orientarsi
per una legge proporzionale con premio di maggioranza solo alla lista che
conseguisse il 40%, la chiara frenesia di Renzi di tornare a Palazzo Chigi
dovrà fare i conti con un elettorato che non sembra più anestetizzato dalla sua
ciarlataneria.
Infatti, anche se sarebbe avventato, in questo momento,
dare credito ai sondaggi, può essere significativo osservare come il PD
post-scissione sia accreditato del 22/23%, con un gap cioè di 17/18 punti da
quel 40% che garantirebbe la maggioranza almeno alla Camera.
Poiché il personaggio Renzi, dopato da una smodata ambizione
personale, non si contenterebbe di un ruolo marginale, non è irragionevole immaginare
che già stia rimuginando sul da fare.
Ad esempio, potrebbe ipotizzare di dettare al PD, ormai
liberatosi delle minoranze, una ulteriore sterzata centrista che agevoli la
formazione di un listone babelico nel quale convergano NCD ed UDC, i verdiniani
di ALA ed i conservatori riformisti di Cor, oltre a formazioni minori oggi
presenti in Parlamento.
Sempre che, in alternativa, non emergano, ad esempio, accordi
inconfessati del Patto del Nazareno che prevedano la confluenza di PD e Forza
Italia in una nuova formazione politica che si presenti unita alle elezioni.
In entrambe queste ipotesi, molto somiglianti a quel
Partito della Nazione che Renzi ha già vagheggiato in più occasioni, che ne
sarà dei vari Emiliano, Cuperlo, Damiano e dei loro amici che ancora sperano in
una svolta a sinistra del PD ?
Spireranno
nuovi venti di scissione ?
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