martedì 28 aprile 2015

I capricci che rendono ridicola la politica

Neppure ai più distratti e superficiali può essere sfuggito che il Paese viva da anni uno stato di grave sofferenza, che la disoccupazione, giovanile e non, abbia raggiunti livelli intollerabili, che come certifica l’ISTAT ci siano più di 8 milioni di cittadini in condizione di indigenza, che le imprese deperiscano per la contrazione del mercato e sotto una pressione fiscale insostenibile, che la corruzione corroda la società ormai in tutte le sue componenti.
Anche i più distratti e superficiali si attenderebbero dalla classe politica un sussulto di responsabilità e di impegno nel fronteggiare le difficoltà che travagliano il Paese.
Invece, da mesi, la politica italiana, immeritevole di una “P” maiuscola ed autolesionista, come se nulla fosse corre dietro ai capricci di questo o quel capobastone incosciente egocentrico e narciso.
Capibastone che occupano i media in ogni ora del giorno, che si riempiono la bocca con proclami ingannevoli, che intasano i social network con tweet banali ed inconcludenti, infischiandosene se tra loro ed i cittadini la voragine diventi sempre più profonda.
Da quasi un anno, ad esempio, vogliono farci credere che tutti i nostri guai possano dissolversi, per magia, con l’approvazione della nuova legge elettorale, il repellente Italicum.
Era il 18 gennaio 2014 quando questa balla colossale ha incominciato a circolare, cioè subito dopo che Renzi e Berlusconi avevano flirtato nelle stanze del Nazareno.
Purtroppo, però, gli amori per interesse prima o poi finiscono e lasciano dietro di sé strascichi quasi sempre burrascosi con ripicche e capricci assurdi.
Se poi i due partner si assomigliano come gocce d’acqua, come nel caso di Renzi e Berlusconi, le ripicche possono assumere risvolti paradossali.
Così, ad esempio, dopo aver obbligati i valletti di Forza Italia a votare l’Italicum, oggi, in preda ad un capriccio senile Berlusconi scopre che la legge elettorale, la stessa che i suoi scagnozzi, obbedendogli, hanno approvata al Senato, è diventata improvvisamente incostituzionale.
In un paese normale sarebbe sufficiente un comportamento tanto irrazionale per indurre gli stessi parlamentari di Forza Italia a sollecitare la interdizione di Berlusconi per incapacità di intendere e di volere.
In Italia, invece no !
Infatti, a cominciare dal primo giullare di corte, Renato Brunetta, tutti i forzisti si sono immediatamente adeguati a queste paturnie senili, pronti a votare contro il testo che è stato approvato dai loro stessi colleghi senatori.
E che ti fa l’altro partner di questo amore prematuramente finito ?
Ebbene, Renzi non fa altro che reagire visceralmente con il solo scopo di dimostrare a Berlusconi che lui riesce a vivere anche senza i suoi abbracci interessati.   
E così inscena un capriccio puerile ed impone ai parlamentari del PD di approvare alla Camera quello stesso testo, approvato al Senato con i voti forzisti, contro il quale oggi il suo ex scaglia strali avvelenati.
Un capriccio talmente scriteriato da portarlo a minacciare addirittura la fine della legislatura se la Camera non approverà l’Italicum così com’è stato licenziato dal Senato.
Un capriccio, però, chiaramente puerile perché anche Renzi, che è maggiorenne e vaccinato, dovrebbe sapere che è prerogativa esclusiva del Capo dello Stato, e non sua, decretare la fine della legislatura e lo scioglimento delle camere.
Fatto sta che mentre i due ex si rinfacciano, con assurde ripicche, le colpe del loro flirt finito male, gli italiani continuano a tirare la carretta tra mille difficoltà, sempre più schifati di una classe politica incapace ed irresponsabile.

domenica 26 aprile 2015

Dov’è la sovranità nazionale dell’Italia ?

Di certo, senza l’intervento delle forze alleate difficilmente i partigiani sarebbero riusciti, da soli, a liberare il nostro Paese dal nazifascismo per festeggiare oggi il 25 aprile.
Di certo, senza l’occupazione dell’Italia da parte delle truppe a stelle e strisce non avremmo scoperto e ballato il boogie-woogie né masticato chewing-gum.
Di certo, senza gli aiuti economico-finanziari del Piano Marshall il nostro Paese non sarebbe riuscito in pochi anni a risollevarsi dalle macerie di ogni genere che la guerra ed il nazifascismo avevano lasciate.
Di certo, troppi italiani, impregnati di cultura cattolica non possono fare a meno di confidare nel loro angelo custode o in un santo protettore, anche se a stelle e strisce.
Fatto sta che, dopo 70 anni, molti americani pensano che l’Italia sia un paese ancora occupato virtualmente, in cui cioè le regole le dettano loro, occupanti, mentre a noi, occupati, non resta altro che uniformarci.
È anche vero che in questi 70 anni i governi italiani non hanno fatto molto per correggere la situazione, interpretando il giusto sentimento di gratitudine, per quanto fatto dagli USA negli anni ’40 e ’50, con atti di servilismo e salamelecchi.
Ricordo solo un caso in cui, nei confronti degli USA, l’Italia ha avuto un sussulto di sovranità nazionale.
È stato nell’ottobre 1985 quando la nave da crociera Achille Lauro fu sequestrata, in acque egiziane, da quattro terroristi palestinesi.
Fin dal primo momento il governo italiano, presieduto da Bettino Craxi, oppose un netto rifiuto alle pretese del presidente americano Ronald Reagan che non solo voleva impedire che l’Italia trattasse con i sequestratori, ma che voleva imporre il blitz di paracadutisti americani per liberare quella nave battente bandiera italiana.
Il braccio di ferro, tra Craxi e Regan, proseguì fino al punto di vedere contrapposti armi in pugno, nella base aerea di Sigonella, avieri e carabinieri da una parte, e decine di militari americani dall’altra, per contendersi i quattro dirottatori.
Come era logico accadesse, i responsabili del dirottamento furono assicurati alla giustizia italiana per essere processati e condannati dal Tribunale di Genova.
Diverso è stato, invece, l’atteggiamento del governo italiano, presieduto da Massimo D’Alema, nel 1998 quando un aereo militare statunitense violando, per il folle divertimento dei piloti, regolamenti e norme di sicurezza relativamente a velocità e quota, tranciò il cavo della funivia del Cermis provocando la morte di 20 turisti: italiani, tedeschi, belgi, polacchi, austriaci ed olandesi.
Pur trattandosi di un indubbio omicidio volontario compiuto in territorio italiano, ai quattro marines fu concesso di tornare in patria perché avevano lo status di militari della Nato.
Solo il primo pilota ed il suo navigatore furono indagati e processati per omicidio colposo da un tribunale militare ma, nel 1999, la giuria li assolse.
Il navigatore confessò, dopo qualche anno, che era stato bruciato deliberatamente il video che avrebbe consentito di accertare la verità sull’accaduto.
Non solo ma, nonostante le promesse fatte dal presidente Bill Clinton, lo Stato italiano dovette sobbarcarsi i costi sia per la ricostruzione della funivia che per i risarcimenti ai familiari delle 20 vittime.
Trascorrono alcuni anni e nel 2005 nei pressi dell’aeroporto di Baghdad, il funzionario del SISMI, Nicola Calipari, fu assassinato con un colpo di mitragliatrice alla testa da un militare americano mentre, in auto, scortava la giornalista Giuliana Sgrena appena liberata dopo il sequestro da parte di terroristi della Jihad.
Al marine responsabile dell’omicidio, Mario Lozano, una Corte americana riconobbe la “immunità funzionale”, per cui fu dichiarato non perseguibile.
Il governo italiano, presieduto da Silvio Berlusconi, pur di non urtare la suscettibilità del presidente George Bush e per quieto vivere, si piegò alle lacunose ed incongruenti conclusioni dell’indagine condotta dai militari americani, archiviando l’assassinio di Calipari come “un tragico incidente”.
Ed eccoci ad oggi.
Dopo oltre tre mesi dall’accaduto, il presidente Obama fa sapere che il 15 gennaio, sotto le bombe di un drone della CIA, è morto il cooperante italiano Giovanni Lo Porto.
È credibile che in tutti questi mesi il governo italiano, presieduto da Matteo Renzi, non sia stato messo al corrente dell’accaduto ?
Non solo, ma chi ha fornito dall’Italia, ai servizi segreti americani, i reperti indispensabili per effettuare l’esame comparativo del DNA di Giovanni Lo Porto ed attestarne la morte ?
Matteo Renzi, nei giorni scorsi incontrando Obama era informato della morte di Lo Porto mentre si impegnava a prolungare la missione italiana in Afghanistan a fianco degli americani ?
Personalmente, a farmi incazzare sono certamente i boriosi modi con cui gli americani trattano il nostro Paese, ma a farmi ancor più incazzare sono il servilismo e la sudditanza con cui i governanti italiani si relazionano con gli USA.

venerdì 24 aprile 2015

Persino il “tesoretto” è una bufala

Quando ero moccioso restavo a bocca aperta osservando i prestigiatori che facevano comparire e scomparire non solo oggetti di ogni tipo ma anche colombi e conigli.
Nella mia puerile ingenuità credevo davvero che quei signori addobbati da maghi possedessero poteri magici.
Crescendo ho smesso di credere non solo a Babbo Natale, a Gesù Bambino e alla Befana, soprattutto quella fascista, ma anche ai prestigiatori dei quali ho scoperti i loro trucchi.
Figuriamoci, perciò, se oggi che vivo serenamente la mia terza o quarta età che dir si voglia, io possa prestare fede agli illusionisti che, di volta in volta, appaiono sulla scena politica.
Ad esempio non ho dovuto attendere il giudizio espresso dai vertici di Via Nazionale o dal presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio per fiutare che il “tesoretto” di 1,6 miliardi, tirato fuori a sorpresa dal cilindro del DEF, fosse una delle oramai ricorrenti panzane campate in aria del nostro presidente del Consiglio.
Infatti, passano pochi giorni dal tronfio annuncio del “tesoretto”, propagato per ogni dove da Matteo Renzi, ed ecco che il Governo fa sapere di averlo congelato in attesa di verificarne la effettiva esistenza, in autunno, dopo il controllo dei conti pubblici.
Insomma, anche il “tesoretto” si è dimostrato una ciarlatanata renziana che è servita, però, per alcuni giorni a far accapigliare politici, sindacalisti, commentatori ed economisti sulla possibile destinazione di quel miliardo e seicento milioni, ma quel che è più grave ha accesa la speranza nei molti poveri diavoli indicati come possibili destinatari.
Non so se abbia ragione Enrico Letta quando assimila ad un oppiaceo sintetico, come il metadone, lo starnazzato modo con cui Renzi fa politica.
Personalmente sarei più propenso a qualificare fraudolento e disonesto ogni messaggio che Renzi propaganda al solo scopo di turlupinare gli italiani e magnificare il presunto operato suo e del suo governo.
Se non la smetterà di taroccare la realtà e di gabbare gli italiani con annunci truffaldini, ho paura che il nostro Paese finirà per passare dal famoso pantano, ossessivamente citato da Renzi, alle ben più pericolose sabbie mobili che ci risucchierebbero verso la rovina.

sabato 18 aprile 2015

Renzi, un principe confuso e dispotico

Il nostro presidente del Consiglio, parlando agli studenti della Georgetown University, ha definita l’Italia “la bella addormentata”.
Ripensando alla bella addormentata narrata da Giambattista Basile nel suo Pentamerone, mi sembra che Renzi rassomigli sempre più al principe del Pentamerone, che invece di risvegliare la fanciulla con le buone maniere si accaniva nello stuprarla.
Sarebbe stato meglio per tutti, non certo per i fiorentini, che Renzi avesse continuato a fare il sindaco della città gigliata invece di armarsi di stiletto per pugnalare Enrico Letta ed appropriarsi della poltrona di Palazzo Chigi.
Da quell’infausto giorno, infatti, il Paese vive in un crescente stato confusionale, frastornato dal fiume di tweet e di parole sconclusionate che Renzi scarica ogni giorno pur di assicurarsi visibilità.
Tralascerò di ritornare ancora sulla insensatezza che lo ha indotto a scegliere come interlocutore privilegiato un Berlusconi appena condannato ed espulso dal Senato, anche se purtroppo gli effetti ambigui ed imbarazzanti del “Patto del Nazareno” hanno inciso pesantemente in questi mesi sulla vita degli italiani.
È intollerabile, ad esempio, che in un Paese, da anni afflitto da una difficile crisi economica e sociale, si siano dovute perdere settimane e mesi in discussioni, risse, sedute parlamentari, per portare avanti la riforma elettorale e quella del Senato, assolutamente inutili per alleviare i penosi disagi di milioni e milioni di cittadini.
Come se non bastasse, dopo aver persi 15 mesi nessuna delle due riforme ha ancora tagliato il traguardo, non solo ma è di queste ore la notizia che un Renzi, sempre più affetto da insicurezza ontologica, sarebbe disponibile ad accettare che siano introdotte modifiche alla riforma del Senato, tra cui il ritorno alla elezione diretta dei senatori.
Sconcertante ! Fino ad ieri Renzi e la sua assistente Boschi hanno continuato a ribadire a gran voce che “elemento imprescindibile della riforma è che non ci sia l’elezione diretta dei senatori”, mentre ora anche questo paletto sembrerebbe rimesso in discussione.
Ora, aldilà dell’imbarazzante voltafaccia e dei mesi di dibattiti e lavori parlamentari buttati nella latrina per la cocciutaggine di Renzi a non voler ascoltare le proposte che gli arrivavano da più parti, è legittimo domandarsi: ma allora che fine farebbe la tanto strombazzata cancellazione dei costi del Senato ?
Procedendo di  confusione in confusione arriviamo al caso Indesit.
Era il luglio 2014 quando, in occasione dell’acquisto di Indesit da parte del gruppo statunitense Whirlpool, Renzi dichiarava: “La considero un’operazione fantastica. Ho parlato personalmente io con gli americani a Palazzo Chigi … Il punto non è il passaporto ma il piano industriale. Se hanno soldi ed idee per creare posti di lavoro, gli imprenditori stranieri in Italia sono i benvenuti”.
Evidentemente, suppongo per la sua approssimativa conoscenza della lingua inglese, nel corso del citato incontro a Palazzo Chigi Renzi deve essere incappato in un misunderstanding non avendo capito che Whirlpool non solo non intendeva creare posti di lavoro ma, anzi, aveva in programma di dichiarare un esubero di 1200 addetti nelle fabbriche e di 150 addetti nei centri ricerca.
Ed ora Renzi come spiegherà ai 1350 lavoratori in esubero che quella era una “operazione fantastica” ?
Forse l’Italia sarà anche “la bella addormentata”, di certo però è alla mercé di un presidente del Consiglio che soffre di stati confusionali tali da comprometterne non solo il risveglio ma perfino la sopravvivenza.

giovedì 16 aprile 2015

Una trappola nell’Italicum

C
redo che non ci possano essere dubbi sul fatto che il braccio di ferro sull’Italicum, all’interno del PD, manifesti più un dissenso sulla politica del governo Renzi che non una battaglia sulla introduzione delle preferenze.
Anche perché da sempre i cosiddetti “capilista” sono stati decisi dalle segreterie dei partiti, cioè dai capobastoni che, di fatto, decidevano a chi garantire le migliori chance di eleggibilità.
La creazione dei 100 collegi uninominali, quindi, è un falso problema.
Resta il fatto, però, che tra le poche luci e le molte ombre dell’Italicum è presente una insidia che mi sembra sottovalutata.
Mi riferisco alla trappola del “doppio turno”.
Giorni fa mi è capitato di ascoltare un sondaggista, cioè un presumibile addetto ai lavori, affermare che il ballottaggio, previsto dall’Italicum, avrebbe comunque il pregio di assegnare il premio di maggioranza al partito che ottenesse il 50 per cento più 1 dei voti.
Già ! Ma di quali voti ?
Quale sarebbe la reale rappresentatività dell’elettorato da parte di quel partito  ?
Ora, che al primo turno il premio di maggioranza sia assegnato al partito che abbia superato il 40%, non mi sembra un fatto scandaloso.
Anche se non va dimenticato che con un astensionismo ormai costante del 30/35%, il partito che vincesse le elezioni con il 40% dei voti, di fatto avrebbe riscosso il consenso di non più del 28/30% del corpo elettorale, cioè degli italiani aventi diritto di voto.
Pur rappresentando, perciò, meno di un italiano su tre, grazie al premio di maggioranza quel partito eserciterebbe un potere assoluto sul Paese, decidendo a suo piacimento tutto: politiche economiche, leggi, istituzioni, poltrone, etc..
L’insieme delle opposizioni, infatti, con 290 seggi su 630 sarebbe confinato in una condizione di impotenza.
Nel caso, invece, nessun partito al primo turno ottenesse il 40% dei voti espressi, i primi due partiti andrebbero al ballottaggio per contendersi il premio di maggioranza.
Ed è questa la vera insidia nascosta nell’Italicum.
Infatti si correrebbe il rischio reale di affidare un potere pressoché dispotico nelle mani di un partito non votato dalla maggioranza degli italiani.
Per verificare l’azzardo di questa trappola, possiamo tentare una simulazione con i sondaggi di queste ultime settimane. 
Se oggi si andasse alle urne i sondaggisti prevedono che nessun partito, al primo turno, arriverebbe alla fatidica soglia del 40%, per cui sarebbe inevitabile andare al ballottaggio.
I sondaggi, con un astensionismo del 40/41% segnalano che al secondo turno andrebbero: PD con il 35% (NdR: rappresentatività del corpo elettorale pari al 21%) e M5S con il 21% (NdR: rappresentatività del corpo elettorale pari al 13%).
Anche se al secondo turno uno dei due partiti otterrà immancabilmente almeno il 50 per cento più 1 dei voti espressi, è altrettanto vero che chiunque risultasse vincitore comunque disporrebbe di un potere assoluto, pur se votato da soli 2 dei 10 italiani elettori.
L’obiezione più ricorrente a questi numeri è: colui che non vota rinuncia ad esercitare un suo diritto, per cui  chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Vero ! E’ innegabile, però, che al netto dell’astensionismo fisiologico causato dalla impossibilità oggettiva di recarsi alle urne, c’è un crescente rifiuto a votare che manifesta diffusa insofferenza e fastidio verso un sistema politico che dà prova di indifferenza ai problemi della collettività, oltre a dimostrarsi inaffidabile e maneggione.
Ora, in un contesto sempre più maldisposto verso partiti e classe politica, attribuire un potere illimitato anche al doppio turno vorrebbe dire profanare i principi più elementari della democrazia.
Sacrificare la democrazia sull’altare della governabilità maleodora di preludio al totalitarismo.
D’altra parte, se gli elettori non danno il loro voto ad un partito per consentirgli di superare, al primo turno, la soglia del 40%, attribuire il premio di maggioranza con il ballottaggio rappresenterebbe un vero affronto alla volontà popolare.
È pur vero che non esista una legge elettorale perfetta ma, perbacco, l’Italicum è veramente più incostituzionale e detestabile del Porcellum. 

martedì 14 aprile 2015

Occupazione, tra buon senso e creatività

Forse sarà perché non sono né un cattedratico, né un politico né un sindacalista, però a me uomo della strada che cerca di usare il buon senso non è chiaro come possa il “Jobs Act” creare nuovi posti di lavoro.
Così come non riesco a comprendere Susanna Camusso quando, commentando il bonus sbucato nel DEF, chiede al governo: “se c’è un tesoretto lo si investa per il lavoro”.
Dopo aver vissuto molti decenni in aziende non credo di dire una idiozia se affermo che c’è una correlazione, diretta e vincolante, tra portafoglio ordini e livelli occupazionali.
Correlazione di cui, invece, in Italia non ha mai tenuto conto la pubblica amministrazione i cui organici da sempre sono influenzati da ragioni che nulla hanno a che vedere con principi elementari, come costo per prodotto/servizio erogato e produttività, requisiti imprescindibili, invece, per la sopravvivenza della imprenditoria privata.
Può essere sufficiente dare una occhiata agli organici di regioni, province e comuni, e rapportarli al numero degli abitanti amministrati per valutare le dissennatezze.
Ebbene, in una economia stagnante, se non addirittura in regressione, come illudersi che il “Jobs Act” possa creare nuovi posti di lavoro, checché ne dicano Renzi e Poletti ?
I dati ISTAT dimostrano  che nei suoi primi tre mesi il “Jobs Act” ha consentito, di fatto, solo la trasformazione di contratti da “tempo determinato” a “tempo indeterminato”, soprattutto grazie ai sostanziosi sgravi fiscali previsti.
Per carità, meglio di niente se il “Jobs Act” servisse almeno a ridurre il numero dei lavoratori precari.
Personalmente, peraltro, non mi faccio illusioni sul rilancio della economia solo per effetto dell’intervento della BCE e del calo del prezzo del petrolio.
Sono convinto che le difficoltà del mercato interno si supereranno solo se crescerà l’occupazione.
È questo il vero nodo che dovrebbe indurre governo, sindacati, confederazioni imprenditoriali, purché sotterrino le loro ottusità ideologiche, a sedersi intorno ad un tavolo per ideare soluzioni innovative.
Nel mio piccolo, so per esperienza che si può se tutte le parti ci mettono un po’ di buona volontà.
Ad esempio, perché non trovare il modo per incentivare con sostanziosi sgravi fiscali le imprese con più di 50 dipendenti, che prevedano un ricorso continuativo ed esteso al lavoro straordinario, invogliandole a sostituire il monte ore straordinarie con contratti a termine ?
Mi si dirà: ma questo significherebbe incentivare il precariato.
Vero. Ma non sarebbe più dignitoso e appagante, per un individuo, lavorare e guadagnare un salario anche solo per uno, due o tre mesi, piuttosto che angosciarsi da disoccupato, sentendosi ogni giorno inutile a se stesso ed alla propria famiglia ?
Tra l’altro le imprese si gioverebbero anche del risparmio sulla maggiorazione di costo del lavoro straordinario.
Non solo, ma perché non mettere anche mano, ad esempio, all’orario di lavoro delle 40 ore settimanali ?
Come ? Proverò a ragionare in concreto con dei numeri ipotizzando il caso di una impresa con 100 dipendenti.
Al lordo dell’assenteismo oggi l’impresa può contare ogni settimana, su 4.000 ore lavorative.
Nel caso l’orario di lavoro si riducesse, per esempio, a 36 ore, l’impresa avrebbe necessità di integrare l’organico con 11 nuovi posti di lavoro per mantenere invariati i livelli produttivi e pareggiare le 400 ore venute meno per la riduzione dell’orario (NdR: cioè un incremento dell’organico dell’11%).
Di certo si leverebbero al cielo le urla del duo Camusso-Landini, preoccupati di preservare i livelli salariali di chi lavora, senza troppo affannarsi per le tribolazioni dei disoccupati.
Così come, d’altra parte, mugugnerebbero imprenditori e manager, infastiditi dal dover rivedere almeno in parte la organizzazione delle attività, i turni di lavoro, etc..   
Al duo Camusso-Landini potrei far presente che sarebbe sufficiente che lo Stato dirottasse verso la riduzione del cuneo fiscale i miliardi, dissipati in modo improduttivo nella cassa integrazione e nei sussidi di disoccupazione, per assicurare invariati i salari netti.
Solleciterei, invece, imprenditori e manager a valutare le opportunità migliorative del cambiamento, ricordando tra l’altro che sarebbero loro i primi a beneficiare di un mercato interno vivacizzato da una maggiore occupazione.
Potrei accennare ad altri modelli, ma fino a quando la conflittualità ideologica non lascerà il passo alla buona volontà delle parti ed alla risolutezza nel risolvere il problema sarebbe solo fiato sprecato.

domenica 12 aprile 2015

De Gennaro al galoppo tra destra e sinistra

In questi giorni abbiamo la conferma che la politica ha vissuto in letargo gli ultimi quindici anni pur se attraversati da quattro legislature.
Tre lustri che hanno visto susseguirsi al governo del Paese Berlusconi, Prodi, poi ancora Berlusconi, Monti, Letta, ed ora Renzi.
Ora mi domando: è mai possibile che dovesse intervenire la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per scuotere dal torpore il mondo politico italiano?
Ad agitare le acque nei giorni scorsi, infatti, è stata la sentenza della Corte di Strasburgo che ha condannata l’Italia, riconoscendo il reato di “tortura” negli atti perpetrati dalla polizia con la irruzione alla Diaz, durante il vertice G8 a Genova del luglio 2001.
Anche se la responsabilità oggettiva dei fatti era da ascriversi, senza ombra di dubbio, a Claudio Scajola, all’epoca Ministro dell’Interno, ed a Gianni De Gennaro, Capo della Polizia, sul banco degli imputati sono finiti in Italia solo 25 agenti ed alcuni funzionari.
I tre gradi del processo farsa si sono conclusi nel 2012 in Cassazione con la prescrizione dei reati di lesioni gravi e con le sole condanne per “falso aggravato”.
Ecco perché la sentenza della Corte Europea rileva, tra l’altro, che “a causa della inadeguatezza delle leggi italiane” i colpevoli non sono stati né adeguatamente puniti, né hanno scontata alcuna pena.
Siccome, però, siamo in Italia non solo nessuno ha scontata la pena, ma i funzionari condannati sono stati gratificati con promozioni ed incarichi di prestigio.
Fatta questa doverosa ed opportuna premessa ritorniamo al brusco risveglio dei politici italiani.
Come per incanto, infatti, scossi dalla sentenza di Strasburgo molti politici solo nei giorni scorsi hanno scoperto e si sono indignati perché Gianni De Gennaro, che era al vertice della catena di comando della polizia, e quindi responsabile oggettivo dell’irruzione alla Diaz, non solo non fu rimosso allora dal suo incarico ma, anzi, è stato protagonista negli ultimi quindici anni di una galoppante carriera.
A non sdegnarsi, invece, è stato Matteo Renzi che oggi ha voluto dire la sua confermando la piena fiducia sua e del governo “sulle qualità e sulla competenza” di De Gennaro.
Oddio, che un profano in materia, come Renzi, esprima un giudizio nientemeno che su competenze e capacità del Presidente di Federmeccanica, mi fa solo sorridere.
È inevitabile, però, che queste reazioni politiche stimolino qualche riflessione.
Sul piano politico, ad esempio, mi chiedo come mai nessuno si sia stracciate le vesti ed abbia urlata la sua indignazione quando, dopo i fatti del G8, De Gennaro sia stato promosso da Berlusconi a Capo dei servizi segreti, o quando, nel 2007, Prodi gli affidò l’incarico di Capo di Gabinetto al Viminale, e neppure quando, nel 2012, Mario Monti arrivò perfino a nominarlo Sottosegretario per la sicurezza della Repubblica.
È pur vero che, per i fatti della Diaz,  dopo la condanna in appello ad un anno e quattro mesi, De Gennaro era stato assolto dalla Cassazione dal reato di istigazione alla falsa testimonianza nei confronti dell’ex questore di Genova, ma nominarlo addirittura Sottosegretario di Stato, come ha fatto Mario Monti, credo sia stata una corbelleria.
Sul piano pratico, invece, quello che più continua a sconcertarmi è la nomina di De Gennaro alla Presidenza di Federmeccanica, operata da Letta nel 2013.
Già allora mi ero domandato, infatti, quali esperienze e competenze avesse riscontrate Letta, nel curriculum di De Gennaro, in materia di strategie industriali e di mercato, di capacità a pianificare nuove acquisizioni ed aree di sviluppo, di ingegneria dei bilanci, al punto da affidargli la presidenza di Finmeccanica, cioè del primo gruppo industriale italiano.
È mai possibile che gli italiani debbano rassegnarsi  a vedere che un boiardo di Stato non solo sia considerato intoccabile vita natural durante, a prescindere dalle sue responsabilità, ma per di più possa anche occupare la poltrona al vertice di Finmeccanica senza possedere alcuna preparazione e competenza? 

sabato 11 aprile 2015

Esimio Onorevole Renato Brunetta…

Esimio Onorevole Renato Brunetta,
mi scusi se ardisco scriverLe queste righe, ma non riesco a trattenermi dopo aver letti, in queste ore, i Suoi tweet e le Sue dichiarazioni a commento del rinvio del Consiglio dei Ministri per il varo del DEF.
È opportuno che Lei sappia, innanzitutto, che non orbito né nell’area renziana, né tra i dissidenti del PD.
Sono, perciò, un semplice cittadino che tra i suoi molti difetti ha anche quello di inquietarsi quando la polemica politica diventa menzognera e fraudolenta.
Poche ore fa, e non è la prima volta, Lei ha accusato Renzi ed il suo governo di essere in totale confusione solo per aver rinviato di dieci ore la riunione del CdM.
Non ho alcun dubbio che Lei sia un esperto di stati confusionali dal momento che è riuscito a mandare in confusione anche Madre Natura nel farLa nascere, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Non solo, ma Madre Natura L’ha dotata anche di una overdose di borioso malanimo che La trascina troppo spesso a perdere il lume della ragione.
Infatti Lei non si è limitato a stigmatizzare il rinvio del CdM.
No ! Lei si è appigliato alla presunta indiscrezione di un miliardo e mezzo di euro che spunterebbe nel DEF, a favore del welfare, per divulgare questo tweet.
“#Def: pare che Renzi voglia destinare bonus 1,5 mld a welfare. Per decreto. Per comprarsi elezioni regionali come europee con 80 euro?”.
Suvvia, Onorevole Brunetta ma non si vergogna ?
Si è dimenticato, forse, quando il Suo padre-padrone per “comprarsi”, come dice Lei, i voti nel 2001 andò in TV e sottoscrisse un contratto con gli italiani, assumendo impegni grandiosi che non ha mai onorati ?
Si è anche dimenticato che nel 2013, in occasione delle elezioni politiche, il Suo padre-padrone, nel tentativo di “comprarsi”, sempre come dice Lei, il voto degli elettori, spedì a milioni di italiani, anche quelli defunti, una lettera con la promessa di rimborsare l’IMU 2012 ?
Possibile che Lei non ricordi di essersi vantato per aver ideata e scritta proprio Lei quella lettera fraudolenta ?
La verità, onorevole Brunetta, è che quel bonus di 80 euro, anche se propagandistico, alcuni milioni di lavoratori se lo mettono in tasca ogni mese, mentre delle promesse campate in aria, Sue e del Suo padre-padrone, gli italiani ne hanno le tasche piene.
Cordialmente
Alex di Monterosso 

giovedì 9 aprile 2015

Ancora con la balla degli 80 euro

Poniamo il caso che, come uovo di Pasqua, io abbia deciso di regalare ad ognuna delle mie due figlie 1.000 euro.
Dimostrerei di non essere sano di mente se negassi che quei 1.000 euro siano usciti dal mio portafoglio e sostenessi invece che siano un risparmio delle mie figlie.
L’esempio è sicuramente banale ma mi auguro aiuti a comprendere quanto truffaldino sia il nostro presidente del Consiglio quando spaccia come una riduzione delle tasse, per circa 13 milioni di lavoratori dipendenti, quel bonus di più o meno 80 euro elargito in busta paga dal maggio 2014.
Ancora ieri, in conferenza stampa, presentando le linee guida del DEF, documento di economia e finanza, ha avuta la faccia tosta di insistere con questa baggianata.
La verità è che, per elargire quel bonus, Matteo Renzi ha distratto dalle casse dello Stato circa 6 miliardi di euro, nel 2014, ed ha impegnato l’erario per circa 10 miliardi nel 2015.
Se Renzi non si fosse servito di questo coup de théâtre solo perché si era alla vigilia delle elezioni europee, quei 6 miliardi sottratti all’erario nel 2014, così come i 10 miliardi impegnati per il 2015, avrebbero potuto essere destinati per rappezzare alcune delle molte piaghe di cui soffre il nostro Paese.
Penso, ad esempio, al risanamento idrogeologico del territorio, oppure alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, o ancora alla ricostruzione delle zone terremotate a cominciare da L’Aquila, e così via.
Tra l’altro, dopo dieci mesi si è confermata una panzana anche la motivazione con cui Renzi voleva farci credere che il bonus sarebbe servito per rilanciare i consumi interni.
Ma, ad ulteriore conferma che Renzi sia truffaldino, nello spacciare il bonus come riduzione della pressione fiscale, c’è la stessa Legge di Stabilità 2015 che ha trasformato il bonus da “credito d’imposta” in “detrazione”.
Vale a dire, nella prossima dichiarazione dei redditi il lavoratore che avrà goduto del bonus dovrà solo detrarne l’importo dalle sue entrate, in quanto lo Stato ha già compensato al datore di lavoro il bonus erogato.
In altre parole, a quei lavoratori Renzi non ha accordata una riduzione delle tasse, ma ricorrendo ad una semplice partita di giro ha elargita una regalia pre-elettorale usando denaro pubblico.
Ne è convinta anche l’UE che ha ribadito più volte che il bonus costituisce una voce di spesa dello Stato e non una riduzione fiscale.
Non occorre essere docenti di economia, perciò, per comprendere che, quando Renzi contrabbanda il bonus di 80 euro come una riduzione fiscale, ci propina la sua ennesima balla.

martedì 7 aprile 2015

Cittadini e ciarlatani pseudo politici

Proviamo ad immaginare cosa accadrebbe, ad esempio, al presidente o all’amministratore delegato di una società per azioni che si presentasse all’assemblea degli azionisti e, per pavoneggiarsi, enunciasse risultati entusiasmanti ma che con il tempo si rivelassero fraudolenti.
Come minimo gli azionisti caccerebbero a calci nel sedere il manager cacciaballe e gli stroncherebbero la carriera esponendolo al pubblico ludibrio.
Ebbene, gli italiani, quelli che pagano le tasse, sono di fatto azionisti della SpA Italia.
Siamo cioè tutti membri di una assemblea che è chiamata a decidere le sorti del nostro Paese, il cui valore sociale supera di gran lunga quello di qualsiasi società per azioni.
Purtroppo, però, la nostra assemblea di cittadini-azionisti da sempre è disposta a farsi prendere in giro dalle fandonie di individui di mezza tacca che, con la correità di una informazione servile, ci raccontano balle a gogò smentite poi regolarmente dai fatti.
Individui che meriterebbero di essere cacciati a calci nel sedere ed esposti al pubblico ludibrio.
Con troppa fretta molti italiani, ad esempio, hanno dimenticato che nel 2001 Berlusconi, assistito dal maggiordomo Bruno Vespa, firmò un contratto con tutti noi impegnandosi, tra l’altro, a creare un milione e mezzo di nuovi posti di lavoro, ad abbattere al 23% la pressione fiscale, a raddoppiare le pensioni minime, etc. etc.
Nonostante nessuno di questi impegni sia stato rispettato, dopo quattordici anni tolleriamo ancora la presenza sulla scena politica di quell’individuo, pur avendo lui stesso garantito che si sarebbe ritirato se non avesse adempiuto al contratto sottoscritto in televisione di fronte a milioni di cittadini.
Eppure, incredibile a dirsi, a dispetto della evidenza dei fatti c’è ancora gente che continua a fidarsi delle sue fregnacce.
Poiché, però, al peggio non c’è mai fine, da oltre un anno un destino perverso ci costringe a subire le fanfaronate di un altro imbonitore da baraccone, copia conforme di Berlusconi.
Matteo Renzi già nel febbraio 2014, infatti, presentatosi alle Camere per chiedere la fiducia sciorinò un sacco di assurde panzane, turlupinando consciamente i boccaloni che lo ascoltavano dentro e fuori le aule parlamentari.
Di quelle fregnacce me ne ricordo alcune in particolare.
Si impegnò, ad esempio, ad attuare nel giro di qualche settimana una riduzione “a due cifre” del cuneo fiscale. Risultato: chi l’ha visto ?
Assicurò, anche, che il suo governo avrebbe presentata la riforma della giustizia amministrativa, civile e penale, entro giugno 2014 (NdR: 2014 non è un errore di stampa !). Risultato: chi l’ha visto ?
Assunse, inoltre, l’impegno a sbloccare entro luglio 2014 tutti i debiti della Pubblica Amministrazione per dare fiato ai creditori dello Stato (NdR: anche in questo caso il 2014 non è un errore di stampa !). Risultato: chi l’ha visto ?
Potrei proseguire ma non vorrei avere un travaso di bile.
Anche perché, da allora Renzi non ha mai smesso di pavoneggiarsi raccontando panzane con i suoi quotidiani ed insensati tweet, oppure rilasciando interviste, od anche occupando manu militari studi televisivi e radiofonici.
Tra l’altro Renzi è convinto di poter raccontare balle anche nei consessi internazionali dove finirà per suscitare risolini di compatimento, così come già accadde al suo compare del Nazareno.
In più non ha neppure il buon gusto di scusarsi quando la realtà lo svergogna.
Ad esempio, per ventiquattro ore è corso di qua e di là blaterando che grazie a lui ed al suo governo la ripresa economica era ripartita tanto che nei mesi di gennaio e febbraio 2015, rispetto ai primi due mesi dell’anno scorso, si sarebbe registrato un aumento di 79 mila contratti di lavoro a tempo indeterminato.
Sennonché, poche ore dopo, questa millanteria è stata sbugiardata da ISTAT i cui dati hanno indicato che al febbraio 2015 il tasso di disoccupazione è risultato in aumento al 12,7%, dato peggiore rispetto al febbraio 2014, con in più una disoccupazione giovanile del 42,6%, livello mai raggiunto prima.
Ancora una balla della quale Renzi non ha sentito il dovere di chiedere scusa agli italiani.
Anzi, sono convinto che in cuor suo si sia anche compiaciuto di essere riuscito a diffondere la sua bufala qualche ora prima che i dati ISTAT rivelassero agli italiani la triste realtà.
Mi domando: per il bene del Paese Italia quando l’assemblea dei cittadini-azionisti si libererà una volta per tutte di questi pseudo politici ciarlatani ?

venerdì 3 aprile 2015

Giovanni Toti e le trenete cu pestu’

Laureato in scienze politiche, quarantasettenne, giornalista professionista, subentrato ad Emilio Fede nella direzione del TG4, eurodeputato di Forza Italia, dal gennaio 2014 è nientepopodimeno che consigliere politico di Berlusconi.
In queste poche righe è sintetizzato il curriculum, professionale e politico, di Giovanni Toti.
Il 1° aprile Forza Italia, Lega Nord, e per effetto traslativo Casa Pound, hanno candidato Giovanni Toti alla presidenza della Regione Liguria per le prossime elezioni di maggio (NdR: purtroppo sembra che non si tratti di una burla da pesce d’aprile!).
Una candidatura per la quale Toti si è subito impegnato nel dar prova di essere idoneo come i classici cavoli a merenda.
Infatti, ospite di un talk show televisivo ha dimostrato di ignorare perfino i confini della regione della quale aspirerebbe a diventare governatore, asserendo che Novi Ligure è una cittadina ligure, così da provocare non solo una incazzatura generale dei novesi, fieri di essere piemontesi dell’Alto Monferrato, ma anche lo stupore dei liguri.
Ma quale voto in geografia poteva mai avere sulla pagella il bambino Toti quando frequentava le scuole elementari?
Oggi, difatti, un dotto signor Toti è scivolato su una buccia di banana sulla quale non incespicherebbe neppure il più negligente scolaro di una quinta elementare.
Ora, se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, ho l’impressione che Toti dovrà ingurgitare quantità smodate di trenete cu pestu’ prima di essere accettato come governatore dalla popolazione ligure, per sua natura, scontrosa e diffidente.
Non solo, ma siccome si vocifera malignamente che i liguri siano anche gente molto accorta alle palànche (NdR: vale a dire i soldi nel dialetto ligure), di certo si staranno chiedendo se d’ora in poi Toti continuerà ancora a farsi arrivare lo stipendio da Strasburgo, oppure si dimetterà da parlamentare europeo, come peraltro ha già fatto la sua collega, Alessandra Moretti, non appena si è candidata alla Regione Veneto.
Fatto sta che ascoltando lo sciabordio del mare ed assaporando un piatto fumante di trenete cu pestu’ i liguri, da Lerici a Bordighera, aspetteranno al varco questo rabberciato candidato al governo della loro regione.