Di
certo, senza l’intervento delle forze alleate difficilmente i partigiani
sarebbero riusciti, da soli, a liberare il nostro Paese dal nazifascismo per
festeggiare oggi il 25 aprile.
Di
certo, senza l’occupazione dell’Italia da parte delle truppe a stelle e strisce
non avremmo scoperto e ballato il boogie-woogie
né masticato chewing-gum.
Di
certo, senza gli aiuti economico-finanziari del Piano Marshall il nostro Paese non sarebbe
riuscito in pochi anni a risollevarsi dalle macerie di ogni genere che la
guerra ed il nazifascismo avevano lasciate.
Di
certo, troppi italiani, impregnati di cultura cattolica non possono fare a meno
di confidare nel loro angelo custode o in un santo protettore, anche se a
stelle e strisce.
Fatto
sta che, dopo 70 anni, molti americani pensano che l’Italia sia un paese ancora
occupato virtualmente, in cui cioè le regole le dettano loro, occupanti, mentre
a noi, occupati, non resta altro che uniformarci.
È anche
vero che in questi 70 anni i governi italiani non hanno fatto molto per correggere
la situazione, interpretando il giusto sentimento di gratitudine, per quanto
fatto dagli USA negli anni ’40 e ’50, con atti di servilismo e salamelecchi.
Ricordo
solo un caso in cui, nei confronti degli USA, l’Italia ha avuto un sussulto di
sovranità nazionale.
È stato
nell’ottobre 1985 quando la nave da crociera Achille Lauro fu sequestrata, in
acque egiziane, da quattro terroristi palestinesi.
Fin
dal primo momento il governo italiano, presieduto da Bettino Craxi, oppose un
netto rifiuto alle pretese del presidente americano Ronald Reagan che non solo voleva
impedire che l’Italia trattasse con i sequestratori, ma che voleva imporre il
blitz di paracadutisti americani per liberare quella nave battente bandiera
italiana.
Il
braccio di ferro, tra Craxi e Regan, proseguì fino al punto di vedere contrapposti
armi in pugno, nella base aerea di Sigonella, avieri e carabinieri da una
parte, e decine di militari americani dall’altra, per contendersi i quattro dirottatori.
Come
era logico accadesse, i responsabili del dirottamento furono assicurati alla
giustizia italiana per essere processati e condannati dal Tribunale di Genova.
Diverso
è stato, invece, l’atteggiamento del governo italiano, presieduto da Massimo D’Alema,
nel 1998 quando un aereo militare statunitense violando, per il folle divertimento
dei piloti, regolamenti e norme di sicurezza relativamente a velocità e quota,
tranciò il cavo della funivia del Cermis provocando la morte di 20 turisti:
italiani, tedeschi, belgi, polacchi, austriaci ed olandesi.
Pur
trattandosi di un indubbio omicidio volontario compiuto in territorio italiano,
ai quattro marines fu concesso di tornare in patria perché avevano lo status di
militari della Nato.
Solo
il primo pilota ed il suo navigatore furono indagati e processati per omicidio
colposo da un tribunale militare ma, nel 1999, la giuria li assolse.
Il
navigatore confessò, dopo qualche anno, che era stato bruciato deliberatamente
il video che avrebbe consentito di accertare la verità sull’accaduto.
Non
solo ma, nonostante le promesse fatte dal presidente Bill Clinton, lo Stato
italiano dovette sobbarcarsi i costi sia per la ricostruzione della funivia
che per i risarcimenti ai familiari delle 20 vittime.
Trascorrono
alcuni anni e nel 2005 nei pressi dell’aeroporto di Baghdad, il funzionario del
SISMI, Nicola Calipari, fu assassinato con un colpo di mitragliatrice alla
testa da un militare americano mentre, in auto, scortava la giornalista
Giuliana Sgrena appena liberata dopo il sequestro da parte di terroristi della Jihad.
Al
marine responsabile dell’omicidio, Mario Lozano, una Corte americana riconobbe
la “immunità funzionale”, per cui fu
dichiarato non perseguibile.
Il
governo italiano, presieduto da Silvio Berlusconi, pur di non urtare la
suscettibilità del presidente George Bush e per quieto vivere, si piegò alle lacunose
ed incongruenti conclusioni dell’indagine condotta dai militari americani,
archiviando l’assassinio di Calipari come “un
tragico incidente”.
Ed eccoci
ad oggi.
Dopo oltre
tre mesi dall’accaduto, il presidente Obama fa sapere che il 15 gennaio, sotto
le bombe di un drone della CIA, è
morto il cooperante italiano Giovanni Lo Porto.
È credibile
che in tutti questi mesi il governo italiano, presieduto da Matteo Renzi, non
sia stato messo al corrente dell’accaduto ?
Non
solo, ma chi ha fornito dall’Italia, ai servizi segreti americani, i reperti indispensabili
per effettuare l’esame comparativo del DNA di Giovanni Lo Porto ed attestarne la
morte ?
Matteo
Renzi, nei giorni scorsi incontrando Obama era informato della morte di Lo
Porto mentre si impegnava a prolungare la missione italiana in Afghanistan a
fianco degli americani ?
Personalmente, a farmi incazzare sono certamente i
boriosi modi con cui gli americani trattano il nostro Paese, ma a farmi ancor
più incazzare sono il servilismo e la sudditanza con cui i governanti italiani
si relazionano con gli USA.
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