lunedì 29 dicembre 2014

Meglio quattro amici al bar che non …

Mi viene l’orticaria al solo pensiero che, in questi giorni, a disquisire di lavoro e della sua pseudo riforma siano Matteo Renzi, Stefano Fassina, Cesare Damiano e Pietro Ichino.
Quattro personaggi che hanno in comune alcune peculiarità.
La prima è di essere diventati, non appena usciti dallo svezzamento, mestieranti della politica o del sindacato, assimilandone limiti, ottusità, pregiudizi, contraddizioni, tare.
La seconda è di non aver mai lavorato, in vita loro, da operaio, impiegato o manager in una qualsiasi impresa assillata dall’esigenza di dover essere competitiva per poter sopravvivere.
La terza è di non aver mai avuta esperienza diretta del cosa significhi gestire decine, centinaia o migliaia di risorse umane.
La quarta è la tracotanza con cui, un contro l’altro armato, pretendono di imporre i loro assiomi a chi le problematiche del lavoro le vive tutti i giorni sulla propria pelle.
La quinta, senza dubbio la più negativa, è quella di ignorare che la risorsa umana costituisca il fattore economico più importante, dal quale dipende il successo od il tracollo di ogni impresa.
Inevitabile conseguenza del loro pressappochismo è che da giorni i quattro personaggi si battibeccano confinati nel ristretto spazio dell’Art. 18, del licenziamento con o senza reintegro, del contratto a tutele crescenti, e poco più.
Non una sola parola, non la più piccola riflessione, invece, sul perché e sul come il posto di lavoro, e le norme che lo regolano, vadano rapportati, ad esempio, alla dimensione ed al comparto in cui opera l’impresa, alla professionalità, al merito, alle mansioni usuranti, alla produttività, etc. etc.
Ho molti dubbi che il “jobs act” sia una strenna natalizia fatta agli imprenditori, come faziosamente sostengono Camusso e Landini.
Credo piuttosto che incompetenza e superficialità, della politica tutta, stiano dando vita, ancora una volta, a decisioni raffazzonate che, alla prova dei fatti, solleveranno le reazioni indignate degli uni e degli altri.
Uno dei più aspri pomi della discordia, ad esempio, ha come punto nodale il contratto a tempo indeterminato che, nel caso delle garanzie crescenti, non garantirebbe al lavoratore un posto di lavoro a vita.
Decenni di esperienze sul campo mi hanno insegnato che, a prescindere dalla tipologia del contratto, la risorsa umana, se soddisfatta della mansione assegnatagli, cerca sempre di dimostrare le sue capacità e la sua attitudine, dedicandosi al lavoro con impegno e serietà.
Ora, perché mai l’azienda dovrebbe gettare alle ortiche l’investimento di tempo e denaro fatto per avviare ai suoi compiti un neo assunto, valido ed affidabile ?
Solo perché il contratto darebbe la possibilità di licenziarlo?
Mi sembrerebbe un folle ed ingiustificabile autolesionismo!
Per contro, se la risorsa neoassunta si dimostrasse incapace, inadeguata, inaffidabile, perché mai lo Stato dovrebbe imporre, all’azienda, l’onere di sobbarcarsi il suo mantenimento in organico, impedendo così ad altra probabile risorsa disoccupata, capace e seria, di occupare quel posto ?
Mi sono sempre domandato quanti posti di lavoro si renderebbero disponibili nelle imprese private, ma più ancora nella pubblica amministrazione, se si adottassero finalmente, per tutti, parametri basati sul merito e sulle capacità.
Già, ma i quattro personaggi citati, non so se per incompetenza o per ignoranza, nelle loro diatribe quotidiane continuano a non affrontare né questa né molte altre componenti fondamentali del rapporto di lavoro.
Il nostro è un paese in cui, ciclicamente, si organizzano solenni convegni e saccenti tavole rotonde per dibattere di PIL, di competitività, di ripresa e di sviluppo, di costo del lavoro.
Sarebbe ora, invece, che qualcuno incominciasse a riflettere seriamente su cosa fare perché  il “capitale umano”, impiegato a tutti i livelli del sistema, sia coinvolto ed invogliato ad impegnarsi per tirar fuori dalle secche la nostra languente economia.
Farneticazione ? Delirio ? Utopia ?
Forse ! Continuo a credere, però, che questa sia l’unica strada percorribile per dare fiato al nostro Paese.

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