sabato 30 maggio 2015

Un Don Chisciotte a Palazzo Chigi

Che ne è stato di quello spaccamontagne strafottente che, compiacendosi di aver pugnalato Enrico Letta, chiese alle Camere il voto di fiducia per il suo governo in quel 25 febbraio 2014 ?
Che fine hanno fatto i combattivi propositi di stravolgere le politiche europee, di respingere le pretese di austerity dell’UE, di riformare il Paese con il coinvolgimento di tutte le forze parlamentari, di perseguire l’equità sociale, di aggredire la disoccupazione, di contenere il debito pubblico, di ridurre la pressione fiscale, di mettere in sicurezza gli edifici scolastici, e via discorrendo ?
Dopo quindici mesi da quel febbraio 2014, pur con le insufficienze del mio punto di vista, mi piacerebbe tentare un primo sommario bilancio per verificare quali e quante delle aspettative, generate dalle sue chiacchiere, hanno avuto un riscontro concreto.
Iniziamo dai successi europei
Nelle sue innumerabili comparsate il Don Chisciotte da Rignano sull’Arno si era ripromesso di diventare il protagonista del cambiamento in Europa.
Il suo proposito, ad esempio, era di partire lancia in resta per spezzare le catene che i “ragionieri di Bruxelles” impongono ai conti pubblici.
A ben osservare, oggi non solo le catene sono ancora ben robuste ma il nostro Paese le subisce con vergognosa sudditanza e si genuflette alle minacce di controlli più rigorosi e procedure di infrazione dei “ragionieri di Bruxelles” ogni volta che si profila uno scarrocciamento dalla rotta imposta.
La umiliante sceneggiata si è ripetuta anche nei giorni scorsi, quando il Sancio Pancia del ministero economico, Pier Carlo Padoan, si è dovuto precipitare a giurare solennemente che, per non disattendere i vincoli imposti dall’UE, il governo italiano non avrebbe adempiuto alla sentenza della Consulta sulla indicizzazione delle pensioni.
Sempre a proposito di protagonismo dell’Italia in Europa il maldestro Don Chisciotte nostrano aveva immaginato un ruolo internazionale di primaria rilevanza per il nostro Paese con la nomina di Federica Mogherini ad Alto Rappresentante UE per gli affari esteri.
Altro fiasco gigantesco !
Mogherini, infatti, è stata regolarmente chiusa fuori dalla porta tutte le volte che Merkel e Hollande si sono incontrati con Putin per discutere del “Affaire Ucraina”.
Come se non bastasse è di questi giorni un nuovo smacco subito dall’Italia questa volta sul fronte del dramma umanitario delle centinaia di migliaia di profughi che sbarcano sulle nostre coste.
Le richieste formulate dalla Mogherini, per condividere la gestione dei flussi di profughi, sono state respinte in toto dall’UE e beffate dalla decisione di accollarsi, in 2 anni, la ridicola quota di 24000 profughi, cioè 1000 al mese a condizione però che siano solo eritrei e siriani.
Non solo perché l’UE minaccia di interrompere anche questa presa in giro nel caso l’Italia non rispettasse i controlli e le modalità di accoglimento dettate dall’UE.
Insomma, il Don Chisciotte nostrano non sta ottenendo, in Europa, miglior credito di quello che conseguì Berlusconi e che Merkel e Sarkozy sintetizzarono con il famoso e sardonico risolino durante la conferenza stampa del 23 ottobre 2011.
… e proseguiamo con le novità italiane
Scortato dal codazzo di molti Sancio Pancia e donzelle di bell’aspetto, il temibile Don Chisciotte ha brandita la sua lancia su due palcoscenici, il Nazareno e Palazzo Chigi.
Al Nazareno, incarnando il ruolo di segretario è riuscito a mandare in fibrillazione il PD, aprendo una contesa i cui esiti restano tuttora incerti per la pusillanimità dimostrata da molti villici.
Delle sue performance a Palazzo Chigi, invece, parlano i numeri.
In 13 mesi il debito pubblico è aumentato di 95 miliardi raggiungendo la cifra record di 2184,5 miliardi, ciò nonostante i sostanziosi benefici ottenuti grazie al rilevante calo dei tassi di interessi sulla emissione dei titoli di Stato.
Il debito pubblico continua ad aumentare perché nulla si fa per affrontare seriamente ed in modo organico un vero processo di spending review.
Anzi, appena insediatosi a Palazzo Chigi, Don Chisciotte ha ritenuto opportuno esonerare Carlo Cottarelli nominato, dal governo Letta, Commissario straordinario per la Revisione della spesa pubblica.
Eppure l’attività svolta da Cottarelli aveva fatto emergere sprechi ed inefficienze la cui eliminazione avrebbe ridotta di molti miliardi la spesa pubblica.
Già, ma la spending review non è argomento di richiamo e successo per le comparsate televisive, né può servire per vendere fumo con raffiche di tweet.
Per questo Don Chisciotte ha preferito dedicarsi a sparare balle come, ad esempio, la pagliacciata delle auto blu, un centinaio prossime alla rottamazione, messe in vendita su ebay.
Don Chisciotte preferisce fare l’imbonitore ed usare argomenti che facciano presa sulla dabbenaggine dei grulli.
A smentire, però, le mille fanfaronate ci pensa l’ISTAT che racconta, invece, una realtà molto amara.
L’ISTAT parla di oltre 6 milioni di cittadini in stato di povertà assoluta e di oltre 10 milioni in condizioni di povertà relativa, certifica un tasso di disoccupazione giovanile che a marzo 2015 ha raggiunto il nuovo record del 43,1%, testimonia il crescente angosciante aumento dei fallimenti aziendali, dimostra che la pressione fiscale ha superato il 43,5% nel primo trimestre 2015.
Eppure, per dirindindina, in questi 15 mesi Don Chisciotte avrà pure fatto qualcosa per contrastare una così angosciosa crisi sociale !
Come no ? Ha tenute in ostaggio le Camere per settimane e mesi solo per far approvare la nuova legge elettorale, l’Italicum una vera manna per sfamare i bisognosi, e ha date in pasto ai media panzane che si sono tradotte in titoloni a tutta pagina.
Titoloni per frastornare e far credere ai grulli i miracolosi effetti del Job Act e della riforma della Pubblica Amministrazione, o la solerzia moralizzatrice delle norme antimafia e di contrasto alla corruzione, oppure la volontà di ridurre i costi della politica ed il numero di parlamentari, od ancora la soppressione delle Province, od anche i prodigiosi risultati ottenuti con la mancia elettorale degli 80 euro, e via discorrendo.
In realtà, mai come in questi mesi le piazze si sono riempite di gente incazzata, strangolata dalle tasse, stremata dalla crisi, stanca di essere presa in giro dall'aria fritta di cambiamenti immaginari.
Ecco perché, a pensarci bene il Don Chisciotte raccontato da Cervantes almeno ispirava simpatia, mentre questo giunto a Roma da Rignano sull’Arno……

domenica 24 maggio 2015

Ripasso di diritto costituzionale per Padoan

Dapprima incredulo, poi sbigottito ed infine preoccupato.
Tre aggettivi per descrivere la escalation di stati d’animo che hanno provocati in me le parole con cui il ministro Padoan ha commentata la sentenza di incostituzionalità della mancata indicizzazione delle pensioni, decisa dal governo Monti con il decreto “Salva Italia”.
Per inciso, mi sembrerebbe ragionevole, dopo che si è  saputo quanti miliardi Monti ha sgraffignati ai pensionati per far quadrare i conti pubblici, che il Capo dello Stato istituisse l’ordine cavalleresco dei “pensionati salvitalia!” con tanto di stemma, gonfalone, decorazioni ed inno.
Tornando, invece, all’intervista, rilasciata da Padoan a “La Repubblica”, mi è parso che dalle parole del ministro affiori una quantomeno incerta padronanza di ciò che è scritto nella nostra Carta Costituzionale.
Ad esempio, mi ha sorpreso e preoccupato che un ministro della Repubblica abbia potuto affermare che “tra Corte, ministri ed avvocatura ci sarebbe dovuta essere la massima condivisione della informazione”.
Eppure Padoan, come tutti i ministri del governo Renzi, ha giurato di rispettare la Costituzione.
Perciò di cosa parla ?
Forse avrebbe voluto che la Consulta, prima di deliberare, lo avesse interpellato, magari per chiedergli “scusi, signor ministro, le va bene questa sentenza o ne preferisce un’altra ?”.
Non solo, ma come se non bastasse nella stessa intervista Padoan ha anche dichiarato che la Corte Costituzionale, “se ci sono sentenze che hanno un’implicazione di finanza pubblica”, dovrebbe fare una valutazione dell’impatto sui conti pubblici.
Ora, se si può comprendere che un comune cittadino non conosca i ruoli e le responsabilità che la Carta attribuisce alle diverse istituzioni dello Stato, è invece assolutamente inaccettabile che ad ignorarli sia un ministro della Repubblica Italiana !
Sarebbe stato sufficiente, infatti, che Padoan rilegesse alcune righe della Carta Costituzionale per evitare di cacciarsi in un avventato e pericoloso scontro istituzionale.
Ad esempio, al Titolo VI – Art. 134, la Carta recita: “La Corte Costituzionale giudica sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni”.
Ed all’Art. 136 puntualizza: “La decisione della Corte è pubblicata e comunicata alle Camere ed ai Consigli regionali interessati, affinché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali”.
Per questo mi sembra che al ministro Padoan sia sfuggito che:
  • la separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario sia sancita dalla Costituzione e sia fondamento dello Stato di diritto;
  • responsabilità della Consulta sia valutare la legittimità di leggi ed atti aventi forza di leggi e sentenziare il rispetto o meno del dettato Costituzionale;
  • le sentenze della Consulta non debbano essere  armonizzate con le aspettative di governi e ministri, ma vadano deliberate in assoluta autonomia e poi comunicate alle Camere;
  • la Consulta non sia chiamata a valutare gli effetti delle sue sentenze sui conti pubblici;
  • sia responsabilità, invece, del governo, dei ministri e del Parlamento valutare l’impatto sulla finanza pubblica di leggi, decreti e sentenze, provvedendo ai mezzi per far fronte a importi nuovi o maggiori oneri (Carta Costituzionale: Parte Seconda – Titolo I, Art. 81).

Fatto sta che in questi giorni ho avuta l’impressione di assistere ad un film già visto.
Le parole di Padoan, infatti, mi hanno richiamate alla memoria le invettive di Berlusconi contro i giudici della Consulta, accusati di essere “toghe rosse” ogni volta che dichiaravano incostituzionali le sue leggi “ad personam”.
Ora però, mi domando: mentre Berlusconi tuonava a difesa di suoi personalissimi interessi, che cosa si propone invece il ministro Padoan, puntellato dall’assordante silenzio di Matteo Renzi ?
Vuoi vedere che Renzi e Padoan, consci di aver rimediato alla sentenza della Consulta con una toppa irrisoria ed inadeguata, hanno paura di vedersi schiacciare dalla prevedibile valanga di ricorsi ?
Avranno escogitato, perciò, di iniziare subito con il dare addosso ai giudici costituzionali, sperando di riuscire, con i loro attacchi, a rendere più problematico l’accoglimento dei futuri ricorsi. 

martedì 19 maggio 2015

Le pelose mance elettorali di Renzi

“Venghino signori, venghino … al festival dell’imbroglio … venghino avanti senza paura … c’è una mancetta elettorale anche per voi … non 10 … non 100 … e neppure 200 … ma ben 500 euro per dimenticare le truffe di quattro anni”.
Immagino che goduria per qualsiasi imbonitore potersi presentare sulla pubblica piazza ed annunciare a quattro milioni di pensionati che dal cilindro è spuntata una mancetta perché stiano zitti e buoni.
Ebbene, Matteo Renzi, sostituendo la piazza con un programma di RAI Uno, “L’Arena”, di certo più servile e per nulla rischioso, ha annunciato al popolo italico che il 1° agosto LUI regalerà una mancetta di “più o meno 500 euro” a quattro milioni di pensionati.
Così, dopo gli 80 euro mensili, elargiti a 10 milioni di lavoratori alla vigilia delle elezioni europee, ecco che, quindici giorni prima delle elezioni regionali Renzi, con la stessa pelosa prodigalità, concede il bis distribuendo una mancetta elettorale a qualche milione di pensionati.
Con la stessa abilità di quei furfanti che nelle piazzole degli autogrill imbrogliano gli sprovveduti con il gioco delle tre carte, Matteo Renzi sfrutta la sentenza della Consulta per farne uno spot elettorale.
Una mossa malaccorta e truffaldina che, non rispettando il dispositivo della Corte Costituzionale, di fatto non fa che rinviare nel tempo la soluzione del problema perché è ragionevole prevedere che milioni di pensionati si appelleranno alla Consulta per far valere i loro diritti che il governo Renzi irride con tracotanza.
La verità è che ancora una volta Renzi dimostra tutti i suoi limiti, dalla incapacità ad affrontare i problemi reali del Paese alla ignoranza nel valutare e gestire i conti dello Stato, dalla inettitudine nel combattere gli sprechi che pesano miliardi sulle casse statali al dilettantismo con cui affronta le riforme, fino alla strafottenza nei riguardi della Consulta.
A confermarlo ci sono numeri e non chiacchiere.
In questi primi 15 mesi di vita il Governo Renzi è riuscito a collezionare record da far accapponare la pelle.
Il debito pubblico (fonte Banca d’Italia), è cresciuto da 2107 miliardi di euro del febbraio 2014 (NdR: insediamento del Governo Renzi) a 2184 miliardi di euro del marzo 2015, e ciò nonostante i benefici ottenuti dalla riduzione sostanziosa dei tassi di interesse sulla emissione dei titoli di Stato.
L’occupazione, soprattutto quella giovanile, nonostante il gran cianciare di Renzi e dei suoi ministri, non dà segni di rianimazione, confermando l’inefficacia delle tanto enfatizzate misure adottate dal governo.
Dal febbraio 2014 ad oggi la pressione fiscale rimane stabilmente sul 43,5%, segno che gli interventi di riduzione, seppure irrilevanti, sono stati prontamente controbilanciati  dall’aumento delle imposte locali.
Quindi, una gestione pubblica disastrosa che però è stata sepolta ed oscurata dal susseguirsi di show televisivi, e non, con i quali Renzi si è prodigato per turlupinare gli italiani propagando ciarlatanate come sono appunto le regalie elettorali. 

sabato 16 maggio 2015

Prescrizione, vale a dire “chi ha avut ha avut…”

Qualche giorno fa, a proposito delle macchinazioni con cui Renzi e Padoan si preparano a raggirare la sentenza della Consulta per continuare a derubare 5 milioni di pensionati, ricordavo come tutti riconoscano al nostro Paese di essere stato culla e  patria del diritto.
Ahinoi, tempi che furono !
Negli ultimi decenni, infatti, i nostri politicanti  si sono impegnati in modo sconsiderato per trasformare l’Italia da culla in sepolcro del diritto.
Nei giorni scorsi, ad esempio, a Bologna la sezione del Tribunale dei Ministri ha disposta la archiviazione, per sopravvenuta prescrizione, della fase istruttoria che vedeva indagati per “cooperazione colposa in omicidio colposo” Claudio Scajola e Gianni De Gennaro.
Nel 2002, quando Scajola era ministro dell’interno e De Gennaro capo della polizia, i due negarono la scorta al giuslavorista Marco Biagi che il 19 marzo di quello stesso anno fu assassinato dalle BR.  
Per effetto dello scellerato istituto della prescrizione oggi la famiglia Biagi è lasciata sola a piangere il loro Marco, mentre Scajola e De Gennaro se ne vanno impuniti, neppure chiamati a rispondere delle loro responsabilità.
Questo è solo l’ultimo dei troppi casi in cui si sono lasciate con l’amaro in bocca le vittime di reati e si è generata indignazione nell’opinione pubblica.
Ecco perché non riesco a togliermi dalla testa l’idea che l’istituto della prescrizione si rifaccia, di fatto, all’antico detto napoletano: “chi ha avut ha avut, chi ha rat ha rat, scurdammoc o passat” (1).
Per la verità so anche bene che fin da bambini ci inculcano nella testa la convinzione che quando commettiamo un peccato è sufficiente correre dal confessore per ritornare casti e puri dopo aver recitati “tre ave maria e tre pater noster”.
Per la miseria, però, qui non si tratta di aver detta qualche bugia o di aver commessi atti impuri.
La prescrizione sottrae alla Giustizia individui colpevoli di reati anche gravi, reati previsti da quei codici che dovrebbero garantire, invece, i diritti di ognuno di noi e della comunità.
Non solo, ma la demenzialità dell’istituto prescrittivo ignora i diritti della parte lesa che viene  abbandonata a se stessa, destinata a restare sola con gli effetti dell’ingiustizia subita.
Quando poi la parte lesa è lo Stato, vittime di questa demenzialità siamo tutti noi.
Purtroppo, però, gli strumenti che disciplinano la prescrizione sono nelle mani di partiti e politicanti, molti dei quali con problemi giudiziari.
Così, ad esempio, nel 2005 Berlusconi è intervenuto, con la legge ex Cirielli, per falciare i tempi di prescrizione di molti reati tra cui quelli che vedevano indagato o imputato lui ed altri suoi sodali.
Capita, ogni tanto, che qualche politico provi vergogna per questa sconcezza e solleciti il Parlamento a riconsiderare almeno limiti e termini di prescrizione.  
È successo anche nello scorso mese di marzo, quando in Parlamento si è tornati a dibattere della ex Cirielli per riformarla, incontrando però la risoluta opposizione di Forza Italia, Nuovo Centro Destra e UDC.
Ecco perché anche questa volta finirà tutto in una bolla di sapone.
Fino a quando nei partiti saranno ben radicate le schiere di corruttori e corrotti, concussori e concussi, maneggioni e disonesti di ogni tipo, la politica non potrà porre rimedio a questa demenzialità, i cui accaniti difensori si arrampicano sugli specchi sostenendo che l’allungamento dei tempi di prescrizione influirebbe sulla ragionevole durata dei processi.
Ora, però, forse ingenuamente mi domando: ma chi commette un reato, ledendo i diritti di un altro soggetto o della collettività, non dovrebbe risponderne fino a che campa ?
Ed ancora: in un Paese come il nostro, imputridito dal malaffare e dalla corruzione, è giusto prescrivere il reato che un pubblico ufficiale commette abusando del suo ruolo e delle sue funzioni ?

(1)     Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, dimentichiamo il passato.

giovedì 14 maggio 2015

La sicumera di Renzi è solo fumo

Non credo, o perlomeno spero di non essere l’unico italiano che si è scocciato di ascoltare la tiritera che, da un anno, ci propina ad ogni piè sospinto il nostro presidente del consiglio.
Non perde occasione, Matteo Renzi, per ricordare urbi et orbi che, alle elezioni europee del 25 maggio 2014, LUI ha ottenuto il 40,8% dei voti.
Ora, a prescindere dal fatto che non essendo trascorsi neppure tre mesi dal giorno in cui, dopo aver pugnalato il suo compagno di partito Enrico Letta, lui si era impossessato di Palazzo Chigi, è chiaro che gli elettori hanno manifestato semplicemente un voto di auspicio, non riferito a risultati concreti ma solo alle tante chiacchiere che lui continuava a gettare qua e là.
Non solo, ma da consumato politicante pochi giorni prima delle elezioni lui aveva elargita a 10 milioni di elettori la regalia degli 80 euro, una prodigalità che graverà sulle casse dello Stato ogni anno per circa 10 miliardi.
In più, a chiacchiere lui aveva giurato che avrebbe fatta la voce grossa, in Europa, per sottrarre l’Italia ai vincoli imposti dalle politiche di austerità, mentre di fatto esegue diligentemente tutto ciò che l’UE continua ad imporgli.
In ogni modo, a prescindere da tutto questo e da molte altre contingenze, al meschinello sfugge che da quel 25 maggio 2014 è trascorso un anno e le sue performance di questi mesi potrebbero aver mutati gli umori degli italiani nei confronti suoi e del suo governo, per cui quel 40,8% appartiene alla storia ed è sciocco e pretestuoso utilizzarlo ancora supponendo che oggi possa riproporsi lo stesso consenso elettorale.
Penso, peraltro, che sia improponibile, come tentano alcuni, scrutare probabili trend ed indicatori nei risultati delle elezioni comunali che si sono svolte, nei giorni scorsi, in Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta  
Per questo, anche se con personale ed immutata diffidenza nei sondaggi, sono andato a curiosare tra le indicazioni che i sondaggisti proponevano un anno fa e quelle che vengono indicate oggi.
Per equilibrare l’osservazione ho presi in esame i dati forniti, sia oggi che dodici mesi fa, da tre istituti demoscopici: EMG, Doxa e Piepoli.
Ho concentrata l’attenzione sulle risposte date ad un quesito che mi sembra tra i più significativi per valutare lo stato d'animo degli italiani.
Ho scelto, cioè, il quesito relativo alla fiducia che il campione rappresentativo dell’elettorato ripone in Matteo Renzi e nel suo governo.
Ebbene, la “fiducia in Matteo Renzi” che, nel maggio 2014, si collocava tra il 59% ed il 62% oggi, maggio 2015, si posiziona tra il 31% ed il 33%.
Altrettanto sintomatico il calo registrato nella “fiducia nel governo Renzi”, passata del 44/46% del maggio 2014 al 29/31% di oggi.
Credo, perciò, che aldilà della ostentata sicurezza che continua ad esternare in ogni occasione, Renzi conosca questi trend negativi e ne sia preoccupato.
Solo così si può spiegare perché, pur di rinviare a dopo le elezioni amministrative del 31 maggio la amara decisione che il governo adotterà ai danni di 5 milioni di pensionati, Renzi abbia ingaggiato un braccio di ferro con il ministro Padoan che, invece, vorrebbe comunicare questo provvedimento alla UE nel giro di qualche giorno.
Sono curioso di vedere se la spunterà il rispetto dell’impegno preso da Padoan a Bruxelles, o la apprensione elettorale di Renzi. 

martedì 12 maggio 2015

Il ministro Padoan in depressione contabile

L’antico adagio popolare “il tempo è galantuomo" trova ancora conferma quando ci aiuta a conoscere, dopo quattro anni, una verità che i nostri governanti avevano sottaciuta.
Grazie, infatti, alla inattesa sentenza della Consulta appare sempre più evidente che a salvare il Paese dall’orlo del precipizio, sul quale lo aveva trascinato il malgoverno berlusconiano, siano stati, verosimilmente, i sacrifici imposti a sei milioni di pensionati dal duo Monti-Fornero.
A riconoscerlo sono le parole pronunciate dal ministro Padoan, il quale ha dovuto ammettere che se si ripristinasse l’indicizzazione delle pensioni, derubata da Monti e Fornero a sei milioni di italiani, “l’Italia si troverebbe a violare il vincolo del 3%, l’aggiustamento strutturale e la regola del debito”.
Vale a dire, in questi anni la stampella dei conti pubblici sono stati soprattutto i miliardi (NdR: 10 ? 15 ? 19?) defraudati ai sei milioni di pensionati.
Se non altro siamo riusciti a sapere, finalmente, a chi dire grazie per aver evitata all’Italia la fine della Grecia.
Solo così mi spiego perché, per colpa della sentenza della Consulta, da alcuni giorni Padoan appaia in balia di una depressione contabile, mentre l’ex ministro Fornero, indispettita, scagli i suoi strali velenosi contro la Corte Costituzionale.
Non solo, ma mi è chiaro anche perché l’UE dia segni di fibrillazione al punto da pretendere le rassicurazioni del governo italiano, avvertendolo che monitorerà i conti pubblici per verificare quanto peserà sulle finanze pubbliche la sentenza sulla indicizzazione delle pensioni.
Certo è che ancora una volta una amara realtà conferma che viviamo in un paese incredibile, vulnerabile, alla mercé di governi  incapaci, perfino, di valutare l’impatto che le loro scelte insensate potrebbero avere sul futuro della collettività.
Ad esempio, visto che parliamo di pensioni, perché non ricordare anche ciò che accadde poco più di quaranta anni fa.
Era il 1973, anno che molti di noi ricordano per l’austerity, la crisi petrolifera, il serpente monetario, il doppio mercato dei cambi, la fluttuazione della lira, l’inflazione galoppante, il divieto di circolazione dei mezzi privati nei giorni festivi, i programmi TV che terminavano alle 22:45 per contenere i consumi energetici, etc.
Nel 1973 al Quirinale c’era Giovanni Leone, mentre a Palazzo Chigi Mariano Rumor, nel mese di luglio, era subentrato a Giulio Andreotti.
In un periodo pur così cupo e greve il governo Rumor, tra Natale e Capodanno, emanò un DPR consegnato alla storia come il “decreto delle baby pensioni”.
Con quel decreto il governo concedeva ai dipendenti della pubblica amministrazione di andare in pensione non appena avessero raggiunti soli 14 anni, 6 mesi ed un giorno di lavoro, per le donne, e 20 anni per gli uomini.
Fu un regalo straordinario ai dipendenti pubblici, fatto casualmente (???) alla vigilia delle elezioni amministrative.
Fatto sta che, per anni, centinaia di migliaia di trentenni e quarantenni lasciarono il loro posto di lavoro, si misero in pensione, avviarono una loro attività o si inserirono nel mercato del lavoro in nero.
La Democrazia Cristiana ottenne il pieno di voti, però, da quel lontano 1973, i baby pensionati gravano ogni anno sulle finanze pubbliche per oltre 8 miliardi di euro (NdR: cioè lo 0,4% del PIL), ciò nonostante nel 1992 si sia corso ai ripari con una legge che cancellò quella norma scriteriata.
Perché mai i sindacati, molto forti in quegli anni e sempre pronti a scendere in piazza, non si opposero a quel decreto che avrebbe inciso molto sui conti pubblici sottraendo risorse al sistema pensionistico e, quindi, a tutti i pensionati ?
Forse, con una opposizione risoluta, avrebbero potuto evitare quello scempio che ancora oggi pesa su tutti noi.

domenica 10 maggio 2015

Renzi scivola su Cameron

Con il trascorrere dei giorni il dubbio si fa sempre più insistente.
Il dubbio è: Matteo Renzi soffre di una deficienza del QI, oppure comportamenti e parole sono dominati, sempre e comunque, dalla sua voglia di fare l'imbonitore ?
Ad esempio, commentando la vittoria di David Cameron nelle elezioni politiche inglesi 2015, Renzi è arrivato ad affermare che, in Italia, Cameron con il suo 36,9% avrebbe dovuto affrontare il ballottaggio previsto dall’Italicum.
Come al solito nessuno dei molti cronisti presenti ha osato far presente al presidente del Consiglio che non solo stava dicendo una cavolata gigantesca, ma in più si stava dando la zappa sui piedi.
I Tories di Cameron, infatti, con il 36,9% hanno ottenuta la maggioranza assoluta con 331 seggi su 650, senza aver avuto bisogno di un truffaldino premio di maggioranza, come previsto dall’Italicum, l’immonda legge elettorale tanto cara a Renzi ma in odore di incostituzionalità.
Sembra, infatti, che Renzi non abbia ancora capito che le elezioni si possono vincere e che si può conseguire la maggioranza dei seggi, anche in concorrenza di più liste, senza doversi per forza cucire su misura un pastrocchio di legge elettorale.
Pare evidente, d’altra parte, che a Renzi sfugga come, in una democrazia, a dettare il risultato elettorale debbano essere i cittadini, cioè il popolo sovrano, e non gli arzigogoli di una legge fraudolenta.   
Comunque mi domando: sempre che il vero problema non sia la deficienza del QI, è mai possibile che prima di dire idiozie Renzi non riesca proprio a collegare il cervello alla bocca ?

sabato 9 maggio 2015

INPS, perequazione e funerale dei diritti

Fino al secolo scorso l’Italia era riconosciuta, da molti, come la “culla del diritto” e, da molti altri, come la “patria del diritto”.
Un riconoscimento che ha sempre inorgoglito il nostro Paese anche se, in realtà, il merito era quello di aver ereditato, dall’imperatore bizantino Giustiniano, il “Corpus iuris civilis”, un’opera universalmente accreditata come pietra miliare della scienza giuridica.
Una premessa che aiuta a rendersi conto come, negli anni, i politici, tutti senza eccezione, si siano dati da fare per svilire l’Italia da “culla del diritto” a “funerale dei diritti”.
Una conferma si ha proprio nelle ore in cui i politici si contorcono, da un lato per salvaguardare il vitalizio ai tanti loro colleghi, condannati per aver commessi reati di ogni specie, e dall’altro per defraudare sei milioni di cittadini pensionati.
Sulla farsa con cui gli Uffici di Presidenza, di Camera e Senato, hanno decise le regole per i vitalizi ai politici condannati preferisco non soffermarmi per non aggravare il mio travaso di bile.
Vorrei, invece, da pensionato soffermarmi sul pandemonio che sta suscitando la recente sentenza della Consulta.
Partirei, perciò, da una semplice ma eloquente premessa.
Negli oltre cinquanta anni di attività lavorativa sono stato costretto a scegliere, come compagnia assicuratrice, l’INPS per garantirmi, nella vecchiaia, un reddito e la sua perequazione.
In tutti questi anni, perciò, come contraente assicurato ho regolarmente corrisposti ogni mese al mio contraente assicuratore, l’INPS, i dovuti premi assicurativi, onorando cioè quello che era un inequivocabile contratto di assicurazione con diritti e doveri reciproci.
Ad onor del vero il rapporto ha marciato sui binari della regolarità fino al giorno in cui il Governo Monti ha imposto all’INPS di non rispettare più una parte delle obbligazioni che aveva nei miei confronti.
Qui è inevitabile una prima considerazione.
Se, nei decenni di vita lavorativa, invece che all’INPS avessi pagati gli stessi premi ad una qualunque altra compagnia assicuratrice, la scellerata disposizione del Governo Monti non avrebbe prodotto alcun effetto negativo sulla rendita mensile liquidatami dall’assicurazione.
Comunque, dal momento in cui la Gazzetta Ufficiale ha pubblicata la sentenza, con la quale la Consulta ha dichiarato incostituzionale quanto preteso dal Governo Monti, il mio assicuratore, INPS, non può sottrarsi all’obbligo di restituirmi il maltolto, senza se e senza ma.
L’INPS ha il dovere, cioè, di dare attuazione alla sentenza autoapplicativa della Corte Costituzionale, checché ne pensi e dica un certo Enrico Zanetti, scopertosi politico nel movimento di Luca Cordero di Montezemolo, Italia Futura, trasmigrato poi frettolosamente nelle file di Scelta Civica ed oggi sottosegretario del Governo Renzi.
Nel dichiarare che “sarebbe immorale” dare attuazione alla sentenza della Consulta, Enrico Zanetti si candida ad essere tra i più loschi becchini che partecipano al funerale dei diritti.
In ogni caso, poiché mi rifiuto di assistere impassibile alle esequie del diritto, e poiché considero mio unico contraente assicuratore l’INPS, pretenderò, con le buone o con le cattive, che rispetti le obbligazioni che ha assunte nei miei confronti.

giovedì 7 maggio 2015

Mi inchino ai costituzionalisti renziani, ma …

Da semplice cittadino, né docente né studioso di diritto costituzionale, non posso fare a meno di inchinarmi alle erudite considerazioni che i soliti costituzionalisti di corte esternano, in queste ore, per spiegare al volgo profano perché il Presidente Mattarella non ha potuto esimersi dal firmare e ratificare l’Italicum.
Siccome, però, da semplice cittadino sono desideroso di capire come mai alcune motivazioni, che hanno indotta la Consulta a giudicare incostituzionale il vergognoso Porcellum, non siano applicabili anche al non meno spregevole Italicum, ho deciso di leggermi la sentenza 1/2014.
Ho letto, ad esempio, che la Corte Costituzionale (NdR: di cui faceva parte allora anche il giudice Sergio Mattarella che oggi, nel firmare, deve aver avuto un momento di amnesia traumatica!), afferma: “non subordinando l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e, quindi, trasformando una maggioranza relativa di voti, potenzialmente anche molto modesta, in una maggioranza assoluta di seggi, si determinerebbe irragionevolmente una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica”.
Ora, è vero che nell’Italicum si è provveduto a fissare la soglia del 40% per attribuire il premio di maggioranza alla lista.
È altrettanto vero, però, che l’Italicum raggira furbamente la soglia del 40% che, se non raggiunta al primo turno, diventa di fatto ininfluente ed inefficace con la introduzione del ballottaggio.
Già, perché al ballottaggio il premio di maggioranza verrebbe attribuito, in ogni caso, alla lista che riuscirebbe a convertire, con parole della Consulta, “una maggioranza relativa di voti, potenzialmente anche molto modesta, in una maggioranza assoluta di seggi”.
Che sia stato inserito, con malafede, lo artificio del ballottaggio, al solo scopo di aggirare la sentenza della Corte Costituzionale, lo confermano proprio i dati relativi, ad esempio, alle ultime quattro tornate di elezioni politiche.
Nelle elezioni politiche del 2001, 2006, 2008 e 2013, infatti, se per la Camera fosse stato già in vigore l’Italicum, nessuna lista avrebbe raggiunta la soglia del 40%, e si sarebbe dovuto ricorrere necessariamente al ballottaggio tra le prime due liste.
In tutte le quattro elezioni, cioè, si sarebbe verificato che una lista, con una maggioranza relativa di voti, avrebbe ottenuta la maggioranza assoluta dei seggi, esattamente ciò che la Consulta ha inteso bocciare con la sua sentenza.
Dati alla mano sarebbero andati al ballottaggio:
  • nel 2001: Forza Italia con il 29,4% e Democratici di Sinistra con il 16,6%;
  • nel 2006: Ulivo con il 31,3% e Forza Italia con il 23,7%;
  • nel 2008: Popolo della Libertà con il 37,4% e Partito Democratico con il 33,2%;
  • nel 2013: Movimento 5 Stelle con il 25,6% e Partito Democratico con il 25,4%.

Trangugiata controvoglia questa prima quisquilia di palese incostituzionalità dell’Italicum, come semplice cittadino non posso fare a meno di pormi un’altra domanda.
Come si conciliano i “capilista bloccati”, nominati dai segretari dei partiti, con queste parole che leggo nella sentenza della Consulta: “sottraendo all’elettore la facoltà di scegliere l’eletto, farebbero sì che il voto non sia libero, né personale” ?
Devo confessare di sentirmi davvero sciocco ed ignorante nel non riuscire a comprendere questo come un altro mistero dell’Italicum.
Mi domando, infatti, se non fosse approvata la riforma in itinere, che prevede un Senato non elettivo, e di conseguenza fosse confermato il Senato elettivo, con quale legge elettorale verrebbero eletti i senatori visto che l’Italicum disciplina solo la elezione della Camera dei deputati ?
Sarà, ma nella mia crassa ignoranza mi convinco sempre più che Renzi (NdR: con l’accordo del suo compare pregiudicato) abbia fatto un gran casino !

martedì 5 maggio 2015

A malincuore verso l’astensionismo

Era il 1953 quando per la prima volta sono entrato in una cabina elettorale per partecipare alle elezioni politiche.
Essendo trascorsi più di 60 anni non sono assolutamente in grado di ricordare se ero emozionato per il fatto che, con il mio voto, avrei contribuito alla vita democratica del Paese.
Non ricordo neppure se fui influenzato, in qualche modo, nella scelta del partito per cui votare.
Mi sentirei, però, di escluderlo perché fin da ragazzino sono stato sempre insofferente a vincoli ed imposizioni, motivo per il quale dicono che io abbia un caratteraccio.
Da quel 1953, comunque, non ho mai disertate le urne perché consideravo il voto un dovere civico, anche se non ho mai contribuito, con il mio voto, a far vincere le elezioni a chicchessia.
Ahi… ahi… ahi… senza volerlo mi sono tradito !
Senza rendermene conto ho usato  l’imperfetto indicativo “consideravo”.
In realtà questa sera ho la sensazione, sempre più netta, che quelle del 2013 siano state le ultime elezioni che mi hanno calamitato ai seggi.
Da qualche ora, infatti, la Camera dei Deputati, con l’emiciclo semideserto per l’Aventino attuato dalle opposizioni, ha approvata la nuova legge elettorale, l’indecente Italicum in odore di incostituzionalità.
L’ultima fiammella di speranza è che il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, si rifiuti di firmare e, quindi, promulgare questa legge rinviandola alle Camere.
Una speranza non infondata dal momento che Mattarella era uno dei giudici della Consulta che il 4 dicembre 2013 ha dichiarato incostituzionale il Porcellum.
D’altra parte non potrà di certo sfuggire ad un attento  costituzionalista, come Mattarella, che l’Italicum sia in palese linea di continuità proprio con il Porcellum del quale ripropone alcuni dei vulnus di costituzionalità.
Ad esempio, anche l’Italicum attribuisce ai segretari dei partiti la prerogativa di nominare i “capilista bloccati”, cioè di scegliere quei candidati che godranno della certezza di essere eletti, lasciando invece agli elettori poche chance di vedere eletti i candidati da loro preferiti e votati.
È fin troppo chiaro che ogni segretario di partito blinderà come “capilista” i suoi fedelissimi, cioè valletti, galoppini e damigelle che mai potranno opporsi ai voleri del capobastone.
Se, poi, alla certezza di fare eleggere i cortigiani si somma l’assurdo spropositato “premio di maggioranza” che sarà attribuito sempre e comunque, di fatto con l’Italicum si concretizzerà una gestione egemonica ed autoritaria del potere da parte del presidente del consiglio.
Poiché, con il previsto ricorso al ballottaggio, il “premio di maggioranza” se lo potrebbe attribuire anche un partito che, al primo turno, abbia ottenuto, ad esempio, il 20/25% dei voti validi, è fondato il rischio che il Paese possa finire governato, con un potere pressoché assoluto, da qualcuno che rappresenti solo una sparuta minoranza degli italiani.
Per questo, poiché alla mia età, e per rispetto delle nuove e future generazioni, non intendo concorrere alla instaurazione di un sistema totalitarista, finirò per stracciare la tessera elettorale così da non essere neppure tentato sulla strada delle urne.

domenica 3 maggio 2015

The day after … che voltastomaco

Centinaia di foto e decine di video hanno fissate le avvilenti fasi dello scempio di Milano fatto dagli idioti in tuta nera.
Foto e video che stanno facendo il giro del mondo per ulteriore discredito dell’immagine già compromessa del nostro Paese.
È triste, ma solo i nostri governanti sembrano non aver colta la gravità di ciò che è successo a Milano per colpa loro dal momento che hanno deciso di lasciare mano libera agli idioti in tuta nera perché mettessero a ferro e fuoco le strade del centro cittadino.
La conferma arriva dalle parole con cui il ministro degli interni, Alfano, si è compiaciuto con se stesso perché è stato “evitato il peggio con intelligenza e fermezza”.
Chissà se le migliaia di milanesi, vittime dei gravi atti criminosi compiuti dagli idioti in tuta nera, condividano la soddisfazione di Alfano o se, invece, non siano convinti che il “peggio” sia stato scaricato su di loro con “intelligenza e fermezza” e, forse, con lucida premeditazione.
Da settimane, infatti, lo sapevano tutti che la manifestazione “No Expo” presentava un rischio altissimo, quasi la certezza che sarebbe degenerata.
Evidentemente, però, a Renzi ed Alfano interessava solo che le forze dell’ordine blindassero il teatro “La Scala”, in modo che gli illustri invitati si godessero in santa pace la “Turandot”.
E' probabile che Alfano abbia pensato: perché non lasciare che gli idioti in tuta nera sfoghino la loro bestialità ai danni di qualche migliaia di milanesi meno illustri e si dimentichino di "La Scala" ?
Che l’Italia, però, sia governata da incompetenti e ciarloni, lo avvalora, con una delle sue insensate facezie, Matteo Renzi che ha liquidata la devastazione di Milano dichiarando: “quattro teppistelli figli di papà non riusciranno a rovinare l’Expo”.
Forse Renzi non ha capito che, a Milano, il governo da lui presieduto ha dimostrato di essere incapace di garantire la sicurezza a migliaia di cittadini.
Forse Renzi non si è reso conto che sono bastati quei “quattro teppistelli” per mandare in tilt la gestione dell’ordine pubblico, allarmando inevitabilmente quei milioni di turisti che vorrebbero venire in Italia, anche per visitare l’EXPO.
Forse Renzi è anche rimasto indifferente di fronte alla foto, amara ed avvilente, che mostra un agente delle forze dell’ordine scaraventato a terra da “quattro teppistelli” che si avventano su di lui con bastoni, pugni e calci.
Quella foto non solo mi ha rattristato molto, ma continua ad angosciarmi nel timore che perfino quella immagine di un poliziotto, lasciato alla mercé della violenza idiota, testimoni il vero significato del “peggio evitato con intelligenza e fermezza”.