Un mistero : la disoccupazione giovanile
Il cosiddetto "boom economico" degli anni '50 e '60 fu possibile, tra l'altro, anche grazie all'imponente movimento migratorio interno. Fu calcolato che nel solo triennio 1960-1962 circa 800.000 persone, ogni anno, si spostarono dalle regioni del Sud Italia verso il triangolo industriale Torino-Milano-Genova alla ricerca di un lavoro e di un salario.
Si trattava, perlopiù, di persone con bassa scolarizzazione e sola esperienza in agricoltura.
Gli inizi della loro vita nel tessuto sociale del Nord fu difficile e complesso, sia perché accolti con diffidenza dalla popolazione locale (il cartello "non si affitta ai meridionali" campeggiava su molti appartamenti sfitti), sia perché si trovarono di fronte alla realtà industriale di cui non conoscevano nulla e della quale non avevano esperienza.
Umiltà, operosità, volontà, furono le armi vincenti con le quali i "terroni" (come erano battezzati dai locali) riuscirono poco a poco ad inserirsi ed a farsi apprezzare, dapprima adattandosi a lavori semplici e faticosi per riuscire, con il tempo, ad essere inseriti nei reparti di produzione ed a raggiungere, fu il caso di molti, anche posizioni di responsabilità.
Ma cosa c'entrano gli anni del "boom economico" con la realtà di oggi ?
Molto più di quanto sia possibile immaginare, proprio perché negli ultimi 10 anni il fenomeno si sta replicando. Le attività economiche del Nord si sono potute reggere e sviluppare, in questi anni, grazie al lavoro degli "immigrati", esattamente come negli anni '50 e '60 accadde con i meridionali.
Secondo il rapporto annuale INAIL nel 2009 risultavano occupati 3.266.000 immigrati regolari ed il loro livello occupazionale ha continuato a crescere sia nel 2010 che nel 2011.
Nel secondo semestre 2011, ad esempio, nelle imprese con meno di 20 dipendenti il livello occupazionale delle risorse umane immigrate ha registrato un incremento del 2,6% rispetto al corrispondente semestre 2010.
Anche se il loro grado di scolarità risulta mediamente più elevato di quello che possedevano coloro che salirono dal Sud al Nord negli anni '50 e '60, gli immigrati con quella stessa umiltà, operosità e volontà si sono adattati ai lavori più umili e gravosi pur di potersi inserire nel mondo del lavoro.
Per un 30% lavorano nell'edilizia, per un 20% nell'industria manufatturiera, per un 32% nei servizi per le imprese e per un 18% nei servizi di sostegno alle persone.
Leggendo e rileggendo questi dati mi sono domandato come sia possibile registrare un livello di disoccupazione giovanile del 51% in Campania, del 48% in Basilicata e del 42% nel Lazio.
Non sarà, forse, che i giovani siano meno disposti delle generazioni precedenti a cercare il lavoro là dove c'è ?
O, invece, siano meno disponibili ed umili per accettare lavori che, pur modesti e faticosi, garantiscano loro un salario ?
Non dipenderà, per caso, dall'essere stati troppo suggestionati dal mito del "pezzo di carta", il celebrato titolo di studio, che ha create in loro aspettative non in linea con le opportunità che oggi può offrire il mondo del lavoro ?
Oppure non prendono in considerazione nessuna altra opportunità che non sia il "posto fisso" , illusi dalle parole di un affabulatore che aveva promessa la creazione di 1.000.000 di posti di lavoro ?
E' ben lungi da me la pur minima idea di negare il diritto al lavoro agli immigrati regolari, ma non posso fare a meno di riflettere sul fatto che, in questi anni, i giovani italiani si siano lasciati sfuggire oltre 3.000.000 di opportunità lavorative.
2 commenti:
vorrei sapere cosa ne pensano i giovani di tutto questo.......
...confesso che anche a me piacerebbe molto sapere che cosa ne pensino i giovani di fronte a questi dati e non alle solite piagnucolose lamentele di chi assume ideologicamente la loro tutela !
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