martedì 23 settembre 2014

Andare oltre il … PD e FI

Prima di salire sulla scaletta dell’aereo che lo porterà negli USA per un’altra delle sue campagne promozionali auto celebrative, Matteo Renzi ha voluto soffiare ancora una volta sul fuoco dei contrasti con una parte del PD e con il sindacato.
Sono convinto che, in realtà, l’art. 18 sia solo un pretesto di cui Renzi si serva per muovere i primi passi nel solco della sua progettualità politica che mira a superare l’ossimoro sinistra – destra, Partito Democratico – Forza Italia.
Ciò non significa che lo Statuto dei Lavoratori, ed in particolare l’articolo 18, non siano reperti archeologici da riporre nella teca di un museo, a ricordo del calabraghismo dei vertici confindustriali, degli anni ’60, e della miopia politica e sindacale dell’epoca.
Basta scorrere i dati della disoccupazione in continuo aumento, del numero di soggetti da anni in cassa integrazione (NdR: cosiddetta “cassa integrazione a perdere”), della diffusione del precariato, per comprendere che, di fatto, l’art. 18 è ridotto a sbiadito spauracchio per le imprese ed a totem ideologico per sindacalisti e sinistroidi irriducibili.
Peraltro, l’art. 18, non applicabile né alle aziende con meno di 15 dipendenti, né alle botteghe artigiane, né ai Co.Co.Co., né ai Co.Co.Pro, né ai lavoratori con partita IVA, conferma la già citata miopia politica e sindacale dei suoi padri, e comprova la sua asimmetria con un aggregato occupazionale fortemente cambiato negli ultimi quaranta anni, nel quale proprio le imprese a più elevato tasso di occupazione sono ridimensionate anche per effetto delle delocalizzazioni.
Renzi, quindi, si serve del “job act” e dell’art. 18 unicamente come un grimaldello, per scardinare un sistema politico che vive da sempre sulla contrapposizione tra sinistra e destra, per realizzare il suo vero obiettivo, un modello di “partito personale” che appaghi il suo “ego”.
Come non leggere, in queste parole di Renzi, riferite ai risultati delle recenti elezioni europee, una spia del suo autentico modo di vivere la politica: “Io ho presi questi voti (NdR: il 40,8%) per cambiare l’Italia davvero”, ed ancora: “Non ho preso il 41% per lasciare il futuro del Paese a Mineo (NdR: Corradino Mineo, senatore PD, rimosso dalla Commissione Affari Costituzionali perché contrario alla riforma del Senato voluta da Renzi) ?
Nella sua sconfinata iattanza Renzi è convinto che il 40,8% degli elettori (NdR: il 40,8% dei soli votanti, pari al 58,69% degli aventi diritto) abbia votato non il PD ma Matteo Renzi.
Come se il PD non fosse esistito prima di lui, e come se il contributo, di tutti gli altri esponenti del partito, al risultato elettorale fosse stato inesistente.
Una spocchia così sconclusionata e ridicola da apparire infantile, pur se minacciosa per il futuro della nostra democrazia.
Siamo in presenza, quindi, di un disegno politico che legittima ipotesi imbarazzanti di futuri scenari.
D’altra parte, già oggi è evidente che il governo del Paese sia nelle mani di due co-presidenti del consiglio.
Per analogia possiamo immaginare Palazzo Chigi come la vettura di una autoscuola, a doppia guida, al volante della quale sia seduto un “apprendista premier” (Renzi) assistito, sul sedile accanto, da un istruttore, ex-premier e scafato maneggione (Berlusconi).
Come avviene all’autoscuola, è l’istruttore che sceglie la strada da percorrere, le manovre da eseguire, le marce da inserire, quando accelerare o frenare.
Ora, se questo è il percorso prescelto da Renzi, per realizzare il suo “partito personale”, o ha sottovalutati con troppa faciloneria i rischi che farà correre al Paese, oppure sta solo recitando un copione già scritto, fin da gennaio, dalla “tresca del Nazareno”.
Un copione che prevede, ad esempio, che Renzi insista nel trattare con strafottenza una parte del PD, partito di cui è segretario, per indurre molti parlamentari a votare contro il “job act”, e rendere così indispensabili, per la sua approvazione, i voti di FI.
E voilà, il gioco è fatto !
Come ha già annunciato nelle ultime ore Renato Brunetta, FI voterà il “job act”, ma se i voti di FI risulteranno determinanti, Renzi dovrà aprire immediatamente la crisi di governo.
C’è da scommettere che, a quel punto:
  • gli irriducibili del PD e CGIL, per reazione, potrebbero promuovere un referendum per l’abrogazione del “job act”;
  • dichiarandosi tradito da una parte del PD, Renzi avrebbe la scusa per chiamare a raccolta i renziani e dar vita al suo “partito personale”;
  • come previsto dalla “tresca del Nazareno” Renzi e Berlusconi si accorderebbero per formare un nuovo governo di larghe intese, di cui Renzi continuerebbe ad essere co-presidente del consiglio;
  • a Giorgio Napolitano potrebbero girare gli zebedei e dare finalmente le dimissioni;
  • a Capo dello Stato verrebbe eletto un candidato su misura per concedere la grazia a Berlusconi.

Aspettiamo qualche settimana per sapere se abbiamo vinta la scommessa ! 

1 commento:

Dario ha detto...

E adesso rimarremo in balia di un burattino del PD che promette per non fare, un uomo che riesce a mantenere le sue promesse meno di quanto sa presentare un discorso in Inglese.