giovedì 18 settembre 2014

Fumate nere a gogò ed il Paese sta a guardare

L’art. 135 comma 1, della Carta Costituzionale del 1948, a cui fu data attuazione cinque anni dopo con la legge costituzionale 1/1953, indica in 15 il numero dei giudici costituzionali e ne attribuisce il diritto di nomina per un terzo al Presidente della Repubblica, per un terzo al Parlamento e per un terzo alla suprema magistratura ordinaria ed amministrativa.
Il requisito fondamentale, richiesto per la elezione a giudice costituzionale, è quello di essere un tecnico del diritto con elevata preparazione, per cui la scelta non può che restringersi a magistrati, in servizio od a riposo, a professori universitari di diritto costituzionale e ad avvocati che vantino una esperienza professionale di almeno vent’anni.
Di certo né l’art. 135, né la legge 1/1953 prescrivono che i 5 giudici eleggibili dal Parlamento debbano essere scelti tra parlamentari o rappresentanti dei partiti politici.
Il perché è talmente semplice da apparire ovvio.
Infatti, il giudice costituzionale per essere eletto dal Parlamento, in seduta comune, deve ottenere il voto da due terzi dei componenti l’assemblea, o dai tre quinti dal quarto scrutinio.
Perciò è evidente che una così ampia convergenza la potrebbero ottenere solo candidati autorevoli, di comprovata preparazione ed esperienza, ma soprattutto indipendenti proprio per ottenere il gradimento sia della maggioranza che delle minoranze.
Purtroppo, però, a rendere ingarbugliata l’elezione dei giudici costituzionali da parte del Parlamento intervengono due tratti distintivi della cultura politica italiana.
Il primo è l’accaparramento, da parte dei partiti, di ogni poltrona disponibile e, perciò, figuriamoci di quelle di maggior prestigio.
Il secondo è il vezzo dei politici, non appena se ne presenta l’occasione, di ricorrere all’inciucio che fatalmente si traduce in “io do una cosa a te e tu dai una cosa a me”.
Per effetto di questo modus operandi della politica nostrana, mentre la crisi azzanna gli italiani, da oltre dieci giorni i lavori parlamentari sono paralizzati perché senatori e deputati non si mettono d’accordo sui nomi dei due candidati da eleggere a giudici costituzionali.
Siamo così arrivati oramai alla dodicesima fumata nera !
Dopo che Antonio Catricalà ha fatto saggiamente un passo indietro, sottraendosi a questa carnevalata, in campo sono rimasti Luciano Violante, deputato PD ed ex magistrato, e Donato Bruno, senatore FI ed avvocato.
Candidati scelti palesemente per la loro appartenenza ai partiti prima che per la loro fulgida competenza costituzionale.  
Fatto sta che ci sono volute ben dodici fumate nere prima che il Capo dello Stato si scuotesse e finalmente indirizzasse un tosto richiamo alle Camere invitando i parlamentari a smetterla con queste indecorose schermaglie di bottega.
Non appena diffuso il comunicato del Quirinale, a Palazzo Chigi si sono riuniti in tutta fretta i due co-presidenti del consiglio per valutare la situazione e decidere il da farsi per superare questo stallo che somiglia sempre più ad una farsa.
Siccome l’Italia è baciata dalla fortuna, il fato è stato così generoso da regalarci non uno bensì una accoppiata ben assortita di presidenti del consiglio, Renzi e Berlusconi, il primo con il ruolo del braccio ed il secondo con quello della mente.
Non c’è proprio nulla di cui sorprendersi, infatti giorno dopo giorno ci tocca assistere a vicende che sono solo consequenziali alla “tresca del Nazareno”.
Non resta che attendere, perciò, il tredicesimo voto per capire se il summit dei due co-presidenti sia servito a superare l’impasse e ad eleggere finalmente i due giudici della Corte Costituzionale, magari tirando fuori dal cilindro due nuovi candidati, ovviamente espressione di PD e FI, in sostituzione di Violante e Bruno.

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