Già solo usare la parola “giustizia”, per indicare quel ridicolo spettacolo in scena a Roma,
in queste settimane di agosto, all’ex Ostello della Gioventù mi sembra fuori
luogo e sicuramente offensivo per tutti coloro che amministrano la giustizia,
quella vera, nelle aule dei tribunali.
Sarebbe più appropriato parlare di “sceneggiata pallonara”, o di “festa
della banalità calcistica”, o di “gossip
intorno ad un pallone”, o dei mille altri modi che la fantasia dei tifosi
di calcio potrebbe suggerire.
Mi sembra che l’avvocato Giulia Bongiorno, abituata a
frequentare ben altre aule processuali, abbia saputo sintetizzare la situazione
con poche parole: la bilancia della giustizia prevede due piatti in equilibrio
tra loro, accusa e difesa, a Roma invece nell’ex Ostello della Gioventù, la
bilancia aveva solo un piatto, quello dell’accusa.
Alla difesa, infatti, non solo non è stato concesso di
controinterrogare testimoni e pentiti dell’accusa, ma non ha potuto neppure
avvalersi di testimoni a difesa. È questo è solo uno dei fondati motivi per cui
è inopportuno usare la parola “giustizia”.
Ancora una volta, assoluto protagonista della sceneggiata
nei due tempi è stato il procuratore federale Stefano Palazzi che si è sbizzarrito
in teorie accusatorie a volte strampalate ed a volte ridicole.
L’intera sua strategia di accusa faceva assegnamento, più
che altro, sulle dichiarazioni di due galantuomini di comprovata onestà e
moralità.
Uno è Andrea Masiello, reo confesso di aver realizzata una
autorete su commissione, che dal Procuratore della Repubblica di Cremona,
Roberto Di Martino, è accusato di “associazione
a delinquere finalizzata alla frode sportiva” per i legami provati con la “banda degli zingari”.
Arrestato nello scorso mese di aprile gli avvocati di
Masiello hanno chiesto di patteggiare 1 anno e 10 mesi di reclusione ottenendo il
netto rifiuto da parte del GIP di Cremona.
Il procuratore federale Palazzi, invece, dando credito ciecamente alle
parole di Masiello, cosa fa ? Imbastisce ipotesi accusatorie nei
confronti di Leonardo Bonucci e Simone Pepe, ai quali in prima battuta propone il solito ricatto,
patteggiamento o condanna pesante.
Bonucci e Pepe, sicuri della loro innocenza,
rifiutano il patteggiamento e, solo a questo punto, imbufalito
dal rifiuto, Palazzi mette in atto la sua ritorsione e formula richieste di 3
anni e mezzo di squalifica per Bonucci, e di 1 anno per Pepe.
Ma le vaghe e contraddittorie dichiarazioni di Masiello non
convincono né la Commissione Disciplinare, prima, né la Corte di Giustizia
Federale, poi, che prosciolgono sia Bonucci che Pepe.
Palazzi che si era incaponito contro Bonucci e Pepe, anche
ricorrendo contro il proscioglimento deciso dalla Commissione Disciplinare, ne
esce con le pive nel sacco !
Altra colonna dei teoremi accusatori di Palazzi è Filippo
Carobbio, all’onore delle cronache nel maggio scorso perché arrestato, su
ordine della Procura di Cremona, con l’accusa di aver taroccate partite di
calcio in combutta con l’organizzazione criminale identificata come “cellula ungherese”.
Rinchiuso nel carcere di Cremona ed interrogato dai
Magistrati ha coinvolti altri calciatori senza mai immischiare, però, Antonio
Conte.
Un giorno improvvisamente, parlando con Palazzi, dai
meandri della sua memoria ecco saltar fuori il nome di Conte.
Forse qualcuno glielo avrà suggerito ? Boh … non lo si
saprà mai !
Di sicuro alle parole di Carobbio, che è ritenuto non
affidabile dalla Magistratura di Cremona, viene dato invece il massimo credito dalla
Commissione Disciplinare e dalla Corte di Giustizia Federale.
Ed ecco, infine, la ciliegina sulla torta di questa buffonata
!
La Corte di Giustizia Federale, motivando la squalifica di
Antonio Conte, afferma che la sua responsabilità avrebbe potuto configurare “una fattispecie diversa e più grave di
incolpazione” rispetto all’omessa denuncia.
Ora, signori della Corte, esisteva o no la possibilità di
configurare una “fattispecie diversa e
più grave” ?
Se questa possibilità c’era perché non avete condannato Conte per l'illecito più grave ?
Se, invece, questa possibilità non c’era perché cavolo la citate nelle
motivazioni del dispositivo ?
È, forse, solo un avvertimento di stile mafioso affidato anche alle dichiarazioni rilasciate dal giudice della Corte, Piero Sandulli ?
Di fronte alle critiche che inevitabilmente solleva questo
ridicolo, ma preoccupante modo di gestire la disciplina nello sport, il Presidente del CONI,
Gianni Petrucci, perde le staffe ed urla ai quattro venti “basta con attacchi ai giudici ed alla giustizia sportiva”, ed
ancora “giù le mani dalla giustizia
sportiva !”.
Così facendo il Presidente del Coni dimostra, innanzitutto, di non
essere lucido ed obiettivo nel valutare gli errori clamorosi commessi negli
anni da quella che lui si ostina a chiamare “giustizia
sportiva”, manifestando così anche la volontà, o forse l’incapacità, di intervenire
per correggere le deformazioni di un sistema disciplinare lacunoso, inadeguato
ed obsoleto.
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