domenica 26 agosto 2012

Quando polemizzare è una filosofia di vita


E’ diventata ormai routine imbattersi nelle polemiche, spesso noiose, fomentate da due nostri contemporanei che hanno scelta la provocazione come filosofia di vita.
Il loro sollazzo preferito è quello di manifestare animosità verso questo o quel soggetto prescelto come vittima del giorno.
Alludo a Marco Travaglio, personaggio versatile e vivace sia nelle sue attività che nella scelta delle “vittime”, ed a Zdenĕk Zeman, invece desolatamente monotono sia nella sua attività che nella scelta di una “vittima” unica.
Da quando lasciò Il Giornale per seguire Indro Montanelli a La Voce, era il 1994, Travaglio non ha più persa occasione per mettere la prua addosso a Berlusconi ed al suo entourage di lacchè, manutengoli, corruttori, azzeccagarbugli, escort e via dicendo.
Ho quasi sempre condiviso, in questi anni, sia le analisi da lui fatte che le valutazioni critiche.
Tra l’altro, a seguito di una quantità industriale di querele la Magistratura è stata chiamata più volte a giudicare della fondatezza delle “travagliate” (!!!) e l’autore ne è uscito ogni volta senza macchia.
Quello che, invece, da qualche tempo non condivido e non apprezzo più sono i modi ed i toni dai quali mi sembra trasudi un eccesso di livore e di acidità che, spesso, rende perfino sgradevole l’ascolto o la lettura.
Quell’accanimento e quella stessa acidità che oggi, mandato in soffitta Berlusconi (e mi auguro a tempo indeterminato!), Travaglio ha dirottato verso il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano.
Mi sto convincendo sempre più che tra i sogni di Travaglio bambino ci fosse, quasi certamente, quello di diventare un Masaniello capace di istigare alla rivolta le genti e marciare alla loro testa contro il potere, brandendo una penna a sfera o meglio la tastiera di un notebook.
Per questo, non trovo strano che Travaglio abbia dichiarato di aver dato il suo voto ad un agitatore mestierante come Antonio Di Pietro, e che oggi ostenti la sua infatuazione per un arruffapopolo come Beppe Grillo.
Peraltro, soffermandomi su quello che dice e scrive, mi sembra palese che Travaglio sia portatore di una cultura assolutamente di destra, quasi neo-fascista, nonostante abbia collaborato per anni anche con L’Unità.
A differenza di Travaglio, che ha la capacità di variare il bersaglio delle sue filippiche, Zdenĕk Zeman continua da decenni, invece, a rovesciare il suo rancore sempre su un solo obiettivo.
Zeman è nipote di un ex giocatore che fu, negli anni ’70, anche allenatore della Juventus, Čestmir Vycpálek.
Fu proprio lo zio ad indurre Zeman ad intraprendere la carriera di allenatore, prendendolo per mano ed aiutandolo nei suoi esordi.
La ultratrentennale carriera di Zdenĕk Zeman, però, non è stata certo lastricata di successi se, a fronte del rilevante numero esoneri (Parma, Lazio, Napoli, Salernitana, Stella Rossa, etc.), il palmarès può annoverare solo due promozioni dalla serie B alla serie A (Foggia e Pescara) ed un passaggio da C2 a C1 (Licata).
Ora, la bizzarria è che, pur non avendo avuto mai alcun rapporto con la Juventus, neppure negli anni in cui suo zio Vycpálek ne era l’allenatore (1970-1974), Zeman da anni continua a dar prova di avere il dente avvelenato con il club bianconero.
Non ha mai persa occasione, infatti, per metter becco in quello che avveniva in casa Juventus, facendolo sempre con tanta malevolenza da dare l’impressione di covare un antico rancore per qualche torto subito.
Il fatto è che le ragioni che inducono Zeman a combattere questa sua guerra personale sono oscure ed incomprensibili.
Naturalmente i cronisti sportivi, che conoscono bene questo suo livore, si divertono a sfruculiarlo sicuri di scatenare reazioni e commenti costantemente fuori dalle righe.
Travaglio e Zeman : la polemica come filosofia di vita comune ma con diverse capacità intellettive nell’estrinsecarla.

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