Non occorrevano maghi, chiaroveggenti e sfere di cristallo per capire che la sentenza emessa dal Tribunale del Lavoro di Roma con il reintegro di 145 lavoratori nello stabilimento FIP Pomigliano, per Landini e FIOM sarebbe stata una "vittoria di Pirro".
Sono trascorse meno di 48 ore e la FIAT ha comunicato che chiederà la sospensione dell’esecuzione della sentenza e ricorrerà in appello, ed ha anticipate le prevedibili ed ovvie argomentazioni su cui si articolerà il ricorso.
La direzione aziendale ha dichiarato, infatti, che dare attuazione alla sentenza di reintegro dei 145 lavoratori nello stabilimento FIP Pomigliano, il cui organico è al completo e già adeguato per realizzare gli attuali programmi di produzione, comporterebbe l’inevitabile ricorso alla cassa integrazione per tutto o parte del personale di produzione, oppure l’attivazione delle procedure di mobilità per 145 lavoratori attualmente impiegati.
In pratica la FIAT ha ammollata la patata bollente nelle mani di Landini e della FIOM che dovranno decidere se insistere nella loro battaglia ideologica e scatenare così una guerra tra "poveri", oppure rinunziare a rendere esecutiva la sentenza ed accontentarsi della sola affermazione di principio.
Che il pericolo, di far scoppiare una guerra tra "poveri", esista e costituisca un rischio concreto lo dimostrano le prese di posizione espresse da altre componenti sindacali.
Giovanni Sgambati, segretario generale UILM Campania, ha affermato che il suo sindacato si opporrerebbe fermamente ad una decisione che rischierebbe di penalizzare lavoratori che hanno contribuito fin dalla nascita al progetto FIP Pomigliano.
Antonio D'Anolfi, segretario nazionale dell'UGL Metalmeccanici, si dice preoccupato, invece, che la sentenza di un Tribunale possa creare una "iniqua posizione di vantaggio per gli iscritti alla FIOM" a discapito di altri lavoratori già in forza presso lo stabilimento.
Fermo restando il principio irrinunciabile che nessun lavoratore possa essere discriminato per la sua appartenenza a questo o quel sindacato, la sentenza del Tribunale del Lavoro di Roma pone sul tavolo, infatti, un problema molto serio di discriminazione all’inverso, che D’Anolfo mette bene in evidenza.
È concepibile, cioè, che un’impresa assuma un lavoratore in funzione della sua appartenenza ad un sindacato e non in base, invece, alle sue effettive capacità ed attitudini a svolgere un determinato lavoro ?
Se si concedesse il primato alla tessera sindacale vorrebbe dire gettare alle ortiche meriti come la preparazione, le competenze, le esperienze, l’operosità; per farla breve, prescindere dalla professionalità del lavoratore.
Quasi certamente questa è l'angosciante domanda che da qualche ora si stanno ponendo i 2000 lavoratori oggi impiegati nello stabilimento FIP Pomigliano.
Ed altrettanto certamente questo sarebbe anche un modo per mandare rapidamente allo sfascio il "sistema Italia".
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