Che l’ipocrisia sia
dilagante nel nostro vivere quotidiano non lo scopro certo io, né tantomeno si
può affermare che sia un fenomeno solo di queste settimane o di questi mesi.
Che poi, da
sempre, l’ipocrisia sia maggiormente diffusa nel mondo politico, sindacale, religioso
e giornalistico, è un dato di fatto e non sarebbe sufficiente una “paccata” di post per ricordare mille e
mille esempi.
Perciò, avendo a
disposizione meno di 400 parole vorrei soffermarmi sulla doppiezza che si trascina
ormai da settimane sulla famosa riforma del mercato del lavoro.
Era fin troppo
chiaro, fin dall’inizio, che al centro del tavolo negoziale ci fosse fin dal primo
giorno, per il Governo come per le Parti Sociali, la discussione sull’art. 18.
Le scaramucce su
ammortizzatori sociali, cassa integrazione, riduzione delle forme di contratti
a termine, etc. servivano solo per riscaldare i muscoli in attesa del “big match”.
In sostanza il
vero pomo della discordia riguarda la esclusione, o meno, dalle tutele dell’art.
18, dei cosiddetti “licenziamenti
disciplinari”, vale a dire di quei licenziamenti che le aziende vorrebbero
poter fare in presenza di comportamenti e contegni antitetici con i doveri e gli obblighi previsti dai contratti di lavoro.
Ora, la pretesa
di tutelare il dipendente statale che,
durante l’orario di lavoro, si assenti per andare al supermercato od a giocare
a tennis, sarebbe non solo un’indecenza, ma soprattutto un torto per quel
lavoratore che invece svolge con impegno il proprio lavoro.
Così come sarebbe,
però, altrettanto immorale rendere possibile il licenziamento di un lavoratore
preso di mira dal suo capo perché iscritto ad un sindacato sgradito, o di una
lavoratrice perché rifiuta le avances del suo capo.
Ma, in un Paese
in cui si blatera tanto di “meritocrazia”
mi domando perché non ipotizzare che anche l’art. 18 possa recepire il
principio di tutelare il lavoratore “meritevole”
e di lasciare invece al suo destino il lavoratore “biasimevole”.
Chiunque abbia
lavorato in un ufficio o in una fabbrica sicuramente avrà incrociati colleghi operosi
e colleghi scansafatiche, e si sarà reso conto che i comportamenti non erano
legati né all’età, né al sesso, né alle idee politiche, né all’appartenenza a
questo o quel sindacato.
Potrò sembrare cinico, ma mi domando perché non riscrivere l’art. 18 in
modo da far entrare nel mondo del lavoro i giovani “meritevoli” e farne uscire, invece, i lavoratori “scansafatiche” ?
Nessun commento:
Posta un commento