lunedì 19 marzo 2012

Un art. 18 per fare largo ai giovani


Che l’ipocrisia sia dilagante nel nostro vivere quotidiano non lo scopro certo io, né tantomeno si può affermare che sia un fenomeno solo di queste settimane o di questi mesi.
Che poi, da sempre, l’ipocrisia sia maggiormente diffusa nel mondo politico, sindacale, religioso e giornalistico, è un dato di fatto e non sarebbe sufficiente una “paccata” di post per ricordare mille e mille esempi.
Perciò, avendo a disposizione meno di 400 parole vorrei soffermarmi sulla doppiezza che si trascina ormai da settimane sulla famosa riforma del mercato del lavoro.
Era fin troppo chiaro, fin dall’inizio, che al centro del tavolo negoziale ci fosse fin dal primo giorno, per il Governo come per le Parti Sociali, la discussione  sull’art. 18.
Le scaramucce su ammortizzatori sociali, cassa integrazione, riduzione delle forme di contratti a termine, etc. servivano solo per riscaldare i muscoli in attesa del “big match”.
In sostanza il vero pomo della discordia riguarda la esclusione, o meno, dalle tutele dell’art. 18, dei cosiddetti “licenziamenti disciplinari”, vale a dire di quei licenziamenti che le aziende vorrebbero poter fare in presenza di comportamenti e contegni antitetici con i doveri e gli obblighi previsti dai contratti di lavoro.
Ora, la pretesa di tutelare il  dipendente statale che, durante l’orario di lavoro, si assenti per andare al supermercato od a giocare a tennis, sarebbe non solo un’indecenza, ma soprattutto un torto per quel lavoratore che invece svolge con impegno il proprio lavoro.
Così come sarebbe, però, altrettanto immorale rendere possibile il licenziamento di un lavoratore preso di mira dal suo capo perché iscritto ad un sindacato sgradito, o di una lavoratrice perché rifiuta le avances del suo capo.
Ma, in un Paese in cui si blatera tanto di “meritocrazia” mi domando perché non ipotizzare che anche l’art. 18 possa recepire il principio di tutelare il lavoratore “meritevole” e di lasciare invece al suo destino il lavoratore “biasimevole”.
Chiunque abbia lavorato in un ufficio o in una fabbrica sicuramente avrà incrociati colleghi operosi e colleghi scansafatiche, e si sarà reso conto che i comportamenti non erano legati né all’età, né al sesso, né alle idee politiche, né all’appartenenza a questo o quel sindacato.
Potrò sembrare cinico, ma mi domando perché non riscrivere l’art. 18 in modo da far entrare nel mondo del lavoro i giovani “meritevoli” e farne uscire, invece, i lavoratori “scansafatiche” ? 

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