Questo modo di dire, “dura
minga … dura no” , in dialetto meneghino è stato reso celebre negli anni
’60 da un popolare carosello e sembra adattarsi perfettamente all’attuale
momento politico del nostro Paese.
Dopo che per decenni tutti i partiti politici si sono
preoccupati solo di compiacere al loro elettorato, ponendo in secondo piano la
gestione della cosa pubblica, era inevitabile che arrivasse il momento del “redde rationem”.
Riforme strutturali, ineludibili e fondamentali per modernizzare
il Paese, sono state rinviate per anni, a volte per la scelta di priorità personali,
a volte per il veto incrociato tra partiti di governo e di opposizione, a volte
unicamente perché mettervi mano avrebbe fatto perdere qualche punto percentuale
di elettorato, a volte per non turbare la pace sociale.
Intanto, intorno a noi il mondo cambiava rapidamente, ed il
gap tra l’Italia ed altri paesi del
mondo occidentale si andava a poco a poco ampliando.
Così, insieme a Grecia, Portogallo e Spagna ci siamo
ritrovati a fare i conti con la mannaia della crisi.
Dopo aver condotta l’Italia sull’orlo del baratro la
classe politica, svegliatasi dal suo lungo torpore, ha compiuto finalmente un gesto
di responsabilità ammettendo la propria incapacità ad affrontare la situazione fino
al punto di accettare perfino un governo tecnico.
Purtroppo, però, passato il primo botto di paura i
mestieranti della politica sono ritornati al loro vecchio modo di pensare e di
agire.
Dopo aver annacquate le liberalizzazioni, per favorire le
diverse lobbie, ora avrebbero intenzione di annacquare anche la riforma del
mercato del lavoro per difendere un arcaico art. 18, elaborato oltre 40 anni fa
quando l’economia era incentrata su produzioni industriali, quando
delocalizzazione era una parola sconosciuta, quando la ricerca della
competitività non era così esasperata, quando la robotizzazione era solo tratteggiata sui tecnigrafi, quando Corea, India, Cina e Giappone erano solo mete
turistiche per i più fortunati.
Da Seul Mario Monti ha mandato un primo eloquente messaggio.
Dovrebbe essere chiaro a tutti che Mario Monti ed i suoi
ministri non vivono né di politica né per la politica, per cui o saranno messi
nella condizione di lavorare per cambiare e modernizzare realmente il Paese
oppure non “tireranno a campare” come
fanno i politici di professione.
Per questo, se il PD non avrà il coraggio e l'intelligenza di affrancarsi dalla “camussodipendenza” ed insisterà nel cocciuto proposito di
incidere sulla riforma del mercato del lavoro, il Governo Monti “dura minga … dura no”.
1 commento:
alla riforma del mercato del lavoro vanno portate delle modifiche......sono indispensabiliiiiiiiii......e non centra la camusso .....
Posta un commento