domenica 28 giugno 2015

Europa … ma mi faccia il piacere

Probabilmente in questi giorni non sono solo tra i 500 milioni di cittadini che vivono nei 27 Paesi dell’Unione Europea a pormi alcune domande in cerca di risposte.
Ad esempio, mi chiedo se fosse proprio questa l’Europa che avevano pensata De Gasperi, Adenauer, Monnet, Schuman, Churchill.
Così come mi interrogo su che fine abbia fatta l’idea di Europa come “unione economica e, in prospettiva, politica tra i vari Stati europei, inizio del processo di integrazione europea” che Schuman tratteggiò nel suo discorso al Quai d’Orsay di Parigi il 9 maggio 1950.
La sensazione è che quel progetto ambizioso sia finito, coperto di polvere, negli archivi della storia perché, dopo 65 anni, l’Unione Europea appare solo una costruzione burocratica, autoreferente, in balia degli interessi di parte e di egoismi nazionalistici.
Assistiamo, infatti, a vertici europei, inconcludenti, attenti solo a dimostrarsi guardiani severi dei conti pubblici degli Stati membri, e del tutto incuranti del benessere dei cittadini.
E sono guai per quei capi di stato o di governo che osino ribellarsi ad assurdi diktat e si rifiutino di fare scempio delle condizioni di vita dei propri concittadini.
È sotto gli occhi di tutti il caso della Grecia che la Troika (Ndr: UE, BCE e FMI) vorrebbe vessare ulteriormente, non ancora soddisfatta di aver già messo in ginocchio il Paese e di aver dissanguati i cittadini greci.
Il braccio di ferro ingaggiato con Christine Lagarde e con il potente e malefico ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, si è oramai concluso con il rifiuto di Tsipras di immolare ancora il popolo greco sull’altare dell’euro.
Certo è, però, che questa UE, sempre pronta ad imporre i suoi diktat, si dimostra invece non disponibile a sostenere i paesi membri in difficoltà, neppure quei paesi che si siano sottomessi supinamente alle sue voglie inconsulte.
Prendiamo ad esempio l’Italia.
Quando nell’agosto 2011 la BCE inviò al governo italiano la lettera con le sue imposizione, per qualche mese Berlusconi temporeggiò senza fare nulla, lasciando così che sui mercati finanziari la speculazione si sbizzarrisse facendo lievitare lo spread fino al livello di 575 punti.
Fu allora che un Berlusconi tremebondo preferì lasciare Palazzo Chigi cedendo il testimone a Mario Monti.
Ereditati da Berlusconi i diktat della BCE, Mario Monti non fece assolutamente nulla per respingere, o quantomeno negoziare le gravose pretese, ma servilmente si assoggettò a fare i compiti che gli venivano dettati da Bruxelles.
A farne le spese sono stati sia i cittadini sia l’economia del Paese, sacrificati da Mario Monti nel nome di una ubbidienza ossequiosa all’UE.
Insomma, tasse e poi ancora tasse, cancellazione di diritti dei lavoratori e pensionati, impiego di denaro pubblico per salvare gli istituti bancari, etc. etc.
Purtroppo per i cittadini italiani questa umiliante solfa non è cambiata quando a Palazzo Chigi si è insediato Enrico Letta, che ha proseguito senza esitazione nella cieca ed assoluta osservanza delle intimazioni europee.
Ma neppure l’avvento a Palazzo Chigi di Matteo Renzi ha portato un cambio di rotta, anzi.
In buona sostanza, uno dopo l’altro, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi si sono dimostrati soprattutto incapaci di tutelare gli interessi dei loro concittadini e di contrastare con fermezza la austerity imposta da Bruxelles.
Ma, nonostante anni di sottomissione dei governi italiani alle pretese europee, il nostro Paese non ha acquisito né credito né rispetto presso i partner europei.
Anzi, sembra quasi che l’essersi comportata da suddito osservante dei voleri europei abbia rafforzata, nei nostri partner, la convinzione che l’Italia possa essere bistrattata senza riguardo.
La conferma si è avuta nei giorni scorsi quando la richiesta italiana, di condividere la gestione dei flussi di migranti che sbarcano senza tregua sulle nostre coste, è stata di fatto spernacchiata dal vertice dei capi di stato e di governo europei.
Infatti, checchè ne dica Matteo Renzi, rientrato da Bruxelles con le pive nel sacco, il problema dei migranti sarà un fardello che l’Italia dovrà gestire da sola, senza contare molto sulla “volontarietà” con cui gli stati membri potrebbero ripartirsi, in due anni, l’irrisorio numero di 40000 migranti sbarcati sia sulle coste italiane che su quelle greche.
Per intanto se ne riparlerà nel prossimo vertice di luglio, quando i molti paesi contrari, tra cui Repubblica Ceca, Slovacchia ed Inghilterra, potrebbero far saltare qualsiasi abbozzo di accordo. 

giovedì 25 giugno 2015

Un Oscar al bifrontismo di Renzi

Se a Los Angeles, nella effervescente notte degli Oscar, la giuria decidesse di assegnare una statuetta dorata anche al protagonista della immaginaria ed inquietante pellicola dal titolo “Il ritorno di Giano bifronte”, a ritirare il premio non potrebbe essere che Matteo Renzi.
È fin troppo facile anche ipotizzare quale sarebbe la motivazione della giuria: “Per aver interpretato in modo magistrale il personaggio farisaico, ambiguo ed opportunista, pronto a mutare opinione a seconda della convenienza del momento”.
Ad onor del vero sulla scena politica italiana non è certo Renzi il primo a dimostrare la vocazione al fariseismo.
E non è neppure lui il primo a fare il moralista a giorni alterni, intransigente nei giorni pari e lassista in quelli dispari.
Di sicuro, però, Renzi è il primo che si dimostra capace, nel giro di qualche ora, di proporre una interpretazione etica più volubile del volo di una farfalla.
Ad esempio, ogniqualvolta si esibisce in televisione, cioè un giorno sì e l’altro pure, o se intervistato da compiacenti giornalisti, Renzi proclama sempre intransigenza nei confronti di ogni comportamento che sia moralmente e socialmente riprovevole.
Per dar prova del suo rigore, ad esempio, Renzi ha pretese le dimissioni di un ministro del suo governo, Maurizio Lupi, solo perché da una intercettazione telefonica era emersa la “gravissima” colpa di aver raccomandato il figlio per un posto di lavoro.
I tanti grulli della corte renziana non persero l’occasione per profondersi in incensamenti del rigore morale del loro boss.
Gli stessi grulli di corte, però, non si sono indignati pochi giorni dopo quando Renzi, in pubblico, ha abbracciato un condannato per abuso d’ufficio, Vincenzo De Luca, e neanche si scandalizzano oggi quando Renzi, menando il can per l’aia, tergiversa nell’applicare la legge Severino nei confronti dello stesso De Luca.
Grulli che si sono affrettati, invece, a far eco a Renzi nel sollecitare le dimissioni del sindaco di Roma, Ignazio Marino, anche se il tapino non è né indagato né inquisito nello scandalo di “Mafia Capitale”.
Per non deragliare, però, dalla logica della farisaica morale a giorni alterni, tutti in coro i grulli di corte si sono opposti alle dimissioni richieste al sottosegretario Giuseppe Castiglione, lui si formalmente indagato invece proprio nell’inchiesta “Mafia Capitale” per presunte tangenti nella gestione del centro di accoglienza di Mineo.
Come si comporterà, ora, il bifrontismo morale di Renzi quando dovrà decidere se accogliere o meno la richiesta di arresti del senatore Antonio Azzolini, presidente della Commissione Bilancio, inoltrata al Parlamento dalla procura di Trani per il crac della clinica Divina Provvidenza ?
Insomma, con la morale Renzi dimostra di essere molto abile nel fare il gioco delle tre carte, ma quel che è peggio intorno a lui tanti grulli annuiscono ! 

domenica 21 giugno 2015

Vergogne del Bel Paese

Ci sono dei giorni, ed oggi è uno di quelli, in cui dopo aver fatto il pieno di notizie sulle dilapidazione del denaro pubblico e sulla propagazione di ruberie e malaffare nella pubblica amministrazione non solo mi incazzo, ma mi vergogno di essere italiano.
Disonestà, abusi, illegalità pervadono a tal punto la nostra società da indurre a credere che la rettitudine e l’onestà siano monete ormai così rare nel nostro Bel Paese da meritare un posto di rilievo nelle bacheche dei collezionisti.
A lenire tanta amarezza c’è solo la consapevolezza che, nonostante tutto, ci sono milioni e milioni di italiani perbene, che vivono del loro lavoro, se hanno la fortuna di averne uno, fanno sacrifici, pagano le tasse, a dispetto della disonestà dei troppi farabutti.
Purtroppo, mentre milioni di cittadini tirano la carretta sempre più con fatica in questa congiuntura angosciante e senza fine, non passa giorno che dalle cronache non emergano fatti a dir poco ignominiosi.
A Roma, ad esempio, mentre la Magistratura continua a sollevare veli su “Mafia Capitale 1” e “Mafia Capitale 2”, la Corte dei Conti del Lazio avvia una indagine sull’impiego illegittimo di 350 milioni da parte della amministrazione comunale.
Oggetto dell’inchiesta è il cosiddetto “salario accessorio” con il quale, negli anni dal 2009 al 2013, l’allora sindaco capitolino, il forzista Gianni Alemanno, ha generosamente omaggiati i 24000 dipendenti comunali usando denaro pubblico, ovviamente con il beneplacito di quegli stessi sindacalisti sempre pronti a scendere in piazza per denunciare sprechi, abusi, illegalità.
Di norma per svolgere con impegno e diligenza i compiti assegnati ogni dipendente, anche quelli del Comune di Roma, percepisce un salario.
Sennonché il DL 78/2010 ha prevista la costituzione di fondi per la corresponsione di un “salario accessorio” a quei dipendenti che si distinguessero con performance di eccellenza per produttività, impegno, operosità.
Il “salario accessorio” dovrebbe essere, quindi, una forma finalizzata a premiare il merito.
Ebbene, Gianni Alemanno, negli anni in cui è stato sindaco di Roma, ha pensato bene di distribuire a pioggia i fondi del “salario accessorio”, indiscriminatamente a tutti i 24000 dipendenti comunali, riuscendo così a premiare anche coloro che si erano distinti con performance di “eccellenza” in termini di assenteismo, inoperosità, sciatteria.
Ora, se Alemanno avesse dimostrata tanta generosità pagando di tasca sua non ci sarebbe nulla da obiettare, se non che la generosità di Alemanno è costata alle casse dello Stato, cioè a noi tutti, ben 350 milioni.
Ma, nelle stesse ore, la “eccellenza” negativa dei comuni italiani e dei loro dipendenti viene testimoniata dai Carabinieri di Marcianise e da alcune telecamere installate nei locali del comune di Orta di Atella, cittadina di 30000 abitanti in Provincia di Caserta.
L’occhio delle telecamere, infatti, ha permesso di osservare un sistema consolidato con il quale, a turno, una ventina dei 128 dipendenti comunali provvedeva alla vidimazione collettiva dei badge di presenza per tutti i colleghi assenti dal posto di lavoro.
Così sono finiti indagati per i reati di truffa aggravata e false certificazioni nientepopodimeno che 85 dei 128 dipendenti.
Ancora più disgustoso che questi reati, come è stato assodato, siano stati commessi sotto gli occhi, tolleranti o complici, di amministratori comunali, dirigenti ed addetti municipali alla vigilanza.
Non è certo questo il primo caso venuto a galla di truffe commesse da dipendenti pubblici con l’illecito della vidimazione collettiva, ma mi domando quanti di questi farabutti sono stati poi licenziati a calci nel sedere? 

giovedì 18 giugno 2015

Le primarie ed il “Signor Nessuno”

Se non si trattasse del presidente del Consiglio in carica, cioè di colui al quale sono affidati i destini del nostro Paese verosimilmente fino al 2018, le esternazioni quotidiane di Matteo Renzi potrebbero sembrare sketch da avanspettacolo.
L’effetto farsesco, però, svanisce subito non appena consideriamo che il debito pubblico italiano ad aprile ha sfiorato il poco invidiabile record di 2.200 miliardi, che la disoccupazione giovanile cresce senza freno, che la povertà assoluta affligge oltre 6 milioni di nostri concittadini, che i partner europei voltano le spalle al dramma umanitario dei flussi di migranti, etc. etc.
Non induce neppure tranquillità e sorrisi la strisciante propensione che Renzi ha per forme di un dispotismo che fa a pugni con settanta anni di faticosa convivenza democratica.
Preoccupa, ad esempio, l’annientamento del ruolo che la Carta Costituzionale attribuisce al Parlamento, perpetrato da Renzi, in questi mesi, imponendo 38 voti di fiducia per impedire modifiche ai decreti del governo.
Non meno inquietante è il rifiuto ostinato ad un confronto non solo con i partiti di opposizione, ma addirittura con le stesse minoranze interne del PD.
Oggi, a rendere più preoccupante lo scenario è quel Renzi che, stizzito per la sconfitta del PD alle ultime elezioni regionali ed ai ballottaggi per la elezione dei sindaci, dimostra la sua incapacità di fare autocritica e non trova di meglio che scaricare le colpe del flop elettorale sulle primarie organizzate dal PD che, secondo lui, avrebbero consentite le candidature di soggetti non all'altezza.
Aldilà di ogni altra considerazione, c’è però qualcosa di puerile nel suo modo di affrontare la realtà.
Infatti per mesi, in lungo ed in largo, si è pavoneggiato di aver ottenuto LUI il 40,8% di consensi alle elezioni europee.
Oggi, invece, di fronte all’insuccesso delle amministrative non riesce a fare altro che addossare tutta la colpa alla inadeguatezza dei candidati scelti attraverso le primarie PD con il suo imprimatur.
Una polemica nei confronti dell’istituto delle primarie bizzarra e paradossale.
Infatti, lo smemorato da Rignano sull’Arno non ricorda che è solo grazie alle primarie che lui ha potuto diventare prima sindaco di Firenze nel 2009 e poi, nel 2013, segretario del PD.
Cioè, senza le primarie Renzi oggi non maramaldeggerebbe sul PD, né avrebbe potuto congiurare con Berlusconi per scalzare Enrico Letta da Palazzo Chigi, né tantomeno sarebbe mai diventato presidente del Consiglio, e quindi aver accesso nei consessi internazionali.
Per farla breve, senza le primarie organizzate dal PD, oggi Matteo Renzi sarebbe un “Signor Nessuno”.
Il fatto è che, agli occhi di Renzi le primarie, pur con i loro limiti, rappresentano ora un metodo esageratamente democratico perché permettono ad iscritti e simpatizzanti del centrosinistra di scegliere i propri candidati.
Il sistema primarie, infatti, mal si concilia con l’assioma renziano di un “uomo solo al comando” che vuole eleggere a suo piacimento vassalli e portaborse, giullari di corte e damigelle d’onore.
Questo lo si era già intuito quando, nella nuova legge elettorale l’Italicum, Renzi aveva imposti a viva forza i capilista bloccati per garantire ai suoi cortigiani uno scranno sicuro nel futuro Parlamento.
Anche se lo scenario politico italiano non fa presagire nulla di buono, per la sua precarietà, ed anche se oramai il 50% di elettori nauseati rifiuta il contatto con le urne, mi auguro che, dopo il ventennio del Duce da Predappio e dopo i quattro lustri del Principe di Arcore, all’Italia non tocchi ora una lunga dominazione del ducetto da Rignano sull’Arno.    

lunedì 15 giugno 2015

Migranti, tutti “poveri diavoli” ?


Che l’Unione Europea, con il rifiuto ormai manifesto di dare una mano all’Italia nella gestione della emergenza migranti, confermi, ancora una volta, di essere una congrega di burocrati che sanno solo fare i cani da guardia sui conti pubblici degli stati membri, è un dato di fatto.
Che il nostro Paese nell’ambito della Unione Europea, e purtroppo non solo, non abbia voce in capitolo e da Bruxelles sia tenuto in considerazione solo come contribuente che ogni anno versa miliardi di euro nelle casse europee, è ancora un dato di fatto.
Che in Italia anche sulla accoglienza dei migranti le cricche di politici e mafiosi riescano a fare i cavolacci loro non è più una ipotesi ma una realtà.
Ci sono, però, anche molti aspetti del fenomeno migratorio che a me lasciano perplesso, ma che invece sembrano non stupire né le istituzioni preposte, né i tanti sostenitori di una accoglienza senza regole.
Non ho alcun dubbio che sia un atto doveroso il soccorso in mare di chiunque si trovi in difficoltà, per cui dobbiamo essere grati agli uomini della marina militare, della guardia costiera e della guardia di finanza che da anni operano senza sosta per salvare vite umane.
Non ho neppure dubbi che tra i migranti ci siano bambini, donne ed uomini disperati che cercano di sfuggire a guerre cruente ed a condizioni di vita miserande.
Mi sembra invece meno comprensibile che, pur scappando da situazioni angosciose, così tanti individui, rischino la vita loro e dei loro cari mettendosi nelle mani di ceffi senza scrupoli.
Così come mi sorprende, ad esempio, che centinaia di migliaia di persone, targate come “poveri diavoli” da tutti i media, dispongano dei dollari (NdR: si parla di non meno di due/tre mila dollari a testa) per procacciarsi un posto su quei barconi fatiscenti.
Mi domando: perché invece di pagare gli scafisti non usano quel denaro per emigrare procurandosi un meno caro e più sicuro passaggio su un aereo o su un traghetto ?
Possibile che per tutti il problema sia solo la mancanza di documenti ?
Tra l’altro non posso fare e meno di chiedermi: quanti dei sei milioni di italiani che, secondo l’ISTAT, vivono in stato di povertà assoluta dispongano delle migliaia di dollari ostentati da questi migranti “poveri diavoli” ?
Ma a smentire la diceria che su quei barconi si trovino solo “poveri diavoli” ci sono alcune indicazioni rese note da coloro che organizzano gli interventi di soccorso.
Secondo gli addetti ai lavori, infatti, la maggior parte delle richieste di aiuto giungono loro dai migranti in difficoltà attraverso chiamate con telefoni satellitari.
Poiché da quasi dieci anni sono fedele ad un normale cellulare Nokia ho voluto informarmi su cosa sia la telefonia satellitare ed ho scoperto così che si tratta di telefoni il cui costo può superare i due/tremila euro, con costi di esercizio molto elevati.
Si tratta, quindi, di telefoni che di certo non si potrebbero permettere i sei milioni di italiani che vivono in condizione di povertà assoluta.
Sono considerazioni forse banali ma mi inducono a pensare che l’Italia dovrebbe selezionare chi meriti davvero di essere accolto ed assistito per ragioni umanitarie e chi, invece, debba essere rispedito da dove è venuto.
Il governo italiano potrebbe decidere di accogliere e riconoscere la condizione di profughi, ad esempio, a somali, eritrei e siriani, accordando loro il soggiorno temporaneo nei centri di accoglienza.
Tutti gli altri, previo accordi anche economici con i due attuali governi libici, di Tripoli e Bengasi, dovrebbero essere riportati sulle spiagge libiche da dove sono partiti.
Sono convinto che la intransigenza nel respingere coloro che non hanno diritto di asilo potrebbe avere anche un effetto di dissuasione nei confronti di quanti ancora attendono, sulle spiagge libiche, di venire in Italia e godere di una accoglienza indiscriminata, convinti che per imporci la loro presenza basti pagare qualche migliaia di dollari agli scafisti. 

sabato 13 giugno 2015

Finirò per tifare Grecia

Non c’è bisogno di essere geni per capire che a menare le danze in Europa siano Germania e Francia, vale a dire Angela Merkel e François Hollande.
Infatti, non solo i burocrati di Bruxelles pendono dalle loro labbra, a cominciare da Jean Claude Juncker, ma gli stessi stati membri dell’UE appaiono ben disposti ad allinearsi ai voleri di Germania e Francia. 
La riprova ?
Sono stati Merkel ed Hollande a condurre i colloqui con Vladimir Putin per trattare la situazione Ucraina, estromettendo senza alcuna remora dai loro incontri Federica Mogherini, nonostante il suo ruolo di Alto Rappresentante dell’UE per gli affari esteri.
Sono ancora e sempre Merkel ed Hollande ad incontrare Alexis Tsipras per cercare possibili soluzioni che evitino il default della Grecia e la sua uscita dall’Unione Europea.
Perciò, fino a quando Merkel ed Hollande non riterranno meritevole di attenzione anche la emergenza umanitaria della marea di profughi che sbarca sulle nostre coste, il problema continuerà a gravare esclusivamente sulle spalle del nostro Paese.
D’altra parte in Europa il nostro Paese da anni è trattato un po’ come il parente povero, e non solo dalla Germania, ma addirittura dalla Francia.
Difatti, al contrario di quanto ci hanno raccontato per anni i vari Berlusconi, Monti, Letta e di quanto oggi favoleggi Matteo Renzi, l’Italia non ha voce in capitolo nell’ambito europeo, anche perché ha sempre chinata la testa cedendo a tutte le richieste dell’UE.
Da Bruxelles ci hanno ordinato di mettere sotto controllo i conti pubblici e di non superare il 3% nel rapporto “deficit/PIL”, ebbene senza fiatare i nostri governanti come scolaretti hanno svolto e continuano a svolgere il loro compitino, anche facendo scempio soprattutto delle classi sociali più deboli, soverchiandole di tasse, cassando i loro diritti, castrando i servizi sociali.
Pur di soddisfare i diktat europei i governi italiani sono arrivati ad adottare provvedimenti persino impregnati di incostituzionalità, come è successo, ad esempio, impedendo l’indicizzazione delle pensioni e bloccando i salari dei dipendenti pubblici.
Il governo italiano prosegue nel suo atteggiamento pusillanime ancora oggi, dimostrandosi tremebondo ed incapace di reagire di fronte alla indifferenza con cui la UE  considera le sollecitazioni italiane per far fronte comune agli irrefrenabili flussi di emigranti che arrivano nel nostro Paese.
Non è forse inetto un governo che non solo non ha dati cenni di reazione di fronte al rifiuto del piano per le quote migranti, proposto da Mogherini, ma che non fiata neppure quando l’UE oggi conferma di non volersi far carico della emergenza migranti, di fatto scaricando il problema sull’Italia ?
Ora, aldilà di ogni altra possibile notazione, poiché l’accoglienza dei profughi tra l’altro grava, anche e non poco, sulle casse pubbliche italiane, perché mai il nostro governo non si impunta di fronte a questa presa in giro da parte dell’UE e, per esempio, non notifica ai burocrati di Bruxelles che, in assenza di una concreta e corposa condivisione dei flussi migratori da parte degli altri stati membri, l’Italia bloccherà i versamenti dei contributi all’UE ?
Già, perché pur se trattato da parente povero il nostro Paese dal 2007 al 2013 ha versati, nelle casse europee, contributi per 112 miliardi di euro, risultando così il terzo contribuente dopo Germania e Francia.
In realtà, che ai diktat di Bruxelles si possa e si debba reagire, perfino ingaggiando un braccio di ferro con i burocrati europei, lo dimostra da settimane Alexis Tsipras che ha scelto di fare orecchie da mercante alle loro pretese, dando prova di voler proteggere innanzitutto i cittadini greci già messi in ginocchio dalle infauste intrusioni della Troika.
Poiché Tsipras sa bene che l’uscita della Grecia dall’UE ed il suo possibile avvicinamento a Mosca sarebbero nocivi per gli stessi interessi europei, non desiste dalla sua opera di resistenza.
Un’opera di resistenza che sembrerebbe produrre i primi frutti se è vero che la inflessibile Merkel, secondo indiscrezioni, sarebbe disposta alla fine ad accontentarsi se la Grecia accettasse anche solo una delle molte pretese teorizzate dall’UE.
Il nostro presidente del Consiglio, invece, appare così eccitato dall’incontrarsi con Merkel, Hollande, Juncker, Schulz, Obama, etc. da dimenticarsi dell’Italia e degli italiani e da essere talmente in estasi per lo stare insieme a loro da avere sempre l’aria gioiosa e soddisfatta di un bambino appena premiato con un leccalecca gigante. 

domenica 7 giugno 2015

Quisquilie italiche con la sordina

Non è un mistero che nel nostro Paese tutti i media, e non solo quelli di partito, quotidiani, periodici e radio, sopravvivano, di fatto, soprattutto grazie ai contributi che ogni anno le casse statali elargiscono loro per decine e decine di milioni.
Così come non è un mistero che questo stato di cose finisca, inevitabilmente, per influire sulla lettura e sulla interpretazione degli accadimenti da parte degli addetti ai lavori.
Insomma, per dirla fuori dai denti, il sistema politico attraverso cospicue sovvenzioni continua ad assicurarsi la piaggeria di editori, giornalisti, commentatori.
Ecco perché più volte viene messa la sordina a quelle notizie che potrebbero dare fastidio alle stanze del potere.
Ad esempio, in questi giorni è stata sfumata o del tutto ignorata la notizia della memoria che l’Avvocatura dello Stato ha presentata alla Corte Costituzionale in vista della udienza in calendario per il prossimo 23 giugno.
Udienza nella quale la Consulta dovrà decidere sul ricorso per incostituzionalità del blocco della contrattazione salariale, per il periodo 2010-2015, per tutto il personale della pubblica amministrazione.
Nella sua memoria l’Avvocatura dello Stato sembra ammonire la Consulta preavvisandola che una eventuale accettazione del ricorso potrebbe gravare sulle casse statali per almeno 35 miliardi per gli anni dal 2010 al 2015, e per circa 13 miliardi ogni anno a partire dal 2016.
Mi sono chiesto perciò: perché silenziare questa notizia ed arginarne la diffusione ?
Probabilmente perché, a poche settimane dalla sentenza della Consulta che ha costretto il governo ad ammettere di aver defraudati di 16 miliardi i pensionati, per il periodo 2011-2015, dover riconoscere ora di aver estorti anche 35 miliardi ai dipendenti della pubblica amministrazione, sconfesserebbe le tante fandonie che i nostri governanti da anni raccontano agli italiani.
Insomma, sarà pure una osservazione banale e sbrigativa ma se l’Italia non è finita come la Grecia sotto le forche caudine della Troika lo si deve in buona parte a questi 51 miliardi che sono stati sgraffignati dalle tasche di pensionati e dipendenti pubblici.
Mentre, però, pensionati e dipendenti pubblici hanno più che valide ragioni per denunciare di essere stati vittime  sacrificali per far quadrare i conti pubblici, il debito pubblico continua invece a crescere, il che non fa che confermare quanto incapace, inetto ed inefficiente sia il nostro governo nel tagliare gli sprechi, nel ridurre i costi del sistema politico, nel mettere mano ad una spending review a 360 gradi.
Già, ma per realizzare questo programma ci vorrebbe un capo del governo responsabile e dotato di appropriati attributi, mentre purtroppo Palazzo Chigi è occupato da un individuo immaturo ed irresponsabile che si trastulla con la playstation e con i tweet. 

sabato 6 giugno 2015

Cavillando sull’affaire De Luca

Dopo aver letta l’intervista rilasciata a La Repubblica mi sono chiesto se Raffaele Cantone avesse disquisito a titolo personale, o come ex magistrato, o come presidente dell’Autorità anticorruzione, o più semplicemente come portavoce di Matteo Renzi.
Tra le righe, infatti, si leggono affermazioni e giudizi così tranchant da far nascere il sospetto che il desiderio di Cantone fosse soprattutto quello di cavare le castagne dal fuoco al presidente del consiglio che, da segretario del Pd, si è infilato in un oscuro ginepraio.
Ad esempio, a proposito della diffusione dell’elenco dei candidati “impresentabili” alle elezioni regionali, Cantone non risparmia dure critiche alla Commissione Antimafia ed alla sua presidente, Rosy Bindi, asserendo che si è trattato di “un grave passo falso, un errore istituzionale”.
Singolare la motivazione con cui supporta questa sua affermazione: “in questo modo si rischia di dare il bollino blu a tantissimi che, non vedendosi inseriti in quella lista, si sentono pienamente legittimati”.
Ammetto di aver dovuto leggere e rileggere più volte questa frase perché non volevo credere ai miei occhi.
Ma come, in un sistema politico reso putrido da individui disonesti ed indegni, l’ex magistrato Cantone considera scorretto che la Commissione Antimafia allerti gli elettori segnalando loro, con nome e cognome, chi si sia già reso colpevole di misfatti e sia incappato nelle maglie della Giustizia ? (NdR: ironia del fato, l’intervista è stata pubblicata poche ore prima della nuova retata che ha visto finire in manette ancora decine di politici e loro sodali nell’ambito della inchiesta “Mafia Capitale")
A Cantone sfugge forse che in campagna elettorale i malfattori non hanno l’abitudine di presentarsi rivelando ai cittadini il loro curriculum di ruberie e malefatte.
Per questo credo degna di rispetto e di approvazione la Commissione Antimafia proprio perché si è data da fare per mettere in guardia gli elettori.
D’altra parte ai capibastone della politica italiana nun gliene po’ fregà de meno della moralità dei loro rappresentanti.
Quindi, che male c’è se poi ad una parte dei candidati viene dato un virtuale bollino blu di “presentabili” ?
Non meno sorprendente per il suo arzigogolare è poi quanto Cantone si affanna ad escogitare per caldeggiare il rinvio nel tempo della sospensione di De Luca.
In questo caso appare ancora più palese la sua smania di cavare le castagne dal fuoco a Matteo Renzi.
Che De Luca, poiché condannato in primo grado per abuso di ufficio, se eletto non avrebbe potuto assumere l’incarico di presidente della regione per effetto della Legge Severino, era noto a tutti, perfino ad uno sbadato Matteo Renzi che, invece, si è dato da fare, con baci ed abbracci, per sostenere l’ex sindaco di Salerno in campagna elettorale.
Ora mi domando: il segretario del PD si augurava che De Luca non fosse eletto, oppure non ha valutati gli inevitabili effetti della sua elezione ?
Infatti, poiché anche una recente sentenza della Cassazione ha avvalorato che la sospensione prevista dalla Legge Severino è un “atto vincolato” che non ammette valutazione di discrezionalità, nel momento stesso in cui la Corte d’Appello di Napoli avrà proclamati i risultati elettorali, il Prefetto per dovere d’ufficio dovrà immediatamente richiedere al Ministero dell’Interno la sospensione di De Luca.
Di fronte a queste lapalissiane evidenze Cantone non trova di meglio che fare cavillose elucubrazioni su quale sarebbe il momento in cui deve scattare la sospensione e dice: “se si sospendesse subito, senza consentire ai consiglieri eletti di insediarsi ed al consiglio di funzionare anche in rapporto alla giunta, bisognerebbe dichiarare lo scioglimento del consiglio regionale per impossibilità di funzionamento. E la sospensione prevista dalla Severino, che ha funzione cautelare e carattere provvisorio diventerebbe, di fatto, una decadenza”.
E con ciò ? Le elezioni in Campania erano inquinate fin dall’inizio dal vulnus della candidatura De Luca.
Mi sembra che Cantone si arrampichi sugli specchi per distogliere l’attenzione del lettore dal fatto che, a monte di questo “rompicapo senza precedenti”, ci sia solo la chiara boriosa irresponsabilità di Matteo Renzi.
Matteo Renzi che oggi, con la sua alterigia da despota, si accinge a sfidare e calpestare la legge Severino pur di occultare l’incoscienza e la faciloneria con cui lui ha messa a rischio la stessa governabilità della Campania.
Così, in barba alla legge ed allo stesso statuto della Regione Campania, nell’assordante silenzio del Capo dello Stato, il presidente del Consiglio ordinerà l’insediamento di un consiglio regionale presieduto da un individuo di fatto non legittimato perché in odore di sospensione ex legge Severino.
Un altro bel casino renziano !
In ogni caso mi sembra che Raffaele Cantone, proprio perché presidente dell’Autorità anticorruzione, per ragioni di opportunità avrebbe dovuto evitare la sua imbarazzante arringa difensiva di Renzi. 

mercoledì 3 giugno 2015

Allergia alle sbarre e non solo

Un anno fa su questo blog esternai il mio sconcerto quando il Tribunale del Riesame di Milano commutò l’ultimo dei quattro anni di condanna (NdR: tre anni erano stati coperti da indulto), inflitti a Silvio Berlusconi dalla Corte di Cassazione, in un benevolo affidamento ai servizi sociali, tradottosi poi in concreto nelle quattro ore di presenza settimanale presso la Sacra Famiglia di Cesano Boscone.
Mi chiedevo, allora, se gli stessi giudici sarebbero stati così magnanimi da riservare altrettanta benevolenza nel caso il condannato fosse stato un poveraccio qualunque.
Da allora, però, non solo convivo con quel dubbio, ma da quando il Tribunale di Sorveglianza ha anche ridotto l’anno di servizi sociali a dieci mesi e mezzo ed ha cancellati i due anni di interdizione dai pubblici uffici, mi sono convinto che per colpa della mia crassa ignoranza non riuscirò mai a penetrare gli oscuri meandri della giustizia italiana.
Infatti, non potrò mai capire neppure la decisione del Tribunale del Riesame (NdR: sempre quello di Milano) adottata nei giorni scorsi in merito alla detenzione del mafioso Giulio Lampada.
Proverò a spiegarmi con alcuni ragguagli.
Giulio Lampada, 44 anni, è stato condannato in appello per associazione mafiosa a 14 anni e 5 mesi di carcere con il regime ex art. 41bis (NdR: il cosiddetto “carcere duro”), perché riconosciuto come braccio operativo e finanziario, a Milano, del clan ‘ndranghetino Condello.
Fin dai primi giorni il detenuto Lampada ha dimostrata insofferenza per la vita carceraria con scioperi della fame e comportamenti sia autolesionistici sia di ostilità verso gli addetti alla custodia penitenziaria.
Ricoverato dapprima nella struttura sanitaria del carcere e poi in un ospedale esterno ha persistito in atteggiamenti di intolleranza che il suo legale ha voluto giustificare affermando: “…il mio assistito ha una tremenda avversione per le sbarre, per le divise e perfino per i camici bianchi dei medici” (NdR: sic !!!).
Dopo tre anni di detenzione, sulla base dei referti medici, redatti da alcuni consulenti, il Tribunale del Riesame si impietosì al punto di concedere, al mafioso Lampada, di scontare la pena agli arresti domiciliari presso una comunità terapeutica di Cairo Montenotte, nell’entroterra di Savona, ciò nonostante il parere contrario del PM.
Una comunità, cioè, senza guardie, né divise, né sbarre alle finestre.
Dopo sette mesi, però, al mafioso Lampada anche gli arresti domiciliari presso la comunità sono apparsi troppo rigorosi ed insopportabili.
Secondo i medici che lo hanno visitato a più riprese Lampada non soffrirebbe di una vera e propria malattia psichiatrica, ma la permanenza in luoghi che lui considera ostili e persecutori potrebbero indurlo anche ad atti di autolesionismo.
In base alle perizie, il Tribunale del Riesame ha accolto così un nuovo ricorso, e nei giorni scorsi non solo ha confermati gli arresti domiciliari, ma ha disposto anche il trasferimento di Lampada dalla comunità di Cairo Montenotte alla lussuosa e rassicurante villa che il mafioso possiede a Settimo Milanese dove, assistito amorevolmente da moglie e figlie, potrà finire di scontare la sua condanna.
Ora, per colpa della mia crassa ignoranza non sarò in grado di comprendere gli arcani della giustizia ma, porcaccia di una miseria, mi è per davvero impossibile accettare che quel mafioso da alcuni giorni sia ritornato a casa, dove nel più assoluto comfort finirà di scontare la sua condanna.