martedì 28 ottobre 2014

Un weekend di opposti fanatismi

Basta scorrere qualche pagina di storia, non solo italiana, per rendersi conto di quali nefande conseguenze possano provocare i fanatismi, qualunque sia la loro matrice.
Per questo ho provata una amara sensazione di smarrimento e di angoscia di fronte ai segnali di sordo settarismo che sono giunti sabato, da piazza San Giovanni, e domenica, dalla ex stazione della Leopolda.
Mi è parso di rivivere lo stesso sconforto che, negli ultimi venti anni, mi aveva provocato il cieco fanatismo che accompagnava ogni pubblica apparizione dell’ex cavaliere.
La differenza, però, è che in questo weekend ho avuta l’impressione che in campo ci siano due fanatismi così ottusamente contrapposti da rendere impossibile la ricerca di un qualsiasi punto di mediazione.
Infatti, sperare che i “landiniani” smettano di credere alle favole che raccontano loro Landini e Camusso, irriducibili predicatori di un mondo del lavoro che non esiste più da anni, credo che sia ingenuo e soccombente.
Così come, per contro, illudersi che i “renziani” rinsaviscano nel rendersi conto che il loro feticcio è, di fatto, solo un ducetto da operetta, che ha scambiato Palazzo Chigi, l’Italia e l’Europa, per palcoscenici sui quali esibirsi sparando panzane e tweet, mi sembra, almeno per il momento, una battaglia persa.
Il guaio vero è che tra il fanatismo dejà vu del “landinismo”, e quello crescente del “renzismo”, in mezzo ci sono le molte e drammatiche difficoltà del nostro Paese, vale a dire di tutti noi.
Un weekend, dunque, che mi ha lasciato oltre all’amaro in bocca anche alcune preoccupazioni di fondo.
Ho il timore, innanzitutto, che questa zuffa tra opposti fanatismi finisca per inasprire le tensioni sociali con conseguenze funeste per l’esistenza e la sicurezza degli italiani.
Ho il sospetto, poi, che Renzi, con la ostinata ricerca dello scontro all’interno del partito democratico, si proponga di far saltare il banco per portare il Paese a nuove elezioni nella primavera del 2015.
Un sospetto, questo, alimentato anche dai troppi indizi che hanno fatto seguito alla “congiura del Nazareno”, ultimo dei quali, visti i sondaggi, la inspiegabile accondiscendenza di Berlusconi all’ipotesi di modificare l’Italicum aggiudicando il premio di maggioranza non alla coalizione ma alla lista.  
Se così fosse, come non ipotizzare che la nave Italia rimasta senza timone ed in fiamme, nel bel mezzo di una burrasca, non possa essere costretta a lanciare il “mayday” raccolto, volenti o nolenti, dalla famigerata Troika che si insedierebbe sul ponte di comando ?

lunedì 20 ottobre 2014

“Mister 80 €” … ancora protagonista in TV

Pochi minuti fa Paolo Romani, Capo Gruppo dei senatori di Forza Italia, con una faccia tosta ineguagliabile ha twittato: “@_paolo_romani - Dopo Domenica Live di oggi e l’intervista del segretario del PD, ci sarà ancora qualcuno che parla di conflitto di interessi ?”.
Qualche ora prima il forzista Romani aveva già twittato: “@_paolo_romani – Bravo Renzi su Canale 5. Ma siamo sicuri che le interviste in ginocchio della D’Urso siano il meglio che la televisione può offrire ?”.
Di fronte a tanta spudoratezza non ce la faccio proprio a non fare alcune considerazioni.
Di certo non può essere questa unica circostanza, che ha visto Matteo Renzi recarsi a Canale 5, su invito di Berlusconi, a snocciolare la sua sequela di fandonie sotto gli occhi della svenevole Barbara D’Urso, che può legittimare la indecenza del conflitto di interessi che ha al centro il signore di Arcore.
Infatti, solo se Canale 5 e le altre TV Mediaset dedicheranno la stessa attenzione ed ospiteranno con uguale piaggeria non solo Berlusconi e Renzi, ma anche gli oppositori del “regime renzusconiano”, da Vendola a Fassina, da Grillo a Landini, ebbene solo allora si potranno incominciare a valutare tutte le specificità del conflitto di interessi.
Quando cita, poi, le “interviste in ginocchio” Paolo Romani finge di non ricordare che Barbara D’Urso abbia riservate le sue smancerie, ohibò, solo a Berlusconi e Renzi, i due congiurati del Nazareno.
I tweet di Paolo Romani mi offrono lo spunto, però, per rilevare come, anche alla sdolcinata D’Urso, Matteo Renzi abbia voluto proporsi come “Mister 80 €” !
Infatti, dopo aver dispensati bonus di 80 euro ai circa 10 milioni di lavoratori, ecco che questa volta rivela che a beneficiare di 80 euro al mese per tre anni saranno tutte le neomamme che, nel 2015, daranno alla luce un bambino, perché, ha detto “Mister 80 €”, “io so cosa significa comprare pannolini, biberon e spendere per l’asilo”.
Mi sono ritornati alla mente i “bonus bebè” di berlusconiana memoria e non ho potuto fare a meno di scompisciarmi dalle risa.
Ma la ilarità è durata solo pochi attimi perché, ascoltando questo nuovo annuncio da “venghino signori”, ho avuto conferma che Renzi non sappia davvero far di conto, oppure sia circondato da individui che gli nascondano i veri numeri della realtà italiana.
Ad esempio, nessuno deve avergli detto che qualche settimana fa Marco Venturi, presidente di Confesercenti, ha illustrati i risultati di uno studio secondo il quale, nel 2014, i pensionati stanno subendo una perdita mensile del loro potere di acquisto calcolato mediamente in 118 euro, rispetto al 2008.
Ora, siccome i pensionati italiani sono 18.300.000, ciò significa che il loro minore potere d’acquisto pesa ogni mese sui consumi per circa 2 miliardi e 160 milioni, il che equivale a circa 26 miliardi sull’intero 2014.
Possibile che “Mister 80 €” sia così poco lucido da non rendersi conto che, invece di andare a destra e a manca per annunciare la distribuzione a casaccio di oboli, si dovrebbe impegnare nel razionalizzare le priorità di intervento, sempre che voglia davvero risollevare il Paese dalla crisi e non solo esibirsi come affabulatore? 

sabato 18 ottobre 2014

Essere assolti per “ignoranza inevitabile”

Ieri terminavo il post affermando che avrei dormito più sereno, dopo aver lette le motivazioni con cui la Corte d’Appello di Milano ha assolto Berlusconi nel processo Ruby.
In effetti, rileggendo quelle motivazioni mi era sembrato di poter dedurre che, anche in presenza di circostanze e fatti risaputi da cani e porci, si possa invocare una “ignoranza inevitabile” giustificata da fattori soggettivi.
Infatti, l’espressione “la legge non ammette ignoranza” (NdR: pessima traduzione dal latino “ignorantia legis non excusat”) lascia spazio a diverse libere interpretazioni.
Comunque, buono a sapersi !
Infatti, tra i fattori soggettivi che un compiacente ed accomodante giudice potrebbe ammettere non vedo perché non individuare, ad esempio, la grullaggine, la stupidità senile, l’uso smodato di viagra, lo stato confusionale, oppure una semplice sbronza, etc.   
È lecito supporre, a questo punto, che i giudici della Corte d’Appello abbiano scagionato Berlusconi dall’accusa di sapere che Ruby fosse minorenne, riconoscendogli una “ignoranza inevitabile per fattori soggettivi”.
Quale siano stati il od i fattori soggettivi richiamati non è dato di saperlo, anche se c’era solo l’imbarazzo della scelta tra stupidità senile, uso sfrenato di viagra, od ottenebramento da libidine.
D’altra parte solo così è possibile spiegare perché Berlusconi fosse l’unico a non conoscere la minore età di Ruby, dal momento che ne erano al corrente tutti i suoi ospiti ad Arcore, da Fede alla Minetti fino agli altri habitué dei bunga bunga.
Può anche darsi che gli stessi “fattori soggettivi” abbiano fatto credere a Berlusconi che Ruby fosse davvero la nipote di Mubarak, al punto da indurlo, la sera del 27 maggio 2010, a telefonare al dirigente della Questura di Milano, Pietro Ostuni, per invitarlo ad affidare la minorenne non ad una struttura di accoglienza bensì a Nicole Minetti, per evitare un incidente diplomatico con l'Egitto.
Oggi, però, mi è sorto il dubbio che lo stesso Presidente della Corte d’Appello di Milano, Enrico Tranfa, non fosse convinto della assoluzione di Berlusconi per “ignoranza inevitabile” visto che, subito dopo aver firmate le motivazioni della sentenza, ha rassegnate le dimissioni dalla magistratura, per dissenso con gli altri due giudici del collegio, lasciando la toga dopo 39 anni di servizio.
Un gesto che non ha precedenti nella storia giudiziaria italiana.
Peraltro, in quanto Presidente del collegio giudicante era stato obbligato a firmare lui le motivazioni per evitare che sul processo cadesse la mannaia della nullità.
“In tutta la mia vita non ho mai fatto nulla di impulso. La mia è stata una decisione meditata”, le uniche parole che i giornalisti sono riusciti a strappare al Presidente Tranfa.
Ecco perché, a me comune uomo della strada, le dimissioni del Presidente della Corte d’Appello, causate dai dissensi con gli altri due giudici del collegio giudicante, e non sugli ingredienti per fare l’amatriciana, bensì sulla colpevolezza o meno dell’imputato mi pongono perplessità ed interrogativi.
L’idea che un imputato possa essere giudicato colpevole o innocente “a maggioranza” mi fa rabbrividire, facendomi smarrire quel po’ di fiducia che ancora avevo nella giustizia.
Infatti, o i fatti e le prove sono tali per cui il collegio giudicante è concorde nel ritenere innocente o colpevole l’imputato oppure, se anche in un solo giudice affiorano dubbi ed incertezze, penso che sarebbe eticamente scorretto emettere una sentenza.
Peraltro, non si aveva a che fare con giudici popolari chiamati ad assolvere o condannare “a maggioranza”, ma a magistrati esperti, capaci e professionali in grado di poter valutare in modo univoco i fatti nella rispettosa applicazione delle leggi.
Ora mi domando.
Dopo essere venuta a conoscenza di queste divergenze sulla sentenza, la Procura di Milano sarà ancora invogliata, oppure no, a ricorrere in Cassazione ?
Ed i giudici della Corte Suprema potrebbero essere influenzati da questo clamoroso antefatto ?
Ed il CSM, sempre così attento nel valutare l’operato dei magistrati, convocherà a Palazzo dei Marescialli l’ormai ex Presidente Tranfa per approfondire le ragioni che lo hanno indotto ad un gesto così inusuale ed eclatante ?
Ed inoltre, il Capo dello Stato, che è anche Presidente del CSM, si attiverà perché sia fatta piena luce su questa vicenda o preferirà far finta che non sia successo nulla ?
Tra l’altro questa vicenda continua a farmi frullare in testa molti maliziosi pensieri … ma almeno per questa sera li terrò per me.  

venerdì 17 ottobre 2014

16 ottobre 2014, ossia il fanfaluche-day

Se avessi il potere di farlo, rivolgerei a chi di dovere l’invito a far sì che il 16 ottobre sia celebrato e ricordato, in Italia, come il fanfaluche-day !
Sarà colpa del caso, forse, ma certo è che in meno di ventiquattro ore il mio trantran quotidiano è stato importunato da due eventi inquietanti.
Ora, è pur vero che vivendo nel nostro Belpaese non dovrei più sorprendermi di nulla, però ci sono fanfaluche di fronte alle quali è difficile rimanere indifferenti.
Soffermiamoci sul primo dei due fatti: la cosiddetta “legge di stabilità” da trentasei miliardi.
Non è da oggi che sono convinto che tra i quasi venti anni di governi berlusconiani e gli otto mesi del governo renziano non ci sia soluzione di continuità, perlomeno in quanto a cialtroneria.
Il signorotto di Arcore già seppe dimostrare tutta la sua destrezza nel propinare panzane agli italiani, soprattutto in materia fiscale.
Oggi, però, roso dall’invidia per il suo maestro, il furfante di Rignano sull’Arno ha voluto dimostrare di non essere da meno e si è inventata una “legge di stabilità” che non è solo intarsiata di chiaroscuri, ma che tra le righe prevede inequivocabili fregature per tutti gli italiani.
Dopo aver schiamazzato ai quattro venti che la sua “legge di stabilità”, per la prima volta in Italia non avrebbe previsti nuovi aumenti delle tasse, ecco che a smentirlo non è solo il suo Ministro dell’Economia, il che equivale ad una sconfessione solenne, ma sono anche i governatori delle Regioni, molti dei quali suoi compagni di partito.
Il furfante, infatti, tagliando di quattro miliardi i trasferimenti a Regioni, Comuni e Provincie (NdR: ma a proposito Renzi non si era vantato di aver eliminate le Provincie ?), costringerà le amministrazioni locali a tagliare i servizi ai cittadini, oppure ad aumentare le gabelle locali che peseranno indifferentemente su tutti.
Esattamente quello che ha fatto per venti anni il suo padrino di Arcore!
Ma, sempre a proposito di tasse ecco la seconda buggeratura.
Dal mese di marzo 2015 i lavoratori dipendenti, solo quelli che lo vorranno (NdR: almeno si spera !), potranno richiedere al loro datore di lavoro di inserire in busta paga la quota del TFR (NdR: Trattamento di fine rapporto) maturata nel mese.
Anche ai più sprovveduti non sfugge, però, che il TFR sia già denaro del lavoratore e non un regalo di Renzi !
Ciò premesso, per i lavoratori dipendenti che dovessero cascare in questo tranello teso loro da quel furfante di Renzi, la fregatura però sarà doppia.
Innanzitutto, intascando ogni mese la quota del TFR, il lavoratore ci rimetterebbe la rivalutazione indicizzata che, il 31 dicembre di ogni anno, viene fatta sull’ammontare del TFR maturato.
Ma, ancora più immorale è che sulle quote del TFR, inserite in busta paga, Renzi preveda che sia applicata la aliquota fiscale marginale, cioè relativa agli scaglioni di reddito effettivo, e non la aliquota del 20% che grava sul TFR al momento della sua liquidazione.
A Palazzo Chigi fanno conto che, nel 2015, questa furbata potrebbe portare nelle casse dello Stato da 2 a 4 miliardi di euro.
Perdiana, in questo il furfante di Rignano sull’Arno ha superato il signorotto di Arcore.
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La seconda perla della giornata ce l’ha regalata la Corte d’Appello di Milano pubblicando le motivazioni che hanno portato alla assoluzione di Berlusconi, in secondo grado, nel processo Ruby.
I giudici della Corte d’Appello, danno per “acquisita prova certa dell’esercizio di attività prostitutiva ad Arcore, in occasione delle serate cui partecipò Karima El Mahroug”, ma affermano che non ci sia prova che Berlusconi fosse al corrente della minore età di Ruby.
Insomma, per la Corte, sia Fede, che Minetti e gli altri frequentatori dei bunga bunga erano informati del fatto che Ruby fosse minorenne ma, ohibò, solo il padrone di casa lo ignorava.
Per contro, gli stessi giudici ammettono che Berlusconi fosse al corrente, invece, della minore età di Ruby la sera del 27 maggio 2010 quando telefonò alla Questura di Milano per chiedere che la minorenne fosse affidata alla Minetti e non collocata in una comunità.
Siccome, però, Berlusconi intervenne presso la Questura per evitare un incidente diplomatico con l’Egitto, in quanto era convinto che Ruby fosse la nipote di Mubarak, e lo fece con modi “né intensi né persistenti” e senza “accenno a minacce e coartazioni di sorta”, la Corte lo ha assolto anche dal reato di concussione.
C’è una sola cosa che, con sorpresa, non ho trovata tra queste motivazioni ed è la certificazione, da parte della Corte, che Ruby fosse davvero la nipote di Mubarak.
Se avessi ritrovata tra le righe anche questa attestazione dormirei più sereno e con maggiore fiducia nel principio che “la legge è uguale per tutti”

martedì 14 ottobre 2014

Nun c’è bisogno ‘a zingara p’andivinà

Come recita il verso di una famosa canzone napoletana, che è poi il titolo di questo post, spesso non occorrono doti divinatorie, né bisogna essere chiaroveggenti, per comprendere e leggere cosa si nasconda nel modo di fare e nelle intenzioni di molti nostri simili.
Prendiamo, ad esempio, Beppe Grillo.
Che fosse un buffone, molto prima di “laurearsi” cialtrone, lo si era intuito assistendo alle sue performance sia in teatro che sui teleschermi.
Il successo come buffone, anzi, lo ha ottenuto proprio grazie alla televisione pubblica, la RAI sulla quale oggi sputa le sue invereconde e velenose offensive.
È noto a tutti che, dal marzo 1981 all’aprile 1984, Grillo non solo abbia poppati ingenti compensi dalle mammelle di “mamma RAI”, ma a spese della televisione pubblica si sia sollazzato in lussuosi viaggi in giro per il mondo con lo scopo di realizzare due programmi: “Te la do io l’America” e “Te lo do io il Brasile”.
È lecito supporre che, proprio con il denaro spillato a “mamma RAI”, Grillo oggi possa godersi la splendida villa di Sant’Ilario, a Genova, con i suoi 24 vani, le due piscine, di cui una ovviamente coperta e riscaldata, ed uno sconfinato prato all’inglese.
Però, da autentico cialtrone e da fasullo moralista e censore dei vizi umani, Grillo si è arrangiato per far sì che il suo principesco maniero fosse accatastato come un modesto villino in modo da pagare meno tasse.
Ma il vero guaio è che Grillo, oltre ad essere fasullo come moralizzatore, è anche e soprattutto un fascista sovversivo che ha in spregio la democrazia, le istituzioni, la legalità.
Lo manifesta da anni perseguendo lo sfascio delle istituzioni e di ogni principio che facilita la coesistenza democratica ed il confronto delle idee.
A fugare ogni dubbio, anche dei più ottusi tra noi, sulla vocazione fascista e sfascista di Grillo, ci ha pensato la kermesse del M5S che si è svolta in questi giorni al Circo Massimo di Roma.
Infatti, mentre il cialtrone si esibiva in uno dei suo consueti sproloqui senza capo né coda, dietro di lui sul fondale del palco veniva proiettato lo slogan “O NOI O LA DEMOCRAZIA” che, credo, non abbia bisogno di commenti.
D’altra parte il burattinaio Casaleggio, che ispira e manovra il burattino Grillo, gli ha fatto capire che loro non potranno mai vincere per via democratica e, per convincerlo, continua a rinfacciargli il flop delle recenti elezioni europee.
A maggio, infatti, Grillo era così sicuro di trionfare che, smargiassando con lo slogan “VINCIAMONOI” era arrivato a giurare che, se il M5S non avesse vinto, lui si sarebbe ritirato dalla scena politica.
Ora, come tutti sanno, il M5S non solo è uscito sconfitto dalle urne, ma ha subita una vera e propria debacle e, ciononostante, il cialtrone è ancora lì, abbarbicato a quella miniera d’oro che è il movimento.
Dal palco del Circo Massimo Grillo ha rispolverato lo slogan “VINCIAMONOI” ma, questa volta, affinché non ci fossero più dubbi sulle sue intenzioni golpiste, lo ha associato al nuovo slogan “O NOI O LA DEMOCRAZIA”.
Ma non basta ancora !
Dallo stesso palco nel suo farneticare Grillo ha detto: “Questa gente (NdR: il riferimento è al governo Renzi) va fermata con l’esercito. L’esercito deve stare con gli italiani”.
Queste parole non sono forse un ulteriore segno della vocazione golpista del burattino genovese e del burattinaio Casaleggio ?
Già qualche mese prima Grillo aveva tentato, senza successo, di istigare alla sedizione le forze dell’ordine invitandole a non difendere le istituzioni ma ad unirsi al “movimento dei forconi” che manifestava in piazza.
Insomma, la democrazia non piace proprio né al burattinaio né al suo burattino per cui, siccome i media sono parte integrante della vita democratica, li si aggredisce disprezzandoli, insultandoli, denigrandoli.
Al Circo Massimo Casaleggio si è rivolto, ai pochi giornalisti che cercavano di intervistarlo, con queste parole: “Mi serve che voi vi togliate dai coglioni !”.
E che dire dell’assolutismo che regna nello stesso M5S ?
La storiellina del “uno vale uno”, ripetuta a pappagallo dai pentastellati, di fatto è riconosciuta da tutti, all’interno del movimento, come l’accettazione del fatto che a decidere qualsiasi cosa sia sempre e solo “uno”, cioè Beppe Grillo in quanto portavoce di Casaleggio.
Coloro che già avevano capito questo andazzo e hanno dimostrato di non condividerlo sono stati epurati, secondo le usanze fasciste, oppure hanno preferito lasciare il movimento.
Se è vero che la dittatura attecchisce più facilmente quando la ignoranza della gente riempie le piazze ogni volta che parla un cialtrone, in Italia c’è di che preoccuparsi.

sabato 11 ottobre 2014

Riflessioni di un reperto archeologico sul lavoro


Non è certo la prima volta che succede, ma anche in questi giorni rimango sconcertato di fronte alla babilonia di proclami, dichiarazioni, pareri, considerazioni che i media riferiscono a proposito di quella ipotetica riforma del lavoro che il Presidente del Consiglio continua a sbandierare ai quattro venti.
Forse, avendo trascorso oltre mezzo secolo della mia vita in aziende, di dimensione e tipologia diverse, sono sorpreso che a pontificare sul lavoro sia proprio un individuo che non abbia vissuto neppure un giorno della sua esistenza in una fabbrica o in un ufficio.
Forse mi sorprende che sia gli uni che gli altri, ottenebrati da ideologie e fini contrapposti, nel loro blaterare non accennino mai a quello che è, o dovrebbe essere il ruolo sociale dell’impresa.
Già, il ruolo sociale dell’impresa, proprio quello che un giorno, ahimè molto lontano, dopo avermi lisciato il pelo per una mia sventatezza un saggio ed anziano capo mi fece capire con queste parole: “ricordati sempre che ogni tua scelta, ogni tua decisione ricade sempre non su 1, 100 o 1000 dipendenti ma sulle loro 1, 100 o 1000 famiglie”.
Un concetto sacrosanto che, coniugato nelle sue molteplici sfaccettature, dovrebbe far capire quanto siano senza senso ed inutili le diatribe di questi giorni.
Un concetto che, ad esempio, costringe a fare i conti con la responsabilità insita nell’assunzione di un nuovo collaboratore.
Ritengo, infatti, obiettivamente ed umanamente impossibile poter valutare un nuovo assunto nelle poche settimane di prova previste dai contratti di lavoro.
Non mi riferisco tanto alle sue capacità e competenze specifiche, quanto piuttosto al suo atteggiamento verso il lavoro, alla sua attitudine a relazionarsi con i colleghi, alla continuità del suo impegno e della sua disponibilità.
Basta poco, infatti, per compromettere l’armonia di un reparto o di un ufficio.
Ecco perché ho considerata sempre una sconfitta personale dover licenziare un neo assunto al termine del periodo di prova perché non all'altezza delle aspettative, sia perché ciò significava ammettere di averne sbagliata la valutazione, sia perché con quella decisione mortificavo la sua speranza di aver trovato un lavoro.
D’altra parte far finta di nulla mantenendo in organico un collaboratore non adatto a svolgere il suo ruolo avrebbe finito per gravare sui suoi colleghi, sulla loro produttività, e probabilmente, a lungo andare, sul futuro aziendale.
Per questo sono più che mai convinto che con una maggiore flessibilità in ingresso, invece dei tre o sei mesi di prova previsti dai contratti, e magari con un carico fiscale più favorevole per le nuove assunzioni, per le imprese sarebbe più facile investire nel tempo su queste risorse umane per aiutarle a rispondere alle aspettative.
Ma quel concetto, appreso molto tempo prima, è risultato vincolante anche quando si è trattato di affrontare congiunture negative con l’esigenza di fare ricorso alla cassa integrazione.
Ho sempre pensato che un lavoratore in cassa integrazione, privato del rapporto quotidiano con il suo posto di lavoro, si avvilisca e rischi, alla lunga, di scompaginare anche la vita della sua famiglia.
In verità ho anche incontrati collaboratori felici di andare in cassa integrazione perché, liberi dal quotidiano impegno lavorativo, avrebbero avuto più tempo per dedicarsi al tennis, andare in piscina o curare l’orto.
Fortunatamente si è sempre trattato di una sparuta minoranza !
Comunque, l’idea di ruolo sociale dell’impresa è servita, ad esempio, a dare un senso alla scelta di ripartire tra tutti i collaboratori, capi compresi, le ore di cassa integrazione, evitando di penalizzare solo una parte di loro con l’allontanamento dal luogo di lavoro nell’angosciante stato di cassaintegrati “a zero ore”.
Certo, non è stato mai né facile né semplice perché sempre si è reso necessario riorganizzare il lavoro e riadattare gli orari per non pregiudicare la funzionalità di impianti ed uffici.
Però, così facendo, nessun collaboratore si è trovato inattivo da un giorno all’altro e tutti hanno partecipato, in ugual misura e con consapevolezza, a vivere il momento di crisi aziendale.
A dire il vero, però, il concetto di ruolo sociale dell’impresa, per quanto giusto sia, è stato costretto a cozzare troppo spesso contro l’ottusità  dell’art. 18 ed il radicalismo interpretativo di sindacalisti e pretori.
Potrei scrivere non una ma cento pagine riferendo casi reali in cui l’applicazione dell’art. 18 abbia avversato e penalizzato il ruolo sociale dell’impresa e, chissà, magari lo farò in un’altra occasione.
Fatto sta che, come quel saggio ed anziano mio capo, anch’io sono ormai solo più un reperto archeologico del secolo scorso e forse per questo, di fronte al tracollo del Paese che richiederebbe maggior senso di responsabilità da parte di tutti, non posso fare a meno di rimanere sconcertato e di incazzarmi assistendo al bailamme di Renzi, della Camusso, di Landini, di Fassina, di Bersani, di Civati & Co.

mercoledì 8 ottobre 2014

Errare è umano … ma perseverare è diabolico

Per otto mesi si è trastullato tra comparsate televisive e viaggi da un capo all’altro del mondo per autopromuoversi.
Per otto mesi ha trasformato il Parlamento in un agorà per la  masturbazione mentale di deputati e senatori costretti a disquisire di voti di preferenza, liste bloccate, soglie di ingresso, premi di maggioranza, senatori nominati od eletti, e di altre bazzecole del genere.
Ha fatto il piacione con Angela Merkel sperando di essere ammesso nel clan di coloro che reggono i destini dell’Europa.
Ha dimostrato di essere un innovatore da operetta quando, di fronte alle proposte di spending review elaborate da Cottarelli, se l’è fatta sotto e non ha trovato di meglio che licenziarlo.
I media hanno avuto il loro da fare, in questi otto mesi, a star dietro alla fiumana di annunci di cambiamento che lui mitragliava ad ogni piè sospinto.
Mentre lui era indaffarato nel pavoneggiarsi in ogni dove  il Paese procedeva nel suo progressivo inesorabile declino.
Il debito pubblico ha continuato a crescere, la disoccupazione soprattutto giovanile è arrivata a livelli da incubo, il numero delle imprese che hanno chiusi i battenti si è ingrossato giorno dopo giorno, gli italiani in povertà relativa o assoluta hanno superati i sei milioni, e si potrebbe continuare.
Dopo otto mesi, nel carniere di Matteo Renzi e del suo governo non c’è, in concreto, una sola riforma che serva al Paese, non c’è un solo provvedimento in grado di contrastare la crisi, non c'è nessun reale intervento per combattere con efficacia malaffare, corruzione, sprechi, evasione fiscale.
Insomma solo valanghe di annunci, dichiarazioni e bla bla bla.
Improvvisamente, però, dopo otto mesi Matteo Renzi scopre che in Italia esiste un “problema lavoro”, e decide di puntare i piedi perché il Senato, correndo pancia a terra, approvi in “24 ore 24” una abborracciata riforma del lavoro, senza discutere e sottomettendosi all’ennesimo voto di fiducia.
In realtà a Renzi interessa unicamente potersi pavoneggiare, mercoledì 8 ottobre al vertice milanese dell’Unione Europea, esibendo una riforma del lavoro qualunque, anche se campata in aria ed inattuabile.
Una lampante prova dell’esibizionismo, del dilettantismo e della superficialità con cui Matteo Renzi si rapporti con le difficili e gravi scelte di cui il nostro Paese avrebbe bisogno in una fase così drammatica.
Protagonismo, dilettantismo e superficialità che, guarda caso, ritroviamo anche nell’annuncio di puntare all’aumento dei consumi, da gennaio 2015, inserendo nelle buste paga dei lavoratori dipendenti il TFR (detto anche liquidazione o buonuscita),.
È evidente che Renzi ignori cosa significhi il TFR per i lavoratori e per le imprese, non avendo lui mai lavorato in una fabbrica o in un ufficio.
Ignora, ad esempio, che il TFR è fatto da soldi dei lavoratori, per cui non spetta certo né a lui né al suo governo decidere cosa i lavoratori debbano farne e quando lo possano utilizzare.
Ignora, allo stesso modo, che il TFR costituisca una fonte effettiva di finanziamento per le imprese, soprattutto piccole e medie.
Una fonte di finanziamento, ogni anno rivalutata per i lavoratori, il cui ammontare è di molti miliardi di euro.
Miliardi che se sottratti alla gestione delle imprese potrebbero provocare il tracollo di molte di loro.
D’altra parte, dato e non concesso che il Governo riesca a convincere il sistema bancario a surrogare il venir meno del TFR, le imprese otterrebbero finanziamenti sostitutivi sì, ma gravati di esosi interessi.
Renzi ignora, altresì, che per superare momenti eccezionali di difficoltà delle loro famiglie, molti lavoratori ricorrono alla anticipazione fino al 70% del TFR maturato.
Ignora, infine, che la liquidazione rappresenta per molti lavoratori, al momento di andare in pensione, un gruzzoletto di denari che, ad esempio, può garantire una vecchiaia più serena, o permettere di far proseguire gli studi ai figli od aiutarli nel caso, molto diffuso, siano disoccupati, etc. etc.
Ecco perché, nonostante il pressapochismo pericoloso ed angosciante di Renzi, nonostante gli evanescenti ed inconcludenti otto mesi del suo governo, si rimane sconcertati nell’apprendere dai sondaggisti che continua ad essere accreditato di un buon consenso popolare.
Ora, è pur vero che se volgiamo uno sguardo alla storia del nostro Paese ci rendiamo conto che milioni di italiani hanno osannate le parole stentoree con cui dal balcone di Palazzo Venezia venivano trasformati in carne da cannone, e che, cinquanta anni dopo, ancora milioni di italiani si sono fatti abbindolare dalle lusinghe di un imbonitore brianzolo però, per la miseria, “errare humanum est, perseverare autem diabolicum” !  

lunedì 6 ottobre 2014

Delinquĕre necesse est

Ogni giorno di più mi rendo conto che questo non è il Paese in cui avrei voluto trascorrere la mia vecchiaia e nel quale potessero vivere il loro futuro i miei figli e nipoti.
Riflessione amara, non dettata da una improvvisa botta di pessimismo, ma alimentata quotidianamente da ciò che accade sotto il cielo del nostro Bel Paese.
Mi piacerebbe pensare che sia solo un periodo particolarmente sventurato, poi però volgo lo sguardo verso chi dovrebbe farci uscire da questa melma ed il pessimismo si trasforma in angoscia.
Il degrado morale, politico, culturale che ha ghermita la nostra società come i tentacoli di una piovra negli ultimi venti anni, è così diffuso e tollerato da non provocare neppure indignazione.
Oddio, non che i primi quaranta anni della nostra storia repubblicana siano trascorsi senza degenerazioni, ambiguità, misteri ed ombre, sulle quali un giorno, forse, sarà fatta luce.
Sono stati anni, però, in cui il Paese si è risollevato dalle macerie di una guerra perduta, c’era fiducia nelle istituzioni, lo sviluppo economico offriva opportunità di lavoro consentendo a milioni di italiani di vivere un periodo di benessere  almeno materiale.
Accoccolatosi su queste concretezze, agli inizi degli anni '90 il Paese è stato scosso dal ciclone di “tangentopoli” che ha messo a nudo il malaffare, non solo politico, che si era consolidato negli anni.
Sarebbe stato logico attendersi che dalle nuove macerie, questa volta di “tangentopoli”, il Paese sapesse trarre stimolo e determinazione per una nuova rinascita.
Invece no ! Lo sdegno popolare per gli scandali di “mani pulite” è stato soffocato da scaltri mistificatori che, poco a poco, sono riusciti a far passare l’idea che la magistratura avesse sbagliato a contrastare il malaffare perché corruzione, immoralità,  disonestà, sono componenti ineluttabili del nostro tempo.
Una logica farneticante che ha reso possibile l’accesso alle stanze del potere di corrotti e corruttori, indagati e pregiudicati, mafiosi e collusi, e via dicendo.
Da allora la legge non è stata più uguale per tutti perché con la scappatoia delle “leggi ad personam” i potenti si sono presi gioco della giustizia.
La magistratura, mortificata e derisa, ha smarrita più volte la sua autorevolezza ed indipendenza lasciandosi sballottare dallo stormire del potere.
La cura dei governanti per i loro interessi personali ha messo in secondo ordine i bisogni della gente, trascinando il Paese in una crisi dagli effetti devastanti.
Questo andazzo non poteva che far vacillare la fiducia nelle istituzioni, cedendo campo a movimentismi disfattisti capeggiati da personaggi grotteschi, incapaci e sconclusionati.
Il Paese sta vivendo, perciò, una stagione di anarchia morale, culturale e politica che genera sgomento, insicurezza, avvilimento, disperazione.
È in questo clima anarcoide che si colloca, ad esempio, la reazione inquietante di Luigi de Magistris, un ex-magistrato condannato ad un anno e tre mesi per concorso in abuso di ufficio.
De Magistris, infatti, non solo non riconosce la sentenza di condanna ma ha lanciate invettive indecorose contro i suoi ex colleghi che lo hanno processato.
Evidentemente De Magistris, quando è entrato a far parte dell’Ordine Giudiziario, era poco consapevole e sincero nel prestare il suo giuramento, se oggi disconosce le leggi dello Stato, e non accetta che la “legge Severino” lo sospenda dal mandato di Sindaco di Napoli.
Altro squallido esempio di questa trista stagione ce lo propone Francesco Schettino, responsabile del naufragio della Costa Concordia e della morte di 32 passeggeri.
Questo individuo non solo non è in galera, ma da libero cittadino è ospite d’onore di ricevimenti e banchetti, ed è stato perfino invitato dall’Università La Sapienza di Roma a tenere una lectio agli studenti sulla “gestione del panico”.
Se tutto ciò non fosse ignominioso potremmo sorridere al pensiero che l’Università La Sapienza, per tenere una lectio sulla “gestione del panico”, abbia invitato proprio Schettino, cioè colui che ha dimostrata tutta la sua codardia abbandonando, tra i primi dopo il naufragio, la nave di cui era il comandante, disonorando così la marineria e le sue leggi.  
Poiché, però, in questa stagione indecorosa di anarchia morale  può accadere di tutto, ecco che mentre Schettino se la gode tra festini e lectio, gli strali dell’iniquità si abbattono sul Comandante De Falco.
Sì, proprio quel Comandante De Falco che. la notte del disastro della Costa Concordia, rivolse a Schettino il celebre e perentorio ordine “torni subito a bordo, cazzo!”.
Ebbene, colpevole di aver organizzati e coordinati i soccorsi ai naufraghi della Costa Concordia, salvando così quattromila vite umane, il Comandante De Falco è stato rimosso dai compiti operativi e relegato in un ufficio amministrativo.
Insomma, in questa stagione di anarchia morale, culturale e politica il succo amaro è che se vuoi essere considerato ed avere successo devi per forza delinquere.