giovedì 28 agosto 2014

Un premier baciapile sempre più solo al comando

Mi sembra che in questi primi sei mesi di governo l’elemento più caratterizzante sia stata la sfrenata smania di protagonismo di Matteo Renzi.
Conferenze stampa, scorribande da una parte all’altra del pianeta, interviste a quotidiani e giornaletti parrocchiali, interventi in TV, insomma ogni occasione è stata buona per cercare visibilità ed autoincensarsi.
Mesi e mesi di show, mentre il Paese, quello reale, ha continuato a soffrire le conseguenze di una crisi drammatica che ha visto crescere la disoccupazione ed aumentare angosciosamente il numero degli italiani in condizione di povertà sia assoluta che relativa.
Poiché, però, il protagonismo è fatale antagonista del gioco di squadra, a farne le spese saranno, uno dopo l’altro, quei ministri che potrebbero competere con Renzi in visibilità e fargli ombra.
È inevitabile che il rischio aumenti vertiginosamente per quei ministri che, con una idea, una proposta, un provvedimento, prospettino soluzioni con allettamenti demagogici.
È il caso, ad esempio, della ventilata assunzione di 100.000 insegnanti precari prevista, così sembrerebbe, dalla riforma della scuola del ministro Stefania Giannini.
Come poteva Renzi non far suo un tema così populistico del quale atteggiarsi protagonista ?  
Così, tanto per mettere subito le cose in chiaro Renzi ha escluso inspiegabilmente il ministro Giannini dal vertice con i Capi Gruppo PD di Camera e Senato e con il responsabile scuola del PD, Davide Faraone, facendosi accompagnare, invece, dal sottosegretario alla Istruzione, il renziano DOC Roberto Reggi.
Può darsi, però, che il ministro Giannini fosse indisposta oppure impegnata altrove.
Lascia perplessi, comunque, constatare che l’incontro non sia stato rinviato per consentire al titolare del dicastero Istruzione di essere presente.
Oppure, chissà, può darsi che il baciapile Renzi non abbia gradite le foto balneari in topless del ministro Stefania Giannini, da qui la decisione di condannarla … al rogo secondo i dettami della Sacra Inquisizione.
Anche nei confronti del Guardasigilli Andrea Orlando, certamente non paparazzato in topless, Renzi però dà segni di insofferenza da alcune settimane.
Colpa imperdonabile di Orlando sarebbe quella di voler attuare una riforma della giustizia non gradita al pregiudicato, compare di Renzi nel patto del Nazareno.
Infatti, perdirindindina, Orlando oserebbe non solo reintrodurre il reato di falso in bilancio, depenalizzato nel 2002 dal governo Berlusconi, ma anche prevedere il reato di autoriciclaggio e riscrivere i tempi di prescrizione dei reati.
Renzi sembrerebbe sconvolto dall’idea che, se il progetto di Orlando dovesse avere successo, si potrebbe produrre una crepa nella relazione più che amicale tra lui e Berlusconi.
Il vero guaio per Renzi è di non essere ancora riuscito a sbolognare il ministro degli Affari Esteri, Federica Mogherini, facendola nominare Alto Commissario per la politica estera della Unione Europea.
Infatti, solo se e quando Mogherini lascerà la Farnesina, Renzi potrà giustificare al Capo dello Stato un rimpasto del suo governo ed approfittarne per sostituire, con fedelissimi più malleabili, anche i ministri Giannini ed Orlando.
Molti anni fa un radiocronista al seguito del tour de France con le parole “c’è un uomo solo al comando” commentava le imprese di Fausto Coppi che sarebbe poi giunto a Parigi da trionfatore.
Il timore è che la stessa frase “c’è un uomo solo al comando” pronunciata oggi, parlando di Matteo Renzi, preconizzi non l’arrivo dell’Italia al Parc des Princes di Parigi, ma piuttosto la meno gloriosa comparsa a Roma della Troika.

venerdì 22 agosto 2014

Diplomazia, la tromba dell’ipocrisia

Come deciso dai ministri degli esteri dell’UE, nell’incontro del 15 agosto, le commissioni esteri e difesa, del Parlamento italiano, hanno votato a favore dell’invio di armi ai peshmerga curdi, impegnati nel contrastare l’avanzata degli jihadisti.
Per annunziare la lieta novella Matteo Renzi si è precipitato a Baghdad e poi a Ebril con un biglietto di andata e ritorno a bordo di un aereo di Stato.
Che l’ISIS agisca in modo infame, turpe, spregevole, spietato, disumano, è un dato di fatto, e la bestiale decapitazione del reporter statunitense James Floey ne è solo l’ultima conferma.
Aiutare, con l’invio di armi, coloro che combattono così tanta efferatezza potrebbe avere, perciò, anche una ovvia giustificazione.
Per lo Stato italiano, tra l’altro, l’intervento per di più sarà a costo zero perché, a quanto si apprende, ai curdi saranno inviate armi e munizionamenti, di fabbricazione ex-sovietica, sequestrate circa venti anni fa durante il conflitto dei Balcani.
C’è da augurarsi, per la incolumità dei peshmerga, che di questi armamenti, accatastati da tempo nei depositi dell’esercito, ne venga almeno verificato lo stato di efficienza prima di spedirli.
Non credo, comunque, che fornire armi sia il modo migliore per dare soluzione alle violente turbolenze che interessano l’intera area mediorientale, e da settimane anche la Libia.
Sembra che le diplomazie occidentali si muovano per emotività, in modo estemporaneo, senza una strategia.
Qualche mese fa, infatti, al diffondersi della notizia che forse, in Siria, al-Assad stesse facendo uso di armi chimiche nella lotta agli oppositori del regime, molte diplomazie europee ventilarono come ipotesi la fornitura di armi agli antigovernativi.
Gli Stati Uniti arrivarono perfino ad inviare, nelle acque antistanti la Siria, la portaerei Eisenhower pronta ad intervenire per bombardare gli arsenali chimici.
L’ONU, turbato dalle notizie di centomila morti e di decine di migliaia di feriti, vittime civili della violenta repressione governativa, adottò le consuete inutili risoluzioni di condanna.
E’ stato sufficiente, però, che al-Assad consegnasse le armi chimiche per la loro distruzione, perché più nessuno parlasse di detronizzare al-Assad, e finisse nel dimenticatoio la guerra civile che in Siria continua ancora oggi a fare strage soprattutto di civili.
Fortuna volle che al proposito di fornire armi agli oppositori del regime non fu dato seguito, altrimenti molte di quelle armi sarebbero finite anche nelle mani di una fazione della galassia oppositrice di al-Assad, quella degli jihadisti, cioè gli stessi contro i quali oggi si decide di armare i curdi.
Ancora una volta tanta ipocrisia e superficialità nell’opera delle diplomazie, ipocrisia e superficialità che si stanno riproponendo nella gestione della crisi ucraina che miete ogni giorno vittime civili nella guerra di Kiev contro i separatisti filorussi, peraltro sostenuti, armati e finanziati da Vladimir Putin.
Ebbene, cosa sono state capaci di partorire fino ad oggi le diplomazie occidentali di fronte al conflitto ucraino ?
Niente più che adottare sanzioni contro la Russia, abdicando ancora una volta al loro ruolo di mediazione per evitare spargimenti di sangue che alla fine, chiunque vinca, finiranno per insinuare nella gente sentimenti di odio e di vendetta.
Perché, ad esempio non lavorare per promuovere un accordo che offra alle popolazioni, di madrelingua russa, di decidere del loro futuro attraverso un referendum popolare, gestito e controllato da un organismo neutrale ?
Si tratterebbe, in pratica, di replicare con maggiori garanzia quanto già avvenuto in Crimea dove, il 16 marzo 2014 la popolazione ha scelto, attraverso il referendum, di diventare parte integrante della Federazione Russa.
Da quando le diplomazie occidentali si sono adeguate alla diabolica idea di George W. Bush di “esportare la democrazia”, la destabilizzazione ha colpite molte aree del pianeta.
Certamente Saddam Hussein, così come Mu’ammar Gheddafi erano dittatori spietati e sanguinari che avevano sottomessi i loro paesi con la violenza e la paura, ma dopo la loro caduta ciò che sta accadendo in Iraq e Libia è sotto gli occhi di tutti.
Nessuno può affermare, oggi, che in questi paesi abbia avuto successo l’esportazione della democrazia, anzi.
Può darsi che io abbia un concetto un po’ retrò della diplomazia, perché mi aspetto di riscontrare, nel suo operare, avvedutezza, equilibrio, discrezione, tatto, equità di giudizio.
E questo mi induce anche ad essere indisponente e provocatorio.
Ad esempio mi domando: forse gli oltre 400 bambini palestinesi morti sotto le bombe dei raid israeliani avevano minori diritti di essere protetti rispetto ai bimbi iracheni massacrati dagli jihadisti?
Ed inoltre: perché le diplomazie dell’UE non hanno sentito il bisogno di condividere anche la decisione di inviare ai palestinesi armi antiaeree ed anticarro per contrastare i raid israeliani che hanno distrutti senza distinzioni asili ed ospedali, scuole dell’ONU ed abitazioni civili, uccidendo oltre 2.000 civili ?
Ed infine: al servizio di chi sono le diplomazie dell’UE ?

sabato 16 agosto 2014

La mosca al naso di Brunetta

Se su un qualche giornale mi fosse capitato di vedere riportata questa esternazione: La povera sinistra sarebbe nata con altri scopi e invece si fa condizionare da un'élite di merda … vada a morire ammazzata”, quasi sicuramente io, probabilmente come molti altri, ne avrei attribuita la paternità a Beppe Grillo.
E mi sarei sbagliato di grosso, perché sono parole pronunciate invece da Renato Brunetta, nel 2009, al convegno veneto del PdL a Cortina d’Ampezzo.   
Appunto, da Renato Brunetta che mi sembra uno dei misteri meno gaudiosi di questa non certo entusiasmante stagione politica,  anche per la impossibilità di assegnare un punteggio al suo IQ.
Brunetta da sfogo in continuità alla sua intima acrimonia con rabbiose deflagrazioni che non solo lo rendono ancora più grottesco ma che impediscono anche di cogliere il senso dei suoi sproloqui.
Ossessionato da una idea fissa, quella di proporsi come un castigamatti, un bastian contrario, un censore intransigente, inveisce sempre e comunque contro tutti e tutto.
È di certo un personaggio controverso che, però, ha di sé una considerazione così alta da risultare perfino paranoica.
Durante un talkshow televisivo, Brunetta è arrivato ad affermare: “Volevo vincere il Premio Nobel per l’Economia. Ero anche bravo, ero... non dico lì lì per farlo, però ero nella giusta... ha prevalso il mio amore per la politica, ed il Premio Nobel non lo vincerò più anche se ho buone possibilità di diventare Presidente della Repubblica”. 
Morbosamente attratto da telecamere e microfoni, non appena ne fiuta uno nei paraggi si prepara alla sua esibizione avvicinandosi con quella inconfondibile camminata a saltelli.
Candidatosi nel 2000 e nel 2010 alla poltrona di sindaco di Venezia è risultato sconfitto, in entrambe le occasioni, dai candidati di sinistra
Berlusconi lo ha voluto con sé, nel suo ultimo governo, come ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, nonostante le sue nevrosi ed il non gradimento di molti compagni di partito.
Certo è che, da quel fatidico 12 novembre 2011, giorno in cui fu costretto ad abbandonare Palazzo Vidoni per le dimissioni di Berlusconi e del suo governo, Brunetta è così stizzito, per non potersi più fregiare della qualifica di “ministro”, da sfogare il suo ancor più inacidito livore contro tutti coloro che si succedono sia a Palazzo Chigi che ai vari ministeri.
Via via vittime dei suoi furori sono stati dapprima i membri del governo Monti, poi quelli del governo Letta, ed oggi tocca a Renzi ed ai suoi ministri.
Mentre nei confronti di Monti e di Letta, però, soffriva di un palese complesso di inferiorità, da mesi invece si è messo a strapazzare Renzi come se fosse un suo sottoposto, forse per ragioni di età, ma più probabilmente perché convinto che, dopo la “congiura del Nazareno”, Renzi sia diventato subalterno a Forza Italia.
Può darsi che sulla subalternità abbia qualche ragione, certo è che Brunetta esagera non poco quando con la sua congenita arroganza pretende di dettare a Renzi perfino cosa dire e cosa fare, come dimostrano gli accadimenti delle ultime ore.
Preoccupato per gli indicatori economici negativi che si susseguono giorno dopo giorno, Renzi starebbe lavorando ad un programma di interventi da attuare, subito dopo agosto, nel tentativo di rianimare la stagnante economia del nostro Paese.
Probabilmente, nei giorni scorsi, ha cercati momenti di confronto e conforto sulle ipotesi in programma, incontrando dapprima informalmente Mario Draghi, presidente BCE, ed in seguito il Capo dello Stato.
È stata sufficiente la notizia di questi due incontri per sollevare un polverone ferragostano.
Berlusconi, subodorando che a Renzi possa essere stato consigliato ad andare avanti per la sua strada, respingendo le avances per una estensione degli accordi del Nazareno alle scelte economiche, ha subito sguinzagliati i suoi lacchè.
Il più scatenato dei galoppini è stato, inutile dirlo, Brunetta che non ha persa l’occasione per investire a modo suo Renzi.
Dapprima con la “richiesta di chiarimenti urgenti sull’incontro riservato, segreto, misterioso di martedì tra il capo del governo italiano e il capo della Banca centrale europea”.
Poi, nientepopodimeno che sollecitando Renzi ad “una conferenza stampa congiunta (NdR: con Mario Draghi) che aiuterebbe a capire di più, a tranquillizzare sul serio”.
Infine, con allusione all’incontro di Renzi con Napolitano: “Anime bellocce nella frescura. Le cronache dell’incontro nel fresco di Castelporziano, tra Napolitano e Renzi, riferiscono: la maggioranza di governo è questa e non si tocca.”.           
A Brunetta è saltata la mosca al naso quando si è reso conto che per lui e per la cricca di Forza Italia non ci sarà futuro nel governo Renzi !
Ecco scoperto il vero motivo di un rodimento così rabbioso !
Ma ci voleva tanto a capirlo ?

giovedì 14 agosto 2014

Ah vabbè, ma allora la sfiga ci perseguita !

Quando si ordisce una congiura per eliminare un tiranno, un avversario politico, un capo troppo dispotico, un pericoloso concorrente, e via dicendo, i congiurati sono convinti che, in caso di successo, si possa ribaltare una situazione a loro sfavorevole, illudendosi però che, in caso di fallimento, nella migliore delle ipotesi non cambierebbe nulla.
La storia insegna, invece, che non sempre si è verificata la “migliore delle ipotesi”, per cui il fallimento di molte congiure ha provocato spesso la acutizzazione delle situazioni avversate e, quasi sempre, nefaste conseguenze per i congiurati.
Molto probabilmente anche Renzi e Berlusconi, quando si sono ritrovati al Nazareno, in quel sabato 18 gennaio 2014, per ordire la loro congiura, confidavano che in caso di fallimento per loro non sarebbe cambiato nulla, dal momento che con quel patto segreto si ripromettevano soprattutto la defenestrazione di Enrico Letta e del suo governo.
Infatti, se la cospirazione avesse avuto successo, Renzi avrebbe soddisfatta la sua irrefrenabile ambizione di conquistare Palazzo Chigi, mentre Berlusconi sarebbe risuscitato protagonista della scena politica, pur se pregiudicato e radiato dal Senato.
In caso di insuccesso, invece, Renzi avrebbe continuato a fare il sindaco di Firenze ed il segretario del PD, e Berlusconi avrebbe proseguito a fare gli affari suoi, con la condiscendenza del Tribunale di Sorveglianza.
Offuscati perciò dai loro dissennati propositi, quei congiurati hanno ignorato che stavano giocando una partita che metteva a rischio le sorti del Paese, da anni angustiato da una crisi che aveva messe in ginocchio milioni di famiglie italiane.
Detto fatto.
Nel giro di pochi giorni il Governo Letta fu liquidato, a Palazzo Chigi si arrampicò Matteo Renzi, il “patto del Nazareno” divenne, di fatto, l’agenda di governo, e da quel momento Berlusconi ha ripreso a pavoneggiarsi protagonista della politica italiana.
Nel frattempo l’Italia continuava a scivolare verso il baratro sotto i colpi di una crisi che sembra non aver fine.
Di fatto il Paese stava rinculando velocemente sulle posizioni critiche della estate 2011, quando i mercati internazionali guardavano con apprensione all’Italia, lo spread si impennava, i tassi di interesse sulle emissioni dei titoli di Stato crescevano, la BCE dettava al Governo Berlusconi l’agenda delle cose da fare.
Stavano svanendo, in pratica, gli sforzi che, nel biennio 2012-2013, erano stati fatti dai governi Monti, prima, e Letta, poi, per rimettere in ordine i conti pubblici e permettere al Paese di uscire dalla procedura di infrazione per debito eccessivo, avviata dall’UE.
Sforzi che sono costati amarissimi sacrifici agli italiani.
Sono bastati, però, questi primi sette mesi del 2014, a riportarci indietro di tre anni, con lo spread che ha ripreso a salire, il Presidente BCE, Mario Draghi, che ha richiamato il governo a fare le riforme economiche senza le quali non ci potrà essere ripresa, il PIL che ha confermato a fine giugno lo stato di recessione tecnica, l’agenzia di rating Moody’s che ha riviste in termini peggiorativi le previsioni per il nostro Paese.
Ai già inquietanti indicatori sul tasso di disoccupazione, sul PIL, sulla stagnazione dei consumi, sulle imprese che hanno cessata l’attività, sul rischio deflazione da Torino a Roma, da Firenze a Bari, da Verona a Livorno, Bankitalia oggi “ci mette il suo carico da 11” rendendo noto che a fine giugno il debito pubblico ha raggiunto il nuovo record di 2.168,4 miliardi con un incremento di 100 miliardi nei soli primi sei mesi di questo anno, mentre le entrate tributarie, nello stesso periodo, sono diminuite di circa 1,5 miliardi.
Un quotidiano nazionale riporta indiscrezioni secondo le quali Giulio Tremonti, ministro del tesoro del Governo Berlusconi nella drammatica estate 2011, sia così persuaso che il Paese si ritrovi nella stessa situazione di tre anni fa da aver immaginato che “la Troika è già a Vipiteno”.
Ebbene, in presenza di uno scenario così drammatico e delle prevedibili infauste conseguenze che potrebbero ricadere sull’Italia e sugli italiani che cosa emerge in queste ore ?
A candidarsi in soccorso del Governo Renzi, è nientepopodimeno che Silvio Berlusconi, il quale propone a Renzi di elaborare insieme le riforme economiche per fare uscire il Paese da questa situazione.
Ma Berlusconi chi ?
È forse lo stesso Berlusconi che era a capo del governo nell’estate 2011 ?
Lo stesso che non riuscì neppure ad avviare le riforme che BCE gli aveva intimate formalmente e con lettera “strettamente riservata” del 5 agosto 2011 ?
Lo stesso che, in quelle angosciose settimane, andava in giro raccontando che non c’era crisi perché i ristoranti erano pieni ?
Lo stesso che non aveva capito che da anni la crisi stava flagellando gli italiani ?
Lo stesso che resosi conto di non essere capace a raddrizzare quella situazione decise di fuggire nottetempo da Palazzo Chigi mollando la patata bollente nelle mani di Mario Monti ?
Ah vabbè, ma allora la sfiga ci perseguita !

martedì 12 agosto 2014

Premesso che non sono fan di Grillo …

Da Orazi e Curiazi in poi, senza dimenticare Guelfi e Ghibellini e neppure Capuleti e Montecchi, nel nostro Belpaese sembra sia sufficiente esprimere liberamente il proprio pensiero per essere subito etichettato come partigiano di questa o quella fazione in campo.
Così, da quando ho avuta la peregrina idea di dar vita a questo blog, di volta in volta sono stato etichettato, dai lettori, come berlusconiano, montiano, renziano, grillino.
Eppure, ai lettori più abituali credo sia evidente come, per colpa di quello spirito indipendente che si è impadronito di me da oltre mezzo secolo, non ho l’abitudine di fare sconti a nessuno quando vedo, ascolto o leggo qualcosa che inquieta la mia personalissima prospettiva.
A volte capita che mi soffermi perfino a compiacermi di qualcuno o di qualcosa.
Sarà merito, o colpa, degli educatori che mi hanno inculcato il desiderio di schierarmi a favore dei più deboli e degli emarginati, senza essere un comunista, a condividere le logiche dell’economia mercantile, senza necessariamente piegarmi alle dottrine liberiste, a rispettare chi è diverso da me per cultura, religione, colore della pelle, etc., anche quando la diversità mi risultasse non comprensibile.
Mi scuso per questa lunga premessa ma, da alcuni giorni, i miei post critici nei confronti di Renzi e dei suoi inciuci nazareni, hanno fatto sì che alcuni lettori, renziani e berlusconiani, mi appiccicassero l’etichetta di grillino.
In verità, a Grillo ed al M5S ho già avuta occasione di dedicare post non certo indulgenti.
Il fatto è che da qualche settimana ho la sensazione che la situazione del nostro Paese stia scivolando fuori controllo, esattamente come lo era nell’agosto del 2011 quando l’Italia, sotto procedura d’infrazione dell’UE per debito eccessivo, era presa di mira dai mercati finanziari, lo spread toccava i suoi massimi e la BCE dettava al governo Berlusconi interventi da attuare e scadenze da rispettare.
Spero di sbagliarmi, ma le parole che Mario Draghi ha rivolte all’Italia, qualche giorno fa, mi sembra suonino come una esortazione se non proprio come un richiamo.
D’altra parte, il faraonico programma di interventi dei primi cinque mesi di governo, annunciato da Renzi alle Camere nel chiedere la fiducia, è praticamente fermo al palo.
Governo e Parlamento, infatti, hanno persi questi cinque mesi per dilaniarsi in scontri sopra le righe su due temi, legge elettorale e riforma del Senato, che di certo non aiutano la ripresa economica del Paese, checché ne dica Renzi.
Il PIL continua a rimanere sotto zero, il tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile non si arresta, le imprese sono in difficoltà, le persone in stato di indigenza aumentano giorno dopo giorno.
Con il pretesto strumentale che i tagli di spesa sono prerogativa della politica, anche le proposte della spending review sono finite nel cassetto.
Insomma, lo scenario non rassicurante ha indotti importanti commentatori stranieri a manifestare preoccupazioni sul futuro dell’economia italiana, mentre proprio oggi l’agenzia di rating Moody’s ha riviste al ribasso le previsioni del PIL ed al rialzo le stime di deficit e debito.
Renzi da par suo ha reagito alle critiche al grido di “ghe pensi mi”, malcostume ereditato dal suo compagno di merende al Nazareno.
L’agenda parlamentare dei mesi autunnali, però, prevede già, per la Camera, l’esame in prima lettura della riforma del Senato, mentre nell’aula di Palazzo Madama arriverà la nuova legge elettorale.
Visti i precedenti si tratta di due impianti legislativi il cui esame impegnerà per giorni e giorni sia deputati che senatori.
Che ne sarà, perciò, delle riforme economiche necessarie al Paese?
Ora è vero che a forza di decreti legge e di voti di fiducia il governo Renzi potrebbe accelerare l’emissione di provvedimenti legislativi, ma è altrettanto vero che affinché questi diventino operativi occorre che siano predisposti i decreti attuativi, punctum dolens della macchina legislativa.
A fine luglio, ad esempio, lo stock di provvedimenti attuativi in attesa di definizione ammontava ad oltre 500, tra i quali comparivano ancora molti lasciati in eredità sia dal Governo Monti che da quello Letta.
Ora mi domando, ma per il bene dell’Italia non sarebbe stato meglio che Renzi scegliesse come sua priorità la riforma di questo autentico freno al processo legislativo rinviando a giorni meno angosciosi sia la legge elettorale che la riforma del Senato?

sabato 9 agosto 2014

Dubbio di paternità per la riforma del Senato

“Mater semper certa est, pater nunquam” sentenziò un anonimo pensatore latino a riprova, quindi, che non è colpa della fecondazione eterologa se ancora oggi, in molti casi, si possono  nutrire dubbi sulla paternità certa di un neonato.
Un qualche imbarazzo lo possono creare, ad esempio, anche i dubbi sulla paternità di una legge, a maggior ragione se si tratti di una legge di riforma costituzionale.
Nei minuti in cui veniva approvata la riforma del Senato, in prima lettura, il forzista Paolo Romani, invaso dalla eccitazione, ha dichiarato: “questa riforma porta due firme, quella di Renzi e quella di Berlusconi”.
Figuriamoci come sarà stata felice, nell’ascoltare queste parole, colei che era stata indicata all’opinione pubblica come la madre della riforma, il ministro Maria Elena Boschi.
Oddio, al posto del ministro Boschi sarei contento se qualcun altro si attribuisse la genitura di una legge che può essere definita eufemisticamente una indegna porcata.
Una riforma costituzionale deplorevole sia per i suoi contenuti, confusi e contraddittori, sia per l’atteggiamento alla Don Abbondio, di manzoniana memoria, con cui il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha condotto il dibattito in aula.
Tornando, però, alla paternità della legge, se dessimo ascolto alle parole di Paolo Romani non potremmo non prendere atto che, dopo la “congiura del Nazareno”, in questo Paese, che è sempre più una repubblica delle banane, sia consentito ad un pregiudicato imporre la sua volontà nella formulazione delle leggi.
È lecito chiedersi, infatti, se ed in quale misura Renzi ed i suoi ministri abbiano veramente contribuito alla stesura di una legge costituzionale così indecente.
Se è vero, come di fatto è avvenuto, che il Capo del Governo, e non un qualsiasi usciere di Palazzo Chigi, abbia dovuto chiedere la autorizzazione a Berlusconi per ogni modifica del testo, è plausibile ipotizzare che il vero autore del testo di legge non fosse il Governo.
Perciò Paolo Romani sarebbe stato fin troppo generoso nel citare, tra i padri della legge, anche Matteo Renzi che tutt’al più potrebbe essere solo il padre putativo.
In modo ancora più lampante ci sono molti dubbi sulla effettiva paternità della nuova legge elettorale, figlia anch’essa della “congiura del Nazareno”.
D’altra parte se per introdurre modifiche all’Italicum, il Capo del Governo è già costretto, oggi, a chiedere di continuo il permesso a Berlusconi, sia che si tratti delle soglie di sbarramento, della introduzione delle preferenze o del premio di maggioranza, è lecito presumere che anche la legge elettorale non sia farina del sacco di Renzi.
Purtroppo, però, a seguire dovrebbe esserci la riforma della giustizia, e non è peregrino il sospetto che anche quel testo possa essere scritto dal Pregiudicato e dal codazzo dei suoi legali.
Sarebbe ancora più sciagurato che affidare a Schettino la stesura del codice per la sicurezza in mare!
Non solo ma, secondo quanto si vocifera, Renzi sarebbe intenzionato a richiedere l’aiuto di Berlusconi per le riforme economiche e strutturali, sollecitate ancora una volta da Mario Draghi nel suo intervento di ieri, mentre vorrebbe inciuciare con lui per la nomina del futuro Capo dello Stato.
Insomma, pur restando all’opposizione, con licenza di libera e feroce critica nei confronti del governo, Forza Italia è ritornata protagonista, come gongola Berlusconi, fino a fare prevalere la sua linea politica sulle scelte fondamentali.
Renzi, in pratica, purché non gli tolgano la possibilità di trastullarsi con twitter, si accontenterebbe di essere il capo insignificante di un governo a sovranità limitata.
Ma gli italiani di questo si rendono conto ?

giovedì 7 agosto 2014

Ma Renzi … c’è o ci fa

Anche gli economisti più rigorosi non si aspettavano quel “meno zero due” che l’ISTAT ha rilevato come PIL del secondo semestre 2014.
Un risultato che ha suscitate reazioni preoccupate non solo in Italia ma anche nei partner europei, com’era peraltro prevedibile.
Il nostro Paese, secondo gli economisti di ogni tendenza e colore, è tecnicamente in recessione.
Nel prendere atto di questa dura realtà non posso fare a meno di ripensare al 5 agosto 2011, una data che la brigata berlusconiana finge di non ricordare e che, per molti, troppi italiani, compreso Matteo Renzi, sembrerebbe priva di significato.
Preoccupata per la convulsa ed incontenibile crescita dello spread, tra i titoli italiani e quelli tedeschi, la BCE il 5 luglio 2011 indirizzò una lettera riservata, a firma Jean Claude Trichet e Mario Draghi, all’allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
Con quella lettera la BCE invitava il Governo ed il Parlamento italiani ad adottare, entro due mesi, un insieme di riforme strutturali, ritenute indispensabili “per ristabilire la fiducia degli investitori”.  
Il pacchetto di riforme, esemplificate nella lettera dalla BCE, era finalizzato a conseguire tre obiettivi:
  1. aumentare il potenziale di crescita dell’economia italiana;
  2. rendere sostenibile la finanza pubblica;
  3. migliorare l’efficienza dell’amministrazione pubblica.

Se ne andò il mese di agosto, trascorso in ferie da Berlusconi e dai suoi ministri.
Passarono anche i mesi di settembre e di ottobre, senza che il Governo neppure tentasse di abbozzare qualche risposta concreta alle richieste della BCE, ed intanto lo spread raggiungeva i suoi valori massimi.
A sovraccaricare la situazione nel terzo trimestre 2011 il PIL presentò il primo segno negativo di quella striscia che è proseguita ininterrottamente fino ai giorni nostri.
Fu allora che Berlusconi decise di farsi da parte, rassegnando le dimissioni al Capo dello Stato e lasciando la patata bollente della lettera BCE nelle mani del suo successore, Mario Monti.
Nei quasi diciotto mesi di vita, a compimento della legislatura, il Governo Monti privilegiò soprattutto interventi di risanamento dei conti pubblici, con il plauso del FMI, ponendosi il preciso obiettivo di fare uscire l’Italia dalla procedura d’infrazione per debito eccessivo che l’UE aveva avviata nell’ottobre 2009, sotto il Governo Berlusconi.
L’obiettivo è stato raggiunto nell’aprile 2013.
Nei tre anni trascorsi da quel fatidico 5 agosto 2011, i tre governi che si sono succeduti a Palazzo Chigi (Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi), hanno fatto poco o nulla, però, per perseguire gli altri due obiettivi indicati nella lettera della BCE.
Vale a dire l’attuazione di riforme strutturali “per aumentare il potenziale di crescita dell’economia italiana” e per “migliorare l’efficienza dell’amministrazione pubblica”.
Arriviamo così ai giorni nostri.
Sarebbe stato logico attendersi che Renzi, una volta silurato il suo compagno di partito, Enrico Letta, ed aver preso il suo posto a Palazzo Chigi grazie alla “congiura del Nazareno”, di fronte alla drammatica situazione in cui si dibatteva il Paese, facesse tesoro dei suggerimenti della BCE e si gettasse anima e corpo per realizzare le riforme strutturali per il rilancio dell’economia, indicate e raccomandate da Trichet e Draghi.
Invece no !
Renzi ha preferito perdere cinque mesi, lui, il Governo ed il Parlamento, per trastullarsi con due riforme, legge elettorale e Senato, assolutamente inservibili per ridare fiato all’economia del Paese.
Solo oggi scosso, così sembrerebbe, dall’indicatore negativo del PIL, scopre finalmente che l’Italia ha bisogno di riforme economiche che, bontà sua, dichiara di voler mettere in agenda nel prossimo autunno.
Il grottesco è che, nell’attuare le tanto attese riforme economiche, quel genio di Matteo Renzi si propone di coinvolgere Berlusconi, cioè proprio colui che, resosi conto di non essere all'altezza di realizzare le riforme suggeritegli da BCE, ha preferito lasciare di corsa Palazzo Chigi nel novembre 2011.
A questo punto è inevitabile domandarsi: ma Renzi c’è o ci fa ?

mercoledì 6 agosto 2014

Non resta che raccomandarsi a … San Gennaro

Forse come molti italiani, questa mattina per colazione ho provato a farmi un panino farcendolo con una fetta di riforma del Senato  e cercando di insaporirlo con un pezzetto di Italicum.
Il risultato è stato stomachevole ed indigesto.
Perciò, sono sceso al bar sottocasa ed ho sorseggiato il solito “marocco” e sbocconcellato un “pain au chocolat”.
Ignoro come facciano colazione Renzi ed i suoi ministri, di certo augurerei loro di nutrirsi, a colazione, pranzo e cena, sempre e solo con tranci di riforma del Senato e spezzatino dell’Italicum.
In questi cinque mesi di governo del Paese, al di là della inondazione di foto e servizi televisivi in cui mostra il suo sbeffeggiante sorriso, al di là della valanga di tweet di autoincensamento, al di là delle conferenze stampa traboccanti di sconclusionati blablabla, Renzi ha dato prova di essere solo un arrampicatore megalomane, del tutto incapace di comprendere le vere necessità del Paese.
Cinque mesi di estemporanei spot pubblicitari, di promesse campate in aria, di velleitari impegni a cambiare l’Italia.
Sarà pur vero che non esista la bacchetta magica per risolvere i disastri provocati dalla crisi, ma se in una barca ci sono delle falle il primo dovere di un buon comandante sarebbe quello di tamponarle e non di rilassarsi a prendere il sole, a meno che ...
Già, a meno che non sia un semplice figurante, messo al posto di comando da qualcuno che abbia tutto l’interesse di fare affondare la barca con il suo equipaggio.
C’è un vecchio adagio che recita: “chi va con lo zoppo impara a zoppicare” … e se il proverbio avesse ragione, Renzi avrebbe imparato in fretta a zoppicare !
Da quando nel novembre 2011 la Troika si era appollaiata sulla spalla del rovinoso governo Berlusconi, in attesa del momento opportuno per calarsi su Roma, gli indicatori economici del nostro Paese hanno continuato a peggiorare con crescenti disagi per gli italiani.
Solamente grazie agli immani sacrifici lacrime e sangue, imposti dal governo Monti, gli italiani sono riusciti a tenere lontana la Troika da Roma.
Così, afflitto da una crisi senza fine, il Paese, o perlomeno una parte, si era illuso che Renzi, propostosi come vessillifero del cambiamento, fosse in grado di farlo uscire dal tunnel.  
Invece, in questi cinque mesi di governo, Renzi per prima cosa si è impegnato a fare risorgere Berlusconi dalle tenebre in cui lo aveva relegato la sentenza della Cassazione, al tempo stesso infinocchiando gli italiani con la balla che le riforme del Senato e della legge elettorale avrebbero eliminate le angustie del Paese.
Ora, o Renzi ha mentito agli italiani, sapendo di mentire, oppure è davvero incapace e scombinato!
Continua a vantarsi di aver messi 80 euro nelle buste paga di circa dieci milioni di italiani ma, in queste ore, Confcommercio conferma che quello spot elettorale non ha prodotto alcun effetto sui consumi delle famiglie.
Inoltre, secondo le anticipazione dell’ultima ora, sembra che domani l’ISTAT confermi un indice del PIL in stagnazione anche per il secondo semestre 2014, il che allontanerebbe sempre più il pareggio strutturale chiesto dall’UE, ed angoscerebbe ancor più i milioni di disoccupati che cercano ma non trovano lavoro.
Insomma, invece di cincischiare con la riforma del Senato e della legge elettorale, sarebbe stato legittimo attendersi che governo e Parlamento, di fronte a questo drammatico e rischioso scenario, si concentrassero su interventi utili a dare una boccata di ossigeno al Paese, ad esempio sforbiciando i costi della politica e gli sprechi.
Dopo aver impegnata, fin dai tempi del governo Monti, una task force per individuare gli sperperi di denaro pubblico, è da irresponsabile che Renzi, per non ledere la sua popolarità e per opportunismo politico, affossi in un cassetto i “25 dossier 25” preparati dal Commissario alla spending review.
Inoltre, se la coppia nazarena Renzi-Berlusconi avesse voluto superare davvero il bicameralismo perfetto e ridurre i costi della politica, avrebbe dovuto proporre la chiusura definitiva di Palazzo Madama, con un risparmio per le casse dello Stato di oltre 500 milioni di euro.
Invece no ! Renzi ha sollevato un gran polverone garantendo agli italiani che la riforma del Senato avrebbe fatto risparmiare centinaia di milioni.
Una bufala colossale perché la riforma del Senato, che sarà approvata nei prossimi giorni, ridurrà di poche decine di milioni i costi a carico dello Stato.
Non solo, ma agli amministratori locali che diventeranno anche senatori sarà concesso lo scudo dell’immunità.
Una scelta immorale e scellerata, se si tiene conto che le cronache raccontano ogni giorno di amministratori locali corrotti e dediti al malaffare.
Se questo è il cambiamento di cui si proclama vessillifero Matteo Renzi, al Paese non resta che raccomandarsi a San Gennaro !

lunedì 4 agosto 2014

Renzi e Schettino, dilettanti allo sbaraglio

La superficialità ed il dilettantismo che ha dimostrati, in questi mesi, Matteo Renzi nel gestire il governo del Paese sono clamorosi.
Con quel permanente sorriso canzonatorio, stampato sul viso, il marpione è convinto di poter gabbare gli italiani, che chiaramente lui considera poveri sudditi ebeti, propinando loro qualsiasi fregnaccia, anche la più assurda.
Probabilmente, da bonaccione quale è non si è ancora reso conto che aver fatto il sindaco, con più ombre che luci, di una città seppure importante come Firenze, ha costituito per lui un impegno ben lontano da quello richiesto al capo del governo di un Paese travagliato da una miriade di problemi e difficoltà; una situazione che farebbe tremare i polsi anche a personaggi ben più qualificati e capaci di lui.
Ho l’impressione che Renzi, dopo aver fatto un giretto con il pattino nel mare piatto della riviera romagnola, sotto lo sguardo vigile del bagnino, si sia montata la testa al punto da volersi mettere ai comandi di un transatlantico, pur ignorando le più elementari regole della navigazione.
Imbarcati su quella nave, purtroppo, ci sono sessanta milioni di italiani il cui destino è nelle mani di un maldestro e sprovveduto comandante.
Ecco perché, ad una settimana dall’ultima malinconica navigazione della Costa Concordia verso il porto di Genova, continuo ad essere sorpreso di quante analogie si possano ravvisare tra le sventure di quella nave da crociera ed il governo Renzi.
Ai comandi della Costa Concordia c’era un individuo maldestro e scriteriato che portò la nave sugli scogli per lo stupido desiderio di “fare l’inchino” all’isola del Giglio.
Il caso vuole che anche il governo italiano rischia di finire sugli scogli per l’altrettanto insulsa smania di Renzi di “fare l’inchino” alla residenza di Arcore ed al suo signorotto.
Pur di fare l’inchino all’isola del Giglio quell’incapace comandante ignorò che era suo fondamentale dovere salvaguardare la sicurezza dei passeggeri a lui affidati, causando la perdita di 32 vite umane ed il ferimento di alcune centinaia di persone.
Dal canto suo Renzi, più preoccupato di fare salamelecchi a Berlusconi che non a risolvere le difficoltà degli italiani, non fa nulla per evitare che migliaia di imprese cessino le loro attività, che la disoccupazione giovanile si avvicini a grandi passi al 50% e che più del 20% delle famiglie italiane “navighi” in condizioni di povertà assoluta o relativa.
Dopo trenta mesi di industriose e complesse manovre, la Costa Concordia è stata finalmente rimossa dallo sciagurato stato in cui era stata scaraventata dalla incapacità e dalla sconsideratezza del suo comandante, provocando alla società armatrice il pesante onere di almeno un miliardo e mezzo di euro.
È difficile prevedere se, come e quando il governo Renzi potrà tirare fuori il Paese dal malessere che lo attanaglia, ammesso e non concesso che ci riesca; è ancora più difficile, però, prevedere quale potrà essere il tributo “lacrime e sangue” che gli italiani saranno costretti a pagare per l’imperizia e la superficialità del loro comandante.
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In questo frangente confesso che mi piacerebbe, solo per un momento, poter indossare l’uniforme del capitano di fregata Gregorio De Falco, capo della sala operativa della Capitaneria di porto di Livorno, ed urlare a squarciagola: “Renzi, scenda subito da quella nave … cazzo !”

sabato 2 agosto 2014

C’era una volta la democrazia … in Italia

Sono convinto che non sia lontano il momento in cui gli italiani rimpiangeranno la cosiddetta prima Repubblica, spazzata via in modo drammatico dalla stagione di “mani pulite”.
Una Repubblica che pure ha avuta per protagonista una classe politica, di certo non scevra di errori, colpe e gravi responsabilità.
Una classe politica, però, che ha saputo ridare dignità al nostro Paese, ridotto in macerie da una guerra rovinosa, umiliato dal ventennio fascista, lacerato dai postumi della lotta partigiana.
Una classe politica che, ripristinata la democrazia parlamentare e redatta una Carta Costituzionale, apprezzata da tutto il mondo, si è impegnata per la rinascita del Paese e per il suo sviluppo economico ed industriale.
Sotto la guida di quella classe politica, da paese ad economia prevalentemente agricola l’Italia si è trasformata, per capacità tecnologiche e produttive, in una delle nazioni più industrializzate al mondo, con tassi di incremento del PIL così sbalorditivi da meritare il plauso perfino del Presidente USA, John F. Kennedy.
Gli italiani, almeno quelli meno giovani, ricorderanno di certo i decenni del “miracolo economico italiano” che diffusero benessere e serenità soprattutto presso le classi sociali meno abbienti.
Ma quella classe politica si trovò ad affrontare anche periodi congiunturali non favorevoli, e lo fece sempre con l’impegno a minimizzarne le conseguenze sui cittadini.
Quando agli inizi degli anni ’90 il pool di magistrati milanesi diede il via alla stagione di “mani pulite” non fece altro che sollevare il coperchio di un malaffare, il finanziamento illecito ai partiti, così diffuso da essere di pubblico dominio.
Quel proposito moralizzatore, che molti italiani intravidero nell’intervento di “mani pulite”, di fatto servì solo a rimuovere una classe politica ed a far scrivere, ai cronisti dell’epoca, che la prima Repubblica era andata in soffitta.
Da lì in poi, però, le cronache hanno continuato a raccontare del succedersi incessante di nuove vicende disoneste delle quali, però, non sono più i partiti ad essere beneficiari, bensì i singoli politici per il loro tornaconto personale.
A parte, però, questo spregevole elemento di continuità, tra la prima e la cosiddetta seconda Repubblica, il cui anno di nascita dovrebbe collocarsi nel 1994, esiste un tale gap qualitativo da far rimpiangere la prima Repubblica, pur con tutti i suoi errori e le sue magagne.
Dal 1994 in poi, ad esempio, il meschino interesse personale del singolo ha prevalso e continua a prevalere sull’interesse generale, al punto di asservire le stesse istituzioni alla propria convenienza.
Il livello morale ed intellettuale dell’attuale classe politica si è mediamente impoverito dando luogo a prove, spesso incivili, di intolleranza e sopraffazione.
Al “popolo sovrano”, tanto celebrato solo a parole, è stata sottratta, via via, la possibilità di far sentire la propria voce, fino al punto di negargli perfino il diritto di scegliere i propri rappresentanti.
I parlamentari nominati così dai capibastone, e non eletti dal “popolo sovrano”, si riducono a dire e fare quello che viene loro ordinato, salve rare eccezioni.
Una classe politica che mortificando il confronto delle idee sta minando alle radici la democrazia, rifiutando perfino di riconoscere la funzione insostituibile che la Costituzione conferisce alle minoranze ed alle opposizioni.
L’esempio più lampante lo offre ciò che sta accadendo, in questi giorni, nell’aula del Senato, chiamato ad esaminare non una leggina sulle importazioni di mele tarocche, bensì una legge di riforma della Carta Costituzionale.
Ebbene, dopo tre convulse giornate, ricche di baruffe ed attriti, ieri ai partiti di opposizione è stato notificato che il tempo residuo a loro disposizione per partecipare al dibattito sarebbe:
  • per M5S, 20 minuti e 10 secondi;
  • per GAL, 4 minuti e 24 secondi;
  • per Fratelli d’Italia, soli 14 secondi;
  • per i dissenzienti del PD, 4 minuti e 25 secondi;
  • per i dissenzienti di FI, soli 15 secondi;
  • per i dissenzienti di NcD, 2 minuti e 46 secondi;
  • infine, a SEL che avrebbe già esaurito il tempo a disposizione non sarebbe più concesso di prendere la parola.

In pratica alle opposizioni ed ai dissenzienti viene tappata la bocca per il prosieguo del dibattito sulla riforma costituzionale che si prolungherà ancora per giorni e giorni. 
Mentre al Senato della Repubblica va in scena questa ridicola sceneggiata del confronto democratico immagino che i Padri Costituenti si rivoltino nelle loro tombe.
Tutto ciò nel tempo in cui il Paese continua a leccarsi le ferite di una crisi economica che sta dilaniando milioni e milioni di italiani.
C’era una volta la democrazia … nel nostro Paese !