domenica 30 settembre 2012

Bersani e la fregola di Palazzo Chigi


Non passa giorno che lo stato di confusione mentale, con il quale convive ormai da tempo Pierluigi Bersani, non lo induca a fare dichiarazione o ad assumere atteggiamenti che, oltre ad originare perplessità, riescano ad ottenere solo sorrisi indulgenti.
La frenesia di occupare la poltrona di Palazzo Chigi ha fatto smarrire a Bersani il senso della misura ma, soprattutto, la percezione della realtà.
Senza sapere chi sarà il vincitore delle primarie indette dal PD, pur ignorando con quale legge elettorale gli italiani saranno chiamati alle urne, nonostante continui la indecisione sulla scelta del partito con il quale formare la coalizione elettorale, tuttavia Bersani persevera nel vagheggiarsi premier nel 2013.
Spalleggiato dai fossili del PD, con Massimo D’Alema e Rosy Bindi in prima fila, sta cercando di imbrogliare le regole delle primarie in modo da ostacolare il nuovo che cerca di farsi largo.
Già l’intenzione di ammettere alle primarie il voto degli immigrati, che ovviamente non voteranno alle elezioni politiche, dà un’idea di come Bersani cerchi di ingarbugliare le cose.
Così come la cocciuta insistenza di Bersani, per introdurre nella nuova legge elettorale i collegi uninominali, ed in parte anche le liste bloccate, è la riprova della sua precisa volontà di impedire il ricambio della classe politica.
Condizionato, però, dalla ottusità che gli annebbia le idee, Bersani non coglie il senso di alcune situazioni oggettive.
 
La prima : l’opinione pubblica è disgustata da questa vecchia, inetta e disonesta classe politica, a tal punto che oltre il 40% dell’elettorato dichiara di volersi astenere o di votare scheda bianca, mentre alle porte del Parlamento si accalcano i “grillini”.
La seconda : l’elettorato potenziale del PD, prima di votare, senza ombra di dubbio valuterà anche le alleanze. Per cui, l’elettore moderato difficilmente digerirebbe una coalizione con SEL o IdV, così come l’elettore di sinistra non digerirebbe un accordo con UDC. Quindi, i numeri che indicano, oggi, i sondaggi sono ingannevoli.
La terza : confortati dalla dichiarazione di Monti che, a New York, si è detto disponibile a “restare se serve al Paese”, molti dirigenti del PD vedrebbero con favore un secondo premierato di Monti, come hanno confermato ieri nella riunione al “Tempio di Adriano”.
La quarta : dopo il discredito che Berlusconi è stato capace di raccogliere, a livello internazionale, il nostro Paese avrebbe bisogno di ben altro che di un mediocre Bersani per riconquistare il ruolo che merita nel consesso europeo e mondiale.
La quinta : la profonda crisi, che stava per far naufragare il nostro Paese, non è ancora superata. Ogni indulgenza verso politiche populistiche rischierebbe di riportare l’Italia al 16 novembre 2011, con l’inevitabile conseguenza, questa volta, di dover mendicare aiuti così grevi da compromettere definitivamente la sovranità nazionale.

sabato 29 settembre 2012

Gianfranco Fini dixit: “Berlusconi è un corruttore” !


Nel corso della trasmissione televisiva “8 e mezzo”, condotta su LA7 da Lilli Gruber, commentando la lettera, sibillina e dai toni ricattatori, che Valter Lavitola avrebbe scritto a Berlusconi (senza spedirla?), Gianfranco Fini, in modo lapidario, ha affermato : “Berlusconi è un corruttore”.
Una reazione per lo meno sconcertante e tardiva, anche se giustificabile sul piano umano.  
La lettera, infatti, confermerebbe la falsità dei documenti, relativi alla discussa casa di Montecarlo, utilizzati dal quotidiano, di proprietà della famiglia Berlusconi, per coprire di fango Fini.
Ma l’affermazione risulta sconcertante e tardiva perché, per oltre 15 anni e fino al 22 aprile 2010, prima con AN e poi con la confluenza di AN nel PdL, Fini ha sostenuti i governi Berlusconi dei quali è stato anche ministro.
Fini ha votate tutte le “leggi ad personam”, permettendo così a Berlusconi di sottrarsi ai processi che lo vedevano imputato, ha assistito, senza fiatare, al mercimonio di senatori per far cadere il governo Prodi nel 2008, ha concesso che, con il voto suo e dei suoi camerati, nel 2004 fosse approvata la scandalosa legge Gasparri, a beneficio di Mediaset, e via dicendo.
Ora, non è credibile che un politico avveduto e di lunga militanza, come Gianfranco Fini, non fosse al corrente e non avesse valutato il curriculum etico del signor Berlusconi, prima di creare il sodalizio con lui.
Eppure non era un mistero per nessuno che Berlusconi fosse stato iscritto dal 1978 alla P2 con la tessera n. 1816, che per il tramite di Previti avesse corrotto, nel 1985, i giudici romani per ottenere la proprietà della Mondadori, che della villa di Arcore fosse ospite, dal 1973, un certo Vittorio Mangano, pluriomicida legato a Cosa Nostra, solo per citare alcune delle molte nefandezze.
Possibile che Gianfranco Fini ignorasse tutto ciò, oppure è lecito supporre che abbia finto di non vedere e non sentire pur di procurare, per sé e per i suoi camerati, ruoli di prestigio nei governi Berlusconi ?
Ma tornando alle 20 pagine della enigmatica lettera di Lavitola, datata “Rio de Janeiro, 13 dicembre 2011”, scritta a Berlusconi ma che, di fatto, sarebbe sempre rimasta nel computer di Carmelo Pintabona (in manette dal 2 agosto 2012) ritengo possibile formulare qualche ipotesi.
La prima ipotesi è che la lettera, in bozza, sarebbe stata bloccata proprio da Pintabona che, conoscendo bene Berlusconi, temeva che i contenuti ne potessero provocare una reazione violenta ed imprevedibile.
La seconda ipotesi è che Lavitola, invece, abbia voluto stendere un dettagliato promemoria di tutte le malefatte compiute per conto di Berlusconi, prima di porre fine alla latitanza e costituirsi alla Magistratura italiana.
Lavitola, affidando il promemoria nelle mani dell’amico e connivente Pintabona, sperava di metterlo al sicuro, per ogni evenienza, e di sottrarlo alla Magistratura.
È incomprensibile, difatti, perché Lavitola avrebbe avuto bisogno di ricordare a Berlusconi l’elenco così dettagliato dei favori che gli aveva fatti, dal mercimonio del senatore De Gregorio, ai documenti trafugati dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere per consegnarli a Mastella, dalla dissuasione del senatore Dini, alla falsificazione dei documenti sulla casa di Montecarlo, etc.
A questo punto tocca solo alla Magistratura cercare i riscontri di tutti i misfatti indicati nella lettera.

venerdì 28 settembre 2012

Elezioni 2013… la paura fa 90 !


Non è certo da ieri che gran parte dell’opinione pubblica sia schifata dalle troppe evidenze di malaffare ed immoralità che marchiano la vita politica italiana.
Non è certo da ieri che i sondaggisti rilevano il crescente disgusto e la diffusa disaffezione dei cittadini per la politica.
Eppure, in tutti questi anni, dai partiti non è arrivato nessun segnale di rinsavimento, nessuna iniziativa finalizzata a combattere il putridume covato nelle loro file.
Anzi, i partiti, per anni, hanno tentato di minimizzare il malcostume ed il marcio che la magistratura continuava a scoprire ed accertare con le sue indagini.
Non sono bastati gli scempi commessi da Belsito e Lusi, con i loro ignominiosi maneggi di denaro pubblico, a far scattare nelle coscienze della classe politica il bisogno di intervenire per porre rimedio al malaffare.
Per alcuni politici, al contrario, la colpa era della magistratura che indagava e non dei farabutti scoperti a delinquere.       
La stessa legge anticorruzione, senza la quale l’Italia continuerebbe ad essere la pecora nera in Europa, da mesi e mesi giace sugli scaffali del Parlamento, coperta da polvere e ragnatele, per colpa degli squallidi giochetti di una parte politica.
Ecco, però, che improvvisamente, dopo anni di letargo, la politica sembra svegliarsi come posseduta dal sacro fuoco del ravvedimento.
I presidenti delle regioni propongono, al Governo, il taglio di 300 consiglieri e la drastica riduzione dei contributi di denaro pubblico ai gruppi consiliari. Perché solo ora ?
Il Parlamento spolvera il decreto anticorruzione e, finalmente, decide di accelerarne l’esame e l’approvazione.
Dopo anni di menefreghismo che cosa mai avrà fatta scattare, nelle teste dei politici, la voglia di moralizzazione ?
Possibile che per suonare la sveglia alle coscienze dei politici, sia stato sufficiente il deflagrare dell’ennesimo indecente caso, emerso dal consiglio regionale del Lazio, o l’aver vista Renata Polverini costretta alle dimissioni ?
Assolutamente no !
È stata, piuttosto, la presa di coscienza che, tra poco più di sei mesi, gli italiani si possano servire delle urne elettorali per fare piazza pulita di questa classe politica e mandarla a casa.
Una paura che corre lungo la schiena soprattutto di coloro che da decenni hanno piantate le radici in Parlamento per godere di un posto fisso molto ben retribuito e degli annessi e connessi benefici.
Perciò, al grido di “si salvi chi può”, questa incapace ed inconsistente classe politica sta tentando solo di buttare un po’ di fumo negli occhi degli elettori.
Gli sprovveduti sperano che gli italiani dimentichino decenni di malaffare e corruzione.
In realtà, però, nell’apparente rinsavimento c’è tanta malafede.
Lo dimostrano i tentativi fatti, anche in questi ultimi giorni, per inserire nel decreto anticorruzione norme ad uso e consumo di qualche gaglioffo che spera così di farla franca.
Mentre il PD cerca di infilare nel decreto anticorruzione il modo per evitare la sicura condanna all’ex presidente della provincia di Milano e fedelissimo di Bersani, Filippo Penati, il PdL fa le barricate per salvare Berlusconi dall’accusa di concussione, per il caso Ruby.
Per perseguire ancora una volta i suoi immondi fini, il PdL non usa neppure le buone maniere.   
Chi non ricorda l’avvertimento, dai toni tipicamente mafiosi, con il quale Fabrizio Cicchitto, in Parlamento nel corso dell’esame del decreto anticorruzione, si è rivolto ad un ministro della Repubblica Italiana, dicendo: “Ministro Severino, donna avvisata è mezza salvata !”.

giovedì 27 settembre 2012

Quale il futuro della FIAT in Italia ?


Credo sia la prima volta che, nella galassia dell’imprenditoria italiana, si accenda un così vivace e pungente scambio di vedute tra alcuni dei suoi più autorevoli esponenti.
Da una parte, Andrea Della Valle, Cesare Romiti e Carlo De Benedetti, dall’altra, John Elkann e Sergio Marchionne.
Tema del contendere è stato, e continua ad essere, il futuro della FIAT e dell’industria automobilistica in Italia.
Ad accendere la miccia, un comunicato stampa, della Direzione FIAT, con il quale si annunciava che “Fabbrica Italia”, il progetto di belle speranze illustrato, con enfasi, da Marchionne solo due anni fa, è da considerarsi “non più attuale”.
Una notizia inquietante, oltre che per decine di migliaia di lavoratori, anche per la stessa economia del nostro Paese.
Con le parole di quello scarno comunicato la Direzione FIAT sembra voler annunciare che la più importante realtà industriale italiana avrà un futuro incerto.
Una incertezza che, John Elkann e Sergio Marchionne, non hanno fugata neppure nell’incontro con il Governo, ricorrendo a vaghe ed ambigue dichiarazione di principio del tipo: “la FIAT non lascerà l’Italia” e “da soli non possiamo fare tutto”.
Che la profonda e grave crisi in atto abbia colpito anche il settore dell’auto è indiscutibile e lo dimostrano, mese dopo mese, i dati delle immatricolazioni.
Che la FIAT, in questi anni sia rimasta al palo, proponendo al mercato solo il restyling di modelli vecchi, prodotti nelle fabbriche italiane, mentre i concorrenti europei erano impegnati nel lanciare, a raffica, modelli nuovi, è indiscutibile.
Che le uniche vere novità FIAT siano state la “Nuova 500” e le sue diverse versioni, comunque non competitive a causa dei loro prezzi, è una realtà sotto gli occhi di tutti.
Che, infine, dirottando in Serbia ed in Messico la produzione della “Nuova 500”, si sia sottratta, all’economia italiana, l’opportunità di creare lavoro è innegabile.
Con queste premesse quale reale significato può avere l’affermazione “la FIAT non lascerà l’Italia” ?
Affinché il marchio FIAT, ed i suoi stabilimenti italiani, abbiano ancora un futuro, sarebbe indispensabile che il management investisse, da subito, nella progettazione di nuovi modelli, competitivi e considerati con favore anche dai mercati internazionali.
Per progettare un nuovo modello, però, occorrono dai 18 ai 24 mesi.
Quindi, se gli investimenti in progettazione non fossero avviati subito, l’affermazione di Marchionne che la FIAT riprenderà ad investire in Italia solo dal 2014, appare come una nuova bufala, buttata là solo per dire qualcosa e prendere tempo.
Che cosa, dunque, potrebbe frullare nelle teste di John Elkann e Sergio Marchionne ?
Poiché di strategie aziendali ne mastico un po’, provo a formulare una ipotesi neppure troppo inverosimile.
Innanzitutto, la FIAT non vuole perdere il mercato italiano del quale, comunque, detiene ancora una quota significativa.
In secondo luogo, la FIAT e la famiglia Agnelli hanno in Italia troppi e rilevanti interessi da tutelare.
Per Elkann e Marchionne, perciò, scoprire, in modo chiaro e definitivo, le loro strategie potrebbe diventare un boomerang incontrollabile.  
Per questo, pensano di realizzare le loro strategie, passo dopo passo, in modo che la trasformazione degli stabilimenti FIAT avvenga alla chetichella ed in modo indolore.
Trasformare gli stabilimenti FIAT in cosa ?
Da un lato trasformare gli stabilimenti in assemblatori di auto e loro parti, per altri marchi, e dall’altro, utilizzare il know-how FIAT per farli diventare fornitori di motori, cambi, telai e componenti per le produzioni di auto progettate e realizzate in stabilimenti all'estero.
Questo renderebbe comprensibile anche lo stop degli ultimi anni alla progettazione di nuovi modelli.
Siccome, però, questa strategia non garantirebbe, in Italia, i livelli occupazionali attuali, Elkann e Marchionne non possono far altro che tergiversare e prendere tempo.

mercoledì 26 settembre 2012

Il camper della discordia


Mentre la bufera, che ha travolti gli "occupanti" il consiglio regionale di via della Pisana, con il passare delle ore rafforza la certezza che tutti i partiti, senza alcuna distinzione, abbiano le mani imbrattate di marmellata, a Roma è arrivato il camper di Matteo Renzi per una nuova tappa del suo tour.
Anche nella città capitolina, ad ascoltare questo “giovinetto”, c'era un pubblico eterogeneo.
Migliaia di persone, di ogni età e condizione sociale, con credi politici molto diversi, riempiono piazze e teatri per ascoltare le dissertazioni che Matteo Renzi sciorina con vivacità e arguzia, assecondato in ciò dalla sua inconfondibile parlata toscana.
I sondaggisti, anche palesemente di fede opposta (perché mai i sondaggisti non dovrebbero avere le proprie idee ?), sono tutti d’accordo nell’affermare che il gap tra i tifosi di Pierluigi Bersani e quelli di Matteo Renzi si sta assottigliando giorno dopo giorno.
La prima, anche se banale spiegazione di questo risultato sta nella pressante richiesta di cambiamento che, ormai da anni, lievita nell’opinione pubblica.
Gli Italiani (quelli con “I” maiuscola) premono per un cambiamento della politica e dei politicanti.
Gli Italiani (ancora quelli con la “I” maiuscola) avvertono il bisogno impellente di non dover più accendere la TV, o sfogliare un quotidiano, per imbattersi in un nuovo scandalo, in un nuovo indecente uso del denaro pubblico, in un nuovo caso di corruzione.
Ad accorgersi di questa insofferenza dilagante sembra essere stato solo Beppe Grillo che, traendo ispirazione dal marciume politico, ha portato nelle piazze i suoi spettacoli, molte volte sguaiati, senza proporre, però, un modello alternativo o soluzioni concrete.
Il sodalizio della “casta e dintornive”, invece, ha creduto di cavarsela etichettando l’insofferenza degli Italiani come “antipolitica”, e dimostrandosi incapace di capire che a produrre la “antipolitica” sono i politici con le loro inettitudini, le loro scempiaggini, le loro immoralità.
Un sodalizio, quello della “casta e dintorni”, così ottuso ed abbarbicato agli scranni parlamentari con annessi privilegi, da contrastare con virulenza ogni cenno di cambiamento.
Lampante dimostrazione di questa ferrea opposizione al cambiamento è il dissenso che ha suscitato Matteo Renzi nel momento in cui si è proposto come “rottamatore”.
Ad osteggiare Matteo Renzi e le sue idee, però, non sono né il PdL né l’UDC, e neppure la Lega o l’IdV.
No ! E’ il suo stesso partito, il PD, ed in particolare alcuni dei suoi più decrepiti rappresentanti !
A cominciare dal presidente del PD, l’ex-democristiana bacchettona Rosy Bindi, che da 23 anni gode del suo posto fisso in Parlamento.
Non passa giorno, infatti, che la signorina Rosy Bindi non lanci i suoi strali astiosi contro il “giovinetto”, consapevole che se Renzi vincesse mai le primarie, attuando la regola del “non più di 2 mandati parlamentari”, lei si troverebbe “disoccupata” dopo 23 anni di improduttivo servizio parlamentare.
A tener mano a Rosy Bindi nell’osteggiare Renzi eccelle un altro rudere del PD, Massimo D’Alema.
Cresciuto nella nomenclatura dell’ex PCI il signor D’Alema occupa il suo posto fisso di parlamentare da 25 anni ed è conscio di essere tra i primi nella lista dei “rottamandi”, vuoi per la oltremodo lunga occupazione di una poltrona a spese dei contribuenti, vuoi perché ha sulla coscienza alcuni peccati imperdonabili.
Meno diretto ma più subdolo nell’avversare Renzi, è Pierluigi Bersani, anche lui ex-comunista.
Dopo aver tirato fuori dal cassetto il sogno impossibile (e ragionevolmente improponibile) di sostituire Mario Monti a Palazzo Chigi, Bersani è angosciato dalla paura fottuta che il “giovinetto”, vincendo le primarie, possa sbriciolare questo suo sogno.
Allora che ti fa l’infido Bersani ? Si affanna per cambiare le regole e far in modo che alle primarie possa votare solo una “lista chiusa” di militanti a lui fedeli.
Già, perché il signor Bersani è lo stesso che, in Parlamento, si oppone a ridare agli elettori il diritto al “voto di preferenza”.
Come dire, il lupo perde il pelo ma non il vizio.

martedì 25 settembre 2012

Perché solo la Polverini al patibolo ?


Oramai le dimissioni di Renata Polverini, dalla presidenza della Regione Lazio, erano diventate ineluttabili.
Il coro di critiche, all’immoralità straripante di molti membri del consiglio regionale, aveva travolto come un fiume in piena Polverini, la cui colpa fondamentale è stata quella di aver fatto finta di non vedere, per mesi, il putridume sul quale si reggeva la sua poltrona presidenziale.
Da cardinal Bagnasco al premier Monti, dal Capo dello Stato al Presidente della Corte dei Conti, tutti unanimemente concordi nel giudicare indegno ed inaccettabile lo schifo albergatosi nel palazzo di via della Pisana.
I soli indifferenti, al marcio che stava emergendo, Silvio Berlusconi ed Angelino Alfano che, per miserrime convenienze di partito, hanno continuato fino all’ultimo a fare pressione sulla Polverini perché resistesse al suo posto.
Berlusconi ed Alfano, d’altra parte, sono così assuefatti al malaffare ed alla corruzione che non ne avvertono più neppure il puzzo rivoltante.
A lasciare di stucco, però, sono state le durissime prese di posizione che hanno esternate Bersani, Di Pietro e Casini.
Per la miseria quanta ipocrisia nelle loro parole !
Già, perché tra i responsabili di questo porcaio ci sono stati anche esponenti di PD, UDC ed IdV.
Anzi, le loro responsabilità sono di una gravità enorme.
Infatti, le numerose delibere che si sono susseguite in 11 mesi, per aumentare, da 1 a 14 milioni di euro, i contributi da assegnare ai gruppi consiliari, sono state prese sempre dall’ufficio di presidenza con il voto unanime di tutti i suoi membri.
E chi erano i membri dell’ufficio di presidenza ?

Mario Abbruzzese (PdL) – presidente
Raffaele D’Ambrosio (UDC) – vice presidente
Bruno Astorre (PD) – vice presidente
Gianfranco Gatti (Lista Polverini) – consigliere segretario
Isabella Rauti (PdL) – consigliere segretario
Claudio Bucci (IdV) – consigliere segretario.

A questo punto è doveroso porsi qualche domanda.
1.     Dove erano Bersani, Casini e Di Pietro quando i loro rappresentanti deliberavano il saccheggio delle risorse regionali per arricchire i gruppi consiliari ?
2.     Quali provvedimenti prenderanno, nei confronti di questi loro fidati sodali, gli implacabili fustigatori della Polverini: Bersani, Casini e Di Pietro ?
3.     Alle ormai prossime consultazioni elettorali per il rinnovo del Consiglio Regionale del Lazio, Bersani, Casini e Di Pietro ricandideranno ancora questi individui, assicurando loro l’elezione, magari con il ricorso alle liste bloccate tanto care a Bersani ?


lunedì 24 settembre 2012

Il ladro di polli in galera… ed i politici ?


Capita spesso, ahinoi, di leggere nelle cronache cittadine di qualche quotidiano, di un pensionati o disoccupato sorpreso, in un supemercato, a sottrarre furtivamente dagli scaffali (dagli addetti battezzati romanticamente “gondole”) un pacco di pasta o una scatoletta di carne o un pacchetto di biscotti o altri prodotti di poco conto, spinti dai morsi della fame.
Una volta avvistato, il povero sciagurato è affidato ad una pattuglia di polizia, prontamente accorsa sul posto, e tradotto, magari in manette, in commissariato.
E questo avviene in un Paese, l’Italia, dove ogni giorno emergono nuovi casi di “ladrocinio legalizzato” per milioni e milioni di euro da parte di gaglioffi di ben altra specie: i politici.
Gli stessi gaglioffi che hanno la spudoratezza di predicare  moralizzazione ogniqualvolta si trovino davanti ad un microfono o ad una telecamera.
In questi giorni il can-can scoppiato sullo scandaloso sperpero di denaro pubblico, da parte dei consiglieri della Regione Lazio, ha fatto puntare i riflettori solo su Franco Fiorito, sicuramente incauto e sciocco mariuolo, preso con le mani nella marmellata.
L’immoralità vera, però, non è quella di Fiorito, semplice comparsa nella putrefazione del sistema, ma di tutti, e sottolineo tutti i partiti.
Nessuno dei partiti presenti nel consiglio regionale del Lazio, infatti, si può tirar fuori dal marciume che sta venendo a galla.
Basta scorrere la successione delle delibere approvate dall’assemblea regionale, nel solo 2011, per rendersi conto che tutti, dal PdL al PD, da UdC a IdV, da La Destra ai Radicali, siano responsabili di aver deciso insieme, senza eccezione e vergogna, di arraffare denaro pubblico a gogò.
1.     26 gennaio 2010 – La giunta (di centro-sinistra) delibera lo stanziamento di 1 milione di euro per i gruppi consiliari.
2.     10 febbraio 2011 – L’ufficio di presidenza della nuova giunta (di centro-destra) appena subentrata, dispone l’aumento della dotazione a 5,5 milioni di euro, con il voto unanime dei rappresentanti di PdL, Lista Polverini, UDC e IdV.
3.     19 luglio 2011 – L’ufficio di presidenza della giunta, con il voto unanime di PdL, PD, Lista Polverini, UDC ed IdV, delibera un nuovo aumento dello dotazione a 8,5 milioni di euro.
4.     8 novembre 2011 – L’ufficio di presidenza della giunta, con il consueto voto unanime di PdL, PD, UDC ed IdV porta a 11 milioni di euro l’assegnazione ai gruppi consiliari (secondo alcune fonti sarebbero 14 i milioni ad oggi !).
 
Le delibere approvate dall’assemblea, con voto ovviamente unitario, sono state coperte sgraffignando via via il denaro pubblico da altri capitoli di spesa del bilancio regionale.
Chissà, forse proprio dissanguando anche i fondi destinati ai servizi sociali.
Per questo mi domando quanti pacchi di pasta e scatolette di carne si sarebbero potute distribuire gratuitamente, alle molte migliaia di bisognosi che vivono nel Lazio, solo con quella parte di denaro pubblico scialacquato dai consiglieri regionali, di ogni colore, in luculliani banchetti a base di ostriche, caviale e champagne.

domenica 23 settembre 2012

Ma quante cavolo di “caste” abbiamo ?


Se ben ricordo, ad identificare i politici italiani come una “casta” sono stati Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella che, nel 2007, hanno pubblicato il loro libro inchiesta dal titolo, appunto, “La Casta”.
Privo di qualsiasi attinenza con il concetto originale di “casta”, sviluppatosi in India con l’induismo, nel linguaggio comune con questo termine si è soliti identificare un gruppo sociale, circoscritto, che goda di privilegi e guarentigie.
Rizzo e Stella, autorevoli esponenti del giornalismo italiano, con il loro libro intesero evidenziare come la classe politica, in Italia, avesse assunti gli elementi peculiari di una vera e propria casta.
Il caso vuole che, in questi giorni, gli interventi e gli editoriali di alcuni giornalisti, in difesa di un loro collega, richiamino e tentino di attribuirsi proprio alcune di quelle peculiarità che Rizzo e Stella avevano identificato nella classe politica per arrivare a definirla una casta.
Mi riferisco alle difese che molti giornalisti, e lo stesso ordine di categoria, stanno mettendo in campo contro la eventuale conferma, da parte della Corte di Cassazione, della condanna a 14 mesi di carcere, per “omesso controllo”, inflitta ad un loro collega dalla Corte di Appello di Milano.
Questo loro collega, Alessandro Sallusti, nel 2007 autorizzò la pubblicazione sul quotidiano Libero, di cui a quei tempi era direttore, di un articolo, a firma anonima “Dreyfus”, nel quale dopo aver bollato come “assassini” i genitori, il ginecologo ed il giudice, che avevano autorizzato l’aborto di una ragazza di 13 anni, si concludeva affermando che “se ci fosse la pena di morte  se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso”.
Così, in questi giorni la “casta dei giornalisti” insorge compatta in difesa della libertà di stampa, della libertà di pensiero, della libertà di parola, e via discorrendo.
Farisei ed in mala fede ! Perché tutte le libertà di questo mondo non potranno mai consentire di infamare e calunniare un qualsiasi individuo, e chi lo facesse ne dovrebbe rispondere di fronte alla legge.
Se un comune cittadino litigasse con il vicino di casa ed incontrandolo in strada lo insultasse dandogli dell’assassino, si esporrebbe ad una querela, ad un processo e ad una condanna.
Perché il comune cittadino che diffama deve essere perseguito ed un giornalista no ?
E per il comune cittadino che abbia già subite, in precedenza, altre condanne per reati assimilabili, la legge prevede che non si applichi la condizionale.
Perché, invece, come sostiene in modo avventato Vittorio Feltri, nel caso di un giornalista le condanne precedenti non dovrebbero essere tenute in considerazione dal giudice ?
Come è amaro rendersi conto che oltre alla “casta dei politici” nel nostro Paese esista anche una “casta dei giornalisti” che rivendica il privilegio di poter offendere e diffamare impunemente.
Niente paura, però ! Per evitare la galera, Alessandro Sallusti sarà salvato dall’altra casta, quella politica, che alle prossime elezioni lo candiderà nelle file del PdL, così come è già avvenuto in passato per un altro giornalista, Lino Jannuzzi.

sabato 22 settembre 2012

Dal bunga bunga… al festino dei maiali


È fastidioso doverlo accettare ma nell’ultimo anno le cronache politiche si sono occupate quasi esclusivamente di bunga bunga, tesorieri mariuoli con le mani nelle casse dei partiti, denaro pubblico investito in diamanti, vacanze da sogno, lingotti d’oro e lauree false, scandalo lombardo della sanità, supertangenti in Brianza, corrotti e corruttori, e di altre infamie del genere per arrivare, oggi, a trattare di feste capitoline con travestimento da maiali.
Di politica vera, quella che dovrebbe preoccuparsi del benessere dei cittadini, poco o nulla, anche perché i partiti se la sono data a gambe di fronte alla crisi economica ed hanno mollato il timone del Paese nelle mani di un governo tecnico, impegnato nel far quadrare i conti ma indifferente alle sofferenze che le manovre ragionieristiche avrebbero cagionate soprattutto ai ceti più indifesi della popolazione.
Uno scenario politico desolante che mette in risalto l’incapacità dei partiti ad assumersi responsabilità e ad onorare il mandato che gli elettori hanno affidato loro.
Ma, al cospetto di un Paese in grave difficoltà, sconquassato da una disoccupazione straripante, sempre meno produttivo e sempre più impoverito, che cosa hanno fatto i partiti ?
Non sarebbe corretto, come verrebbe voglia, lasciarsi andare nel rispondere con una sola parola:  nulla.
Perché, infatti, i partiti ed i loro capibastone non sono stati con le mani in mano.
Innanzitutto hanno trascorsa gran parte del loro tempo nel districarsi tra beghe e conflitti interni, non sempre con successo.
Poi, si sono impegnati, in questo si con spirito solidale, nel difendere la Casta ed i suoi privilegi da ogni tentativo, del governo tecnico, di moderare quel fiume straripante di denaro pubblico che i partiti hanno dato prova di usare in modo improprio.
Infine, con il passare dei mesi e l’approssimarsi delle elezioni 2013, i partiti hanno avviate le manfrine, ambigue e fumose, per cercare alleanze ed apparentamenti.
In tutti questi mesi, però, i partiti sono stati:
a.     incapaci di mettere mano alle riforme costituzionali,
b.     abulici di fronte alla riduzione del numero di parlamentari,
c.      maldestri nel trovare l’accordo per una nuova legge elettorale,
d.     riottosi ad approvare la legge anticorruzione,
e.     succubi delle lobbies ogniqualvolta si è trattato di affrontare liberalizzazioni o progetti di riduzioni delle spese.   
E con uno scenario così squallido, nella prossima primavera io dovrei andare alle urne per dare il mio voto a questa masnada di incapaci, parassiti e dilapidatori del denaro pubblico?

venerdì 21 settembre 2012

Il Parlamento … laboratorio della vergogna


Secondo gli storici parlamentari ieri, giovedì 20 settembre 2012, nell’aula del Senato della Repubblica Italiana si è realizzato un evento inimmaginabile, assolutamente sconosciuto fino ad oggi negli oltre 66 anni di vita parlamentare.
All’ordine del giorno c'era la discussione della mozione sulla violenza delle donne ed il Senato aveva iniziati i lavori, regolarmente, presieduti dalla vicepresidente Emma Bonino.
Ad Emma Bonino, che doveva terminare alle ore 11:45 il suo stressante turno di lavoro (di ben 1 ora e 45 primi) avrebbe dovuto subentrare alla presidenza dei lavori un altro vicepresidente, Domenico Nania, del PdL, che però risultava irreperibile.
Nania si presentava in Senato solo alle ore 12:20 adducendo come giustificazione il ritardo dell’aereo da Catania a Roma.
Che fare ?
In soccorso della Bonino interveniva un altro vicepresidente, Rosy Mauro, ex Lega, che però informava l’aula della sua disponibilità a presiedere i lavori solo fino alle ore 12:00, perché aveva un impegno improcrastinabile, recarsi a Fiumicino per saltare su un aereo.
Così alle ore 12:00 i lavori del Senato venivano sospesi ed i senatori erano messi in pausa di ricreazione.
Il Senato riprendeva i lavori dopo circa mezzora quando finalmente raggiungeva l’aula il presidente Renato Schifani che prendeva in mano la situazione.
Cosa altro dire se non sottolineare l’ennesima dimostrazione di spregio che la Casta ha per le istituzioni e per i doveri derivanti dal mandato parlamentare.
Essere presenti in Parlamento e partecipare ai lavori dell’aula è vissuto, dagli appartenenti alla Casta, come un atto facoltativo se non addirittura superfluo.
E’ sufficiente scorrere i dati sull’assenteismo dei parlamentari per rendersi conto che il Popolo Italiano mantiene in Parlamento una banda di mangiaufo che se la spassano grazie a lauti stipendi ed immorali privilegi, mentre milioni di loro concittadini vivono angosciati.
Che cavolo di giustificazione è il ritardo dell’aereo per uno che dovrebbe stare a tempo pieno a Roma quando ci sono i lavori parlamentari, dal momento che percepisce anche una specifca indennità “ad hoc”  ?
E quale impegno può essere così indifferibile ed importante da far passare in secondo piano il dovere istituzionale di presiedere i lavori del Senato ?
Inoltre, essendo giovedì 20 settembre un normale giorno lavorativo, con in calendario una seduta parlamentare, è tollerabile che una senatrice, per di più vicepresidente del Senato, prenoti aerei a suo piacimento sbattendosene di avere doveri ed impegni prioritari come quelli di parlamentare ?
Con quale faccia tosta questa masnada di mangiaufo, incapaci e sfaccendati, si presenterà, nel 2013, agli elettori per elemosinare il loro voto ?

giovedì 20 settembre 2012

Macerie della nostra democrazia


Il Paese è in ginocchio.
Decine di milioni di italiani penano ogni giorno per gli amari effetti di una crisi economica che sembra senza fine.
La disoccupazione è un tornado di fronte al quale c’è incapacità a porre argini.
Non passa giorno che non si abbia notizia di nuove aziende in crisi o della chiusura di imprese di ogni tipo e dimensione.
Eppure, di fronte ad una situazione che si fa di giorno in giorno più angosciante, invece di preoccuparsi del come alleviare le sofferenze degli italiani e di trovare soluzioni alle molte difficoltà che affliggono il Paese, la classe politica fa a gara per presentarsi all’opinione pubblica nel modo più ripugnante possibile.
I partiti, con le loro nomenclature, dimostrano di essere espressione di una concezione della politica marcia dalle radici.
Il politico, a qualsiasi partito-corrente-sottocorrente-combriccola appartenga, chiede il voto agli elettori, non per curare gli interessi e soddisfare i bisogni della collettività, ma per mettere le mani sulle centinaia di milioni di euro che il sistema dei partiti arraffa dalle casse dello Stati.
Belsito… Lusi… Fiorito… sono solo le prime losche figure emerse dal mare di marciume in cui sguazza la Casta con suo gran godimento.
Non bastano i lauti stipendi, i vitalizi, gli immorali privilegi, le auto blu, e via dicendo.
No ! La Casta non si accontenta mai, si impadronisce del denaro pubblico per organizzare festini in maschera, comprare lauree fasulle in Albania, concedersi vacanze da nababbi, assicurarsi ville da sogno, banchettare ad ostriche e champagne, etc. alla faccia degli elettori che sono costretti a tirare la cinghia ed a rinunziare anche al necessario.
Una classe politica inetta ed insaziabile, incapace perfino di varare un decreto anticorruzione o una legge elettorale dignitosa, che ha abdicato al ruolo per il quale è stata eletta, consegnando il timone del Paese nelle mani di un governo tecnico, all’ombra del quale continua a dedicarsi alle sue meschine convenienze.  
E questa voracità di potere politico, attraverso il quale arraffare denaro pubblico per arricchirsi, domina le ripugnanti manovre in atto per assicurarsi le poltrone migliori alle prossime elezioni 2013.
A cominciare da quel PdL, che uno sprovveduto, o distratto, Angelino Alfano aveva definito il “partito degli onesti” (e sono certo che in cuor suo non volesse fare dell’ironia).
Turbato dalla indecorosa campagna del tesseramento, con la miracolosa moltiplicazione degli iscritti, colpito dallo “scandalo sanità” della Regione Lombardia, tramortito, oggi, dalla disonestà dei suoi insigni rappresentanti alla Regione Lazio, nell’attesa che Berlusconi sciolga le riserve sulla sua candidatura, il PdL non si preoccupa di attivare una seppur faticosa azione moralizzatrice del partito, bensì pensa solo al come minimizzare e nascondere gli scandali, terrorizzato dall’idea che gli elettori se ne ricordino al momento di votare.
Sull’altra sponda anche il PD non è certo da meno e può sfoggiare i suoi scandali, disseminati qua e là, anche se la palma del più fragoroso spetta a quello che ha coinvolto Filippo Penati, gìa sindaco di Sesto San Giovanni, già presidente della Provincia di Milano, già vicepresidente del Consiglio regionale Lombardia, ma soprattutto braccio destro e fidatissimo di Pier Luigi Bersani.
In questi giorni il PD non deve preoccuparsi di tamponare le falle di nuovi scandali, tuttavia il sogno che Pier Luigi Bersani cova da tempo, cioè potersi accomodare a Palazzo Chigi, dovrà passare sotto le forche caudine delle primarie e superare i non pochi dissapori interni al partito.
Tra questi dissapori, quasi tutti originati dallo stato confusionale in cui da sempre vive politicamente Bersani, c’è anche l’ipotizzata alleanza con Vendola che continua ad assumere posizioni incompatibili, e non poco, con quella che dovrebbe essere la linea poitica del PD.
Non godono certo di migliore salute, dal punto di vista morale, né la Lega né l’IdV.
Di fronte allo scenario delle macerie della nostra democrazia, provocate da questa classe politica, perché sorprendersi se i sondaggi continuano a rilevare che oltre il 50% dell’elettorato è formato da astensionisti, dai non voto e da indecisi ?