domenica 23 settembre 2012

Ma quante cavolo di “caste” abbiamo ?


Se ben ricordo, ad identificare i politici italiani come una “casta” sono stati Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella che, nel 2007, hanno pubblicato il loro libro inchiesta dal titolo, appunto, “La Casta”.
Privo di qualsiasi attinenza con il concetto originale di “casta”, sviluppatosi in India con l’induismo, nel linguaggio comune con questo termine si è soliti identificare un gruppo sociale, circoscritto, che goda di privilegi e guarentigie.
Rizzo e Stella, autorevoli esponenti del giornalismo italiano, con il loro libro intesero evidenziare come la classe politica, in Italia, avesse assunti gli elementi peculiari di una vera e propria casta.
Il caso vuole che, in questi giorni, gli interventi e gli editoriali di alcuni giornalisti, in difesa di un loro collega, richiamino e tentino di attribuirsi proprio alcune di quelle peculiarità che Rizzo e Stella avevano identificato nella classe politica per arrivare a definirla una casta.
Mi riferisco alle difese che molti giornalisti, e lo stesso ordine di categoria, stanno mettendo in campo contro la eventuale conferma, da parte della Corte di Cassazione, della condanna a 14 mesi di carcere, per “omesso controllo”, inflitta ad un loro collega dalla Corte di Appello di Milano.
Questo loro collega, Alessandro Sallusti, nel 2007 autorizzò la pubblicazione sul quotidiano Libero, di cui a quei tempi era direttore, di un articolo, a firma anonima “Dreyfus”, nel quale dopo aver bollato come “assassini” i genitori, il ginecologo ed il giudice, che avevano autorizzato l’aborto di una ragazza di 13 anni, si concludeva affermando che “se ci fosse la pena di morte  se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso”.
Così, in questi giorni la “casta dei giornalisti” insorge compatta in difesa della libertà di stampa, della libertà di pensiero, della libertà di parola, e via discorrendo.
Farisei ed in mala fede ! Perché tutte le libertà di questo mondo non potranno mai consentire di infamare e calunniare un qualsiasi individuo, e chi lo facesse ne dovrebbe rispondere di fronte alla legge.
Se un comune cittadino litigasse con il vicino di casa ed incontrandolo in strada lo insultasse dandogli dell’assassino, si esporrebbe ad una querela, ad un processo e ad una condanna.
Perché il comune cittadino che diffama deve essere perseguito ed un giornalista no ?
E per il comune cittadino che abbia già subite, in precedenza, altre condanne per reati assimilabili, la legge prevede che non si applichi la condizionale.
Perché, invece, come sostiene in modo avventato Vittorio Feltri, nel caso di un giornalista le condanne precedenti non dovrebbero essere tenute in considerazione dal giudice ?
Come è amaro rendersi conto che oltre alla “casta dei politici” nel nostro Paese esista anche una “casta dei giornalisti” che rivendica il privilegio di poter offendere e diffamare impunemente.
Niente paura, però ! Per evitare la galera, Alessandro Sallusti sarà salvato dall’altra casta, quella politica, che alle prossime elezioni lo candiderà nelle file del PdL, così come è già avvenuto in passato per un altro giornalista, Lino Jannuzzi.

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