giovedì 31 gennaio 2013

Huffington Post e la censura



Ieri su Huffington Post (Gruppo l’Espresso) è stato pubblicato l’articolo dal titolo: “Fiat, Sergio Marchionne a Grugliasco accolto tra gli applausi della FIOM, ribadisce ‘Non rientreremo in Confindustria’”.
Il corrispondente riferiva dell’inaugurazione dello stabilimento Maserati di Grugliasco, Gruppo FIAT, dedicato alla produzione di automobili di fascia alta per concorrere nel segmento lusso, dal quale FIAT è assente.
Dopo sei anni di traversie varie e di inattività, finalmente lo stabilimento ex Bertone riprende la sua attività produttiva con l’obiettivo di riassorbire, progressivamente, i lavoratori ex Bertone, da molti anni in cassa integrazione.
Tra i primi 500 lavoratori impiegati sono presenti moltissimi iscritti alla FIOM.
Il contratto di lavoro è lo stesso dei loro colleghi di Melfi, il cosiddetto "contratto Marchionne" non sottoscritto da CGIL e FIOM.
Poiché l’evento è stato salutato da scroscianti applausi di tutti i 500 lavoratori, felici di avere riottenuto un posto di lavoro, ho voluto postare un commento, in calce all’articolo, come si è usi fare in Huffington Post.
Tutti i commenti, com’è ovvio, prima di essere pubblicati passano al vaglio della redazione di HP.
Non era la prima volta che postavo commenti in HP ma, oggi, ho dovuto confrontarmi con una sgradevole sorpresa: la censura !
Evidentemente, per la redazione di HP ci sono argomenti ed opinioni da censurare perché, presumibilmente, non in linea con le simpatie politiche e sindacali dei redattori.
Questo è il testo del commento censurato e non pubblicato.
“Prendo in prestito, da Antonio Lubrano, la sua frase tormentone ‘a questo punto sorge spontanea una domanda’, per chiedermi se non abbiano ragione i lavoratori della Maserati, iscritti alla FIOM, che hanno ottenuto il loro posto di lavoro anche se contravvenendo agli inviti di Camusso e Landini che, per privilegiare le loro battaglie ideologiche, a volte trascurano gli interessi vitali dei lavoratori.”
È questo un commento fuori luogo ? offensivo ? volgare !

N.B.: Per essere certo che il commento fosse pervenuto alla redazione e non si fosse smarrito nei meandri del Web, non avendolo visto pubblicare, l’ho postato una seconda volta … con lo stesso risultato.

Bersani … il mendicante


Abbandonate le vesti del trionfatore, da qualche settimana Pierluigi Bersani si è abbigliato con le vesti di un questuante.
Dapprima, ha piatito la desistenza di Rivoluzione Civile nel voto per il Senato, in modo da avere maggiori probabilità di ottenere la maggioranza a Palazzo Madama, ed Ingroia gli ha sbattuta la porta in faccia.
Oggi invece, con parole del tutto cervellotiche: “noi abbiamo fatta una proposta civica, loro si chiamano Scelta Civica, chissà che ci pensino”, si rivolge implicitamente a Monti per chiedergli di abbandonare al suo destino Albertini ed appoggiare il candidato PD alla Regione Lombardia, Ambrosoli.
Ora che per la semplice comunanza di una parola, “civica”, possa pensare che Monti ed Albertini rinunzino alla loro proposta politica per favorire il PD, mi sembra frutto di una mente non in buona salute.
Sarebbe un po’ come dire che, se due aziende concorrenti riportano nella loro ragione sociale la dicitura “società per azioni”, una delle due possa chiedere all’altra di stare lontana dal mercato.
L’impressione è che gli ultimi sondaggi, che vedono ridursi il distacco tra centrosinistra e centrodestra, stiano causando a Bersani così tanta strizza da fargli dire e fare cose strampalate.
Non ci sarebbe da stupirsi, perciò, se domani, dopo aver ricevuto anche l’inevitabile fatal rifiuto da parte di Monti, Bersani possa chiedere a Beppe Grillo il suo sostegno per vincere la corsa alla presidenza della Regione Lombardia.
Giorno dopo giorno, man mano che la poltrona di Palazzo Chigi gli appare sempre più difficile da raggiungere, Bersani rischia di scivolare nel ridicolo.
Così come ridicole, d’altra parte, sono le badilate di “non so e se c’ero dormivo” con le quali, Bersani & Co, si affannano a nascondere le magagne del MPS.
Da oltre 20 anni a Siena, in Comune e Provincia, a farla da padrone è il PD, oggi, ed i suoi antenati, prima.
Nella Fondazione MPS il PD ed i suoi antenati, hanno sempre disposto della maggioranza più che assoluta, ed hanno scelti loro i vertici di MPS.
La storiella che fossero solo i rappresentanti locali del PD a gestire i legami con MPS non solo non è credibile, ma appare come uno squallido tentativo di fare lo scaricabarile.
Il vero problema di Bersani, in questa campagna elettorale, è che ha difficoltà a proporre agli elettori i suoi programmi, per cui è costretto a mendicare soccorsi a destra ed a manca.
Infatti, se andasse in TV ad esporre i programmi del PD, quelli che lui ha veramente in testa, finirebbe per dire cose, per non compromettere il matrimonio con Vendola, che infastidirebbero le correnti più centriste e moderate del PD, e dall’altro, per non scontentare questi suoi compagni di partito dovrebbe fare affermazioni indigeste a Vendola.
È contro la sua natura, di persona paciosa e perennemente insicura, doversi esibire, questa volta, come funambolo, senza rete, e camminare su un cavo teso sopra un mare di fanghiglia, evitando di cadere giù e sperando di arrivare fino a Palazzo Chigi.
Se questa volta, dopo aver imbrogliate le carte per sconfiggere Renzi, non dovesse raggiungere il traguardo, per Bersani si celebrerebbe il funerale politico.

mercoledì 30 gennaio 2013

Berlusconi … il fuggitivo


Per gli italiani, almeno per quelli capaci di intendere e di volere, quanto accaduto il 12 novembre 2011, giorno in cui Berlusconi rassegnò le dimissioni nelle mani del Capo dello Stato, può essere sintetizzato in 6 parole “Berlusconi è scappato da Palazzo Chigi”.
Sulla base di quali elementi gli italiani possono spingersi fino ad un giudizio così severo?
Anche se sono trascorsi solo 14 mesi da allora, molti protagonisti di quelle giornate devono essere vittime di una grave perdita della memoria se sono arrivati perfino ad accusare il Presidente della Repubblica di aver “sospesa la democrazia”.
Questi poveri smemorati si sono dimenticati, o fanno finta, che Berlusconi è salito al Quirinale con le sue gambe, non trascinato a furor di popolo, né tantomeno da un drappello di corazzieri.
Martedì 8 novembre 2011, dopo che il Rendiconto Generale dello Stato era stato approvato, dalla Camera, con soli 308 voti, Berlusconi, preso atto che oramai la sua maggioranza aveva palesemente il fiato corto, era corso al Quirinale per anticipare al Capo dello Stato la sua decisione di dimettersi.
Il fatto più significativo, però, avviene tre giorni dopo, cioè venerdì 11 novembre.
Infatti, poche ore prima che Berlusconi salisse al Quirinale per rassegnare le dimissioni, la Camera aveva approvata la legge di stabilità che recepiva, nel suo testo, i provvedimenti relativi agli impegni che il governo Berlusconi aveva assunti con l’UE.
Era stata proprio la consapevolezza che il rispetto degli impegni, presi con l’UE, avrebbe comportato un lavoro ingrato ed impopolare, a suggerire a Berlusconi di scappare da Palazzo Chigi.
Era dal 5 agosto 2011, infatti, che Berlusconi, dopo aver ricevuta la lettera con i diktat indicati dalla BCE, stava rimuginando come sottrarsi agli impegni da lui stesso presi.
D’altra parte, dopo 3 mesi nessuno degli impegni assunti con l’UE, dal governo Berlusconi, era stato portato a compimento, nonostante la BCE avesse scritto: “vista la gravità dell’attuale situazione sui mercati finanziari, consideriamo cruciale che tutte le azioni elencate siano prese il prima possibile per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare entro la fine di settembre 2011”.
Sono, o no, equiparabili ad una vera e propria fuga dagli impegni da lui stesso assunti, in sede europea, le dimissioni rassegnate da Berlusconi l’11 novembre 2011 ?
Le parole che ha pronunciate ieri Olli Rehn, Commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari, nel corso di un’audizione all’Europarlamento, si riferivano perciò solo a fatti reali quando ha affermato: “dopo le promesse dell’estate per permettere l’intervento della BCE, il governo Berlusconi decise di non rispettare più gli impegni assunti”.
Che cosa abbia da sbraitare l’ex ministro Brunetta, contro le parole di Rehn, è davvero incomprensibile, a meno che Brunetta non dica di essere anche … corto di memoria e di non ricordare più cosa sia successo, tra il 5 agosto e l’11 novembre 2011, nelle stanze del governo Berlusconi dove lui bivaccava.

martedì 29 gennaio 2013

Il più grave errore di Mario Monti


Mario Monti, tra qualche anno, forse si renderà conto di aver commesso un grave errore, e si rammaricherà di non poter cancellare dal suo curriculum una data, quella del 16 novembre 2011.
Un errore che cercherà di giustificare a se stesso e di scoprirne i perché.
Può darsi che lo abbia commesso per soggezione, per un eccesso di rispetto nei confronti di Giorgio Napolitano, che lo chiamava ad assumere il ruolo di premier di un nuovo governo a termine.
Oppure, per l’ambiziosa speranza di poter aiutare il Paese, salvandolo dal precipizio in cui Berlusconi lo stava portando.
Od ancora, perché mal consigliato dai circoli internazionali che intravedevano e temevano un default dell’Italia, dopo quello della Grecia.
Forse anche perché, vivendo a lungo all’estero, non si era reso conto del torpore cerebrale che, da 20 anni, aveva contaminato molti italiani.
Fatto sta che, tra qualche anno, Mario Monti comprenderà che avrebbe fatto bene a rifiutare il mandato per un governo precario, sostenuto da una maggioranza patchwork e litigiosa.
Prima o poi, Monti si renderà conto che avrebbe dovuto insistere con il Presidente della Repubblica affinché lasciasse che il governo Berlusconi completasse il disastro finanziario ed economico del Paese, anche per non concedergli più alibi e spazi di riesumazione.
D’altra parte, gli italiani più consapevoli avevano ben compreso che, in quel momento, dopo essere giunto fino a novembre senza aver eseguito nessuno dei diktat, decretati fin dal 5 agosto dalla BCE, Berlusconi non cercasse altro che qualcuno al quale dire “vai avanti tu che a me viene da ridere” ed affibbiargli tutto il lavoro sporco ed impopolare da fare.
Che ne sarebbe stato dell’Italia ?
Con molte probabilità sarebbe stata commissariata come la Grecia, sottomessa ad incalzanti controlli da parte di una troika che, con fermezza, avrebbe imposte all’Italia scelte molto dure.
La classe politica, tutta, ne sarebbe uscita con la coda tra le gambe, si sarebbe ricorso ad elezioni anticipate per formare un “governo di salute pubblica a sovranità limitata”.
Molti italiani non avrebbero capito cosa stesse succedendo.
Giorno dopo giorno, però, con la disoccupazione in salita verticale, il taglio di salari e pensioni, la falcidia dei dipendenti pubblici, etc., anche gli italiani più ottusi si sarebbero resi conto in quale precipizio il governo Berlusconi avesse portata l’Italia.
Solo allora il popolo italiano avrebbe aperti gli occhi, finalmente, e si sarebbe ribellato, prendendo a calci politici e politicanti, spazzando via ogni tipo di casta e corporazione, mettendo alla gogna corrotti e corruttori, ladri e ladruncoli di stato e di banca, dando il via ad un radicale e salutare rinnovamento della società e della politica.
Invece, per colpa di Monti e del suo sventurato errore, oggi siamo ancora costretti a sorbirci una campagna elettorale infestata dalle solite facce, che vogliono farci credere di essere sbarcati da Marte solo qualche giorno fa, che ripropongono le fandonie che ci propinano da anni, che fanno finta di aver data una ripulita alle liste, che pensano di potersi presentare nell’agone elettorale come verginelle, perché tanto la rovina dell’Italia è colpa soltanto degli undici mesi del governo Monti.
La vera calamità, purtroppo, è che i sondaggi sembrano dare ragione a loro, porca miseria !

lunedì 28 gennaio 2013

Con Berlusconi, al peggio non c’è mai fine


Quando i fratelli Grimm scrissero la favola “La bella addormentata nel bosco” sicuramente non avrebbero immaginato che, dopo due secoli, si sarebbe preso in prestito il titolo della loro fiaba per riadattarlo in “Lo sgradevole vecchietto addormentato nella sala”.
Gli sconcertanti sonnellini che Berlusconi si concede nelle occasioni ufficiali sono così frequenti che non fanno più notizia, anche se i paparazzi continuano a fotografarli maliziosamente.
È accaduto anche ieri, a Milano, nel corso della commemorazione della Giornata della Memoria.
Poiché, poche ore prima Berlusconi, commentando la vicenda MPS, aveva dichiarato al TG 1 “Se la sinistra non è in grado di gestire una banca non può certo gestire il Paese”, c’è da chiedersi, invece, come possano gli italiani affidare il loro Paese nelle mani di un individuo perennemente addormentato.
Il peggio di sé, però, Berlusconi lo dà non mentre dorme … ma quando parla.
Ieri, in tutto il mondo si celebrava la Giornata della Memoria, per ricordare la tragedia della Shoah, e Berlusconi ha voluto dire la sua.
Destatosi, forse di soprassalto, dalla pennichella che stava facendo nella sala della celebrazione, Berlusconi si è rivolto ai giornalisti ed ha dichiarato: “Il fatto delle leggi razziali è stata la peggiore colpa di un leader, Mussolini, che per tanti altri versi invece aveva fatto bene”.
Non cita Mussolini come dittatore, ma come leader, e già questo la dice lunga sull’aberrante pensiero di Berlusconi !
Comunque, erano la circostanza e la sede meno opportune per pronunciare parole così dissennate che, peraltro, rivelano la sua crassa ignoranza della storia italica.
Che Berlusconi da sempre, fin dalla sua discesa in campo, vagheggi di ricalcare le orme di Mussolini e di trasformare la democrazia in un nuovo fascismo, non è un mistero.  
Ne sono prova le cose che dice, i suoi modi di agire, la sua avversione per chi applica le leggi, il suo cesarismo nel PdL, il culto della personalità che ha inculcato nei suoi lacchè.
Non si è ancora fatto fotografare a dorso nudo in mezzo ad un campo di grano, solo perché non ha le phisique du role.
Vorrebbe sostituire il borsalino con un fez nero, ornato con lo stemma “B”, ma teme per la sua capigliatura posticcia.
Sarà interessante, nelle prossime ore, osservare le reazioni dei vertici del Partito Popolare Europeo che, certamente, non potranno ignorare queste parole di Berlusconi così antitetiche ai principi della democrazia.

domenica 27 gennaio 2013

Incognite della campagna elettorale


Mancano 29 giorni all’apertura dei seggi e la campagna elettorale si fa incandescente.
Il clamore, suscitato dagli eventi del Monte dei Paschi, rischia di rimescolare le carte e di infiammare una campagna elettorale anestetizzata dai discorsi, triti e ritriti, di un Berlusconi che da troppi giorni occupa la scena.
Le prime avvisaglie del repentino cambiamento sia di protagonisti che di intensità balzano evidenti già in queste ore.
In questi ultimi 29 giorni, le indicazioni dei sondaggi potrebbero essere stravolte, anche per l’emergere di fatti, al momento imprevedibili, in grado però di incidere sul risultato delle urne.
Ad esempio, nelle ultime ore, nel centrodestra è scoppiato il caso delle firme false, scoperte dalla Procura di Lodi nella circoscrizione Lombardia 3, a sostegno della lista “La Destra” di Storace.
Se è vero che, oltre alle 500 firme false, la Digos ha sequestrati anche 83 timbri contraffatti, relativi a giudici di pace di Comuni non solo lombardi e ad uffici del Tribunale di Milano, c’è il rischio che una delle liste che formano il variopinto trenino del centrodestra, faccia mancare la sua stampella alla coalizione.
Se così fosse è facile prevedere che Berlusconi non perderà l’occasione per prendersela con la magistratura comunista.
Berlusconi andrà in TV e sosterrà che la solita magistratura comunista non aveva alcuna ragione per sequestrare firme false e timbri contraffatti, perché non c’è nulla di male a falsificare la firma di un giudice di pace o di un ufficio del Tribunale.
Nel centrosinistra, invece, cresce giorno dopo giorno la fibrillazione e non solo per il pasticciaccio del Monte dei Paschi.
Infatti, Bersani da giorni è sotto attacco, oltre che da parte di Monti, soprattutto da parte di Ingroia che, collocatosi più a sinistra del PD e di SEL, cerca di risucchiare i voti degli elettori più radicali.
A Bersani non sarà sfuggito, infatti, che la combattività di Ingroia abbia già prodotto qualche primo effetto se è vero che, nelle prime settimane del 2013, la coalizione di centrosinistra è passata dal 42,9% al 38,1%, perdendo 4,8 punti, mentre Rivoluzione Civile di Ingroia, dal 29 dicembre 2012 data della sua discesa in campo, ha già conquistato il 4,5%.
Alfano, dal canto suo, non nasconde la soddisfazione per la flessione del centrosinistra, e si avventura perfino a sognare il sorpasso, credulo dei sondaggi taroccati che gli rifila ogni giorno Alessandra Ghisleri, la sondaggista di fiducia di Berlusconi.
Eppure, i principali istituti di ricerca posizionano stabilmente, oramai da settimane, il PdL tra il 18% ed il 20%.
Nella bagarre elettorale, da alcuni giorni, è comparso anche Mario Monti che, pur senza abbandonare il suo aplomb british, ha incominciato comunque a menare fendenti a destra ed a sinistra.
Dai primi interventi del Professore si ha l’impressione che il suo obiettivo principale, almeno in questa fase, sia quello di mettere precisi paletti per prendere le distanze da Vendola, Berlusconi e Bersani, troppo condizionato da CGIL.
A 29 giorni dalla apertura dei seggi, però, dalla campagna elettorale continuano a essere assenti proposte e programmi per superare la crisi che sta affliggendo il nostro Paese.
Se continuerà così gli elettori saranno costretti a votare non “per” questa o quella formazione politica, ma “contro”… ed è quello che vuole Grillo ed il M5S.

sabato 26 gennaio 2013

Monte dei Paschi, da angoscia a cagnara


Anche di fronte alle grevi ed inquietanti notizie sulla situazione del Monte dei Paschi, la classe politica non ha saputo evitare di dare la ennesima prova di  insipidezza ed ipocrisia. 
È vero che questi sono giorni di campagna elettorale, però ci si attenderebbe da tutta la classe politica, senza distinzione di colore, maggiore compostezza e serietà nel commentare avvenimenti che sono fonte di preoccupazione non solo per quei risparmiatori che hanno affidati a MPS i loro gruzzoletti.
A chi ha avuto modo di operare in Toscana, anche occasionalmente, non può essere certamente sfuggita la rilevanza di MPS sull’economia senese, ma ancor più l’influenza della politica nell’orientare i rapporti tra MPS e l’economia locale.
A Siena, sia a livello provinciale che comunale, da decenni sono insediati esponenti di centrosinistra, oggi identificabile nel PD, che annovera, nel consiglio della Fondazione MPS, 16 dei 19 membri.
Ad ulteriore conferma dei saldi legami tra MPS e PD, sulla poltrona di sindaco di Siena, negli ultimi 30 anni, si sono succeduti solo ex-funzionari di MPS, già segretari locali di CGIL bancari.
Ora, poiché è improbabile ed inverosimile che i dirigenti senesi del PD non si siano confrontati con i vertici romani del partito sulle scelte da fare e sulle decisioni da prendere nei rapporti con MPS, Bersani si va coprendo di ridicolo quando, nel disperato tentativo di tirarsi fuori dal casino MPS, dichiara “le banche fanno le banche, il PD fa il PD”.
Bersani, con queste parole, si dimostra, tra l’altro, anche poco generoso nei confronti dei dirigenti senesi del PD, sui quali sembra scaricare lo scandalo MPS.
Certo, non è questo il primo scandalo provocato dalle scellerate commistioni tra politica e sistema bancario.
Ad esempio, nel 2000, Umberto Bossi affidò al leghista Gian Maria Galimberti l’incarico di creare la banca della Lega, dapprima denominata Banca Popolare CrediNord e poi CredieuroNord, che nelle intenzioni dei vertici leghisti avrebbe dovuto far tremare il sistema bancario italiano.
Passarono meno di 4 anni e, nel 2004, la Banca Popolare di Lodi dovette intervenire per il salvataggio di CredieuroNord, dopo che un’ispezione di Bankitalia, nel 2003, aveva rilevate gravi disfunzioni gestionali.
I vertici di CredieuroNord, tra cui il vicepresidente Gian Maria Galimberti, nel 2006 furono condannati al risarcimento di 3 milioni di euro.
Ritorniamo, però, a MPS.
Come poteva una bomba del genere non essere strumentalizzata in campagna elettorale ?
Così, politicanti delle diverse formazioni in campo, da PdL a Lega, da Rivoluzione Civile a Fratelli d’Italia, sono subito saltati sulla notizia per attaccare da un lato Bersani ed il PD e, dall’altro, Monti.
Delle responsabilità del PD si è già detto, per cui soffermiamoci sugli addebiti mossi a Monti ed al suo governo.
Il primo addebito è di aver regalati a MPS, per il suo salvataggio, 3.9 miliardi di euro, pari a quelli incassati con l’IMU sulle prime case.
Incominciamo con dire che non si tratterebbe di un “regalo”, bensì di un “prestito oneroso”, per il quale MPS pagherebbe allo Stato un interesse del 10%, cash o in azioni.
Del “prestito”, comunque, non è stato erogato neppure un euro  perché il Ministero attende che l’Assemblea degli azionisti MPS accetti le condizioni imposte dal governo Monti.
Inoltre, nei 3.9 milioni di euro è compreso il prestito di 1.9 miliardi di euro, concesso ed erogato nel febbraio 2009 dal governo Berlusconi con i “Tremonti-bond”, per cui, di fatto, il prestito concesso dal governo Monti sarebbe di 2.0 miliardi di euro.
Quindi PdL e Lega non hanno alcun titolo per vestire i panni di accusatori, dal momento che Berlusconi e Tremonti, molto prima di Monti, avevano già concesso il “prestito” di 1.9 milioni di euro a MPS.
La seconda accusa, mossa al governo Monti, è di non essere intervenuto per prevenire la crisi MPS.
Siamo ad una vera e propria manipolazione ridicola della realtà.
Dall’11 maggio al 6 agosto 2010, sotto il regno di Berlusconi e Tremonti, Bankitalia condusse una visita ispettiva a MPS che si concluse con un rapporto nel quale si parlava di “rilevanze sfavorevoli”, “azione incerta dei comitati interni e poca incisività del comitato rischi”, “risk management non riscontra le valorizzazioni dei fondi hedge e di private equità, né le posizioni detenute dalle controllate estere”.
Di fronte a questi pesanti rilievi cosa ha fatto l'allora ministro Tremonti ?

venerdì 25 gennaio 2013

Maroni al Pirellone e Berlusconi a Palazzo Chigi


Flavio Tosi, sindaco di Verona, indubbiamente è uno dei pochi rappresentanti leghisti che si è guadagnato un buon credito di affidabilità, avendo dimostrato, pur se condizionato dal suo ruolo politico, di non parlare a vanvera.
Tosi nei giorni scorsi in un’intervista al quotidiano “La Stampa”, accennando all’accordo che Maroni e Berlusconi hanno stretto, in vista delle prossime elezioni politiche, ma soprattutto della corsa alla presidenza della regione Lombardia, ha dato per scontato che “passate le elezioni ognuno va per la sua strada, salvo l’ipotesi, francamente improbabile, che si vinca”.
Ora, è molto probabile che Tosi sia tra i pochissimi leghisti a conoscere i veri contenuti del “patto marosconi” per cui, se si è lasciato andare ad un’affermazione così chiara, è lecito supporre che nel contratto matrimoniale, tra Lega e PdL, siano già previste data e modalità del futuro divorzio.
Si sarebbe trattato, quindi, solo di un matrimonio per rozzi interessi che non imporrebbe neppure l’obbligo di fingere la convivenza.
Quali, però, gli interessi, così determinanti, da obbligare ad una unione artefatta ?
Dal canto suo, Maroni era consapevole che il sogno di accomodarsi alla scrivania più importante del Pirellone sarebbe stato assolutamente irrealizzabile senza l’appoggio del PdL.
Berlusconi, invece, era certo che, in Lombardia ed in Veneto, il PdL non avrebbe avuta alcuna speranza di sottrarre al PD quei seggi che la nefanda legge elettorale assegna come premio di maggioranza, per il Senato, senza un patto con la Lega.
Per Maroni, però, l’ostacolo da superare, prima di stringere qualsiasi accordo con il PdL, era la forte contrarietà, di larga parte della dirigenza e della base leghista, a partecipare ad una colazione il cui candidato premier fosse ancora Berlusconi.
Ma, l’attrazione di Maroni verso il Pirellone, e la frenesia di Berlusconi nell’impedire che il PD possa avere la maggioranza anche al Senato, erano così incombenti da convincere i due a trovare una via d’uscita, a qualunque costo.
Si trattava, in pratica, di trovare il modo per vendere alla base leghista un eventuale accordo, evitando che la Lega dilapidasse il suo consenso elettorale.
Dopo un fasullo tira e molla, durato giorni e giorni, finalmente si è arrivati all’annuncio pomposo di “habemus papam”, diffuso nell’etere dallo stesso Berlusconi.
Tutto alla luce del sole ?
Probabilmente no, se vogliamo dare credito alle parole di Flavio Tosi.
Ad esempio, la scelta di non indicare il nome del candidato premier, ma di rinviarne l’indicazione solo dopo le urne, dovrebbe far sorgere qualche dubbio.
Verosimilmente, resosi conto che la sua candidatura a premier non sarebbe stata digerita dalla base leghista, Berlusconi, pur di avere la chance di raggiungere il pareggio al Senato, si è rassegnato al ruolo di federatore della coalizione.
Ai leghisti Maroni ha potuto favoleggiare, così, di averla avuta vinta sul candidato premier e di aver fatto accettare, al PdL, che il 75% delle tasse pagate dai lombardi resteranno in Lombardia.
La Lega sembrerebbe non aver subiti eccessivi contraccolpi, mentre le possibilità, per Maroni, di ottenere la presidenza della Lombardia sono invece lievitate moltissimo.
Berlusconi, quasi certamente, otterrà in Lombardia ed in Veneto il premio di maggioranza al Senato, con i relativi seggi in regalo e nell’eventualità che la coalizione vincesse le elezioni, sarà il PdL, come partito maggiore, ad indicare Berlusconi come premier, facendosi beffe della buona fede dei poveri leghisti che hanno creduto a Maroni.
L’ipotesi che possa essere Alfano il candidato premier è una panzana colossale, dal momento che gli manca “quel quid”, come ha detto Berlusconi.
Forse, anche per questo Tosi prevede che, dopo le elezioni, ognuno andrà per la propria strada.

giovedì 24 gennaio 2013

Denigrare Monti per attaccare l’Europa


Quando lunedì sul Financial Times è stato pubblicato, a firma dell’editorialista tedesco Wolfgang Munchau, un articolo dal titolo molto netto: “Why Monti is not the right man to lead Italy” (Perché Monti non è l’uomo giusto per guidare l’Italia), era impossibile non rimanere sorpresi.
Come mai il Financial Times, tra i più autorevoli organi di stampa degli ambienti finanziari, non solo inglesi, attacca così direttamente Mario Monti, che è accusato da più parti, almeno in Italia, di essere portatore proprio delle istanze dei poteri finanziari internazionali ?
Ad accrescere la sorpresa anche il ricordo che, sulle stesse pagine del Financial Times, pochi mesi prima, il più autorevole dei suoi columnist, Philip Stephens, aveva firmato un pezzo, dal titolo indicativo: “Europe rests on Monti’s shoulders” (L’Europa si appoggia sulle spalle di Monti), affermando che, grazie a Monti “…l’Italia è tornata al centro della scena europea e mondiale”, e che “…anche Barack Obama fa apertamente il tifo per lui”.  
Come non carezzare, a questo punto, il dubbio che, nel pensiero di Munchau, “gatta ci covi” ?
Un dubbio confermato poi dal confronto delle diverse prospettive, di Stephens e Munchau, nel valutare Monti ed il suo operato, confronto dal quale emerge la palese contrapposizione dei loro punti di vista.
Stephens apprezzava, nel suo editoriale, l’impegno di Monti sia nel ridare voce all’Italia nei consessi europei e mondiali, dopo anni di emarginazione, sia nel far valere il peso dell’Italia nelle decisioni dell’Europa.
Munchau, dal canto suo, interpretando lo spirito antieuropeo di gran parte degli inglesi, sembra mosso dal timore che un rinvigorito contributo dell’Italia e di Monti possa, invece, rafforzare quell’Europa alla cui affermazione Londra ha sempre guardato con preoccupazione.
La prospettiva, cioè, che il peso dell’Italia possa rinsaldare i progetti europeistici di Germania e Francia, per Munchau sembra essere fonte di inquietudine.
Non potendo rivelare al mondo, per opportunismo, le sue inclinazioni antieuropee, a Munchau non restava altro che denigrare Monti, criticandone l’operato solo a livello nazionale.
A sorprendere e lasciare perplessi, infatti, è che Munchau, affermato editorialista, si sia limitato a citare gli effetti del lavoro svolto da Monti, nei suoi undici mesi di governo, senza alcun riferimento alle difficoltà in cui si dibatteva l’Italia al momento del suo insediamento, ma soprattutto senza analizzarne obiettivi, processi e vincoli.
Solo frutto di superficialità oppure il suo scopo era altro ?
Sta di fatto, e la coincidenza temporale può darsi che sia del tutto casuale, che l’editoriale di Munchau ha preceduto di sole 48 ore il discorso di David Cameron, nel corso del quale il premier ha promesso agli inglesi che, se sarà rieletto nel 2015, indirà un referendum per decidere della permanenza, o meno, dell’Inghilterra nell’Unione Europea.
È evidente, infatti, che se nel 2015 l’Unione Europea risultasse rafforzata e più integrata, grazie ad una maggiore intesa politica ed economica, tra Italia, Germania e Francia, per l’Inghilterra l’uscita dall’Europa potrebbe risultare ancora più svantaggiosa.

mercoledì 23 gennaio 2013

26 febbraio 2013 … un incubo di fantapolitica !


Mettiamoci comodi, chiudiamo gli occhi, e tormentati dall'incubo della fantapolitica lasciamo che la immaginazione ipotizzi quello che, martedì mattina 26 febbraio 2013, al nostro risveglio dopo una notte trascorsa a seguire exit poll e proiezione, potrebbe essere il nuovo scenario politico.
In Lombardia, Ambrosoli l’ha spuntata su Maroni con uno scarto solo dello 0,75%, tanto è vero che fin dalle loro prime dichiarazioni Berlusconi e Calderoli già ieri sera parlavano di brogli e chiedevano un nuovo conteggio delle schede nulle.
Nel Lazio, Zingaretti ha stracciato di oltre 10 punti percentuali Storace, per cui nessuna accusa di brogli e nessun riconteggio di schede.
C’è gran casino, invece, per quel concerne il risultato delle elezioni politiche nazionali.
Con il 32% dei voti, il Centrosinistra è riuscito ad aggiudicarsi la maggioranza del 55% dei seggi alla Camera, grazie a quella porcata della legge elettorale.  
Il Centrodestra non è andato oltre il 29%, mentre il Centro Montiano è “salito” fino al 18%.
Significativo, anche se inferiore alle attese, il risultato del M5S che, a livello nazionale si è assestato sotto il 13%, mentre Rivoluzione Civile di Ingroia ha superato di poco il 4%.
Preoccupanti, invece, sono i problemi di governabilità che pone la composizione del Senato.
Poiché il Centrodestra ha vinto in Veneto ed in Lombardia, la presenza del Centrosinistra al Senato si è fermata a 154 seggi.
Ma al Senato, per avere la maggioranza occorrono almeno 158 seggi!
Ancora una volta ! Siamo al dejà vu del governo Prodi 2006, anzi peggio !
Nessuno vorrebbe trovarsi, in queste ore, nei panni di Bersani che continua a ripetere a chi gli è vicino: “ma ragassi … che scherso da preti è questo ?”.
Infatti, dopo una campagna elettorale durante la quale tra Centrosinistra e Rivoluzione Civile c’è stata una contrapposizione che, con eufemismo potremmo definire vivace, l’idea di bussare alla porta di Ingroia per chiedere l’appoggio dei suoi 5 senatori, per Bersani sarebbe una pena, come bere un boccale di birra calda.
Peraltro, dato e non concesso che Ingroia acconsentisse, Bersani si troverebbe a capo di un governo condizionato fortemente dalla sinistra più radicale (SEL, Rivoluzione Civile, Fassina con i giovani turchi PD).
Non solo, ma anche con 159 senatori, la vita del governo traballerebbe di continuo, perché sarebbe sufficiente il mal di pancia od il raffreddore di uno o due senatori perché il governo si ritrovasse in minoranza.
Certo, ci sarebbe sempre la possibilità di lanciare un SOS ai 39 senatori Montiani ma, anche se accettassero e non chiedessero in cambio Palazzo Chigi, il loro appoggio scardinerebbe la coalizione di Centrosinistra che si è presentata agli elettori.
E poi, lo spread come reagirà nei prossimi giorni ?
Porca miseria, sta a vedere che ci toccherà tornare alle urne in autunno.

martedì 22 gennaio 2013

Ghedini e Longo sono … latitanti


Chiariamo subito, a scanso di equivoci, che i due avvocati di Berlusconi non hanno nulla a che vedere né con gli “impresentabili” del PdL e neppure con il latitante Fabrizio Corona, ma semplicemente loro si sono dichiarati irreperibili, fino al 26 febbraio, perché essendo candidati PdL sarebbero impossibilitati a partecipare alle udienze processuali.
Con questa giustificazione fasulla Ghedini e Longo considerano inconciliabili gli impegni della campagna elettorale con la loro attività professionale.
Così, dopo che il Tribunale, giorni fa, aveva respinta la loro istanza di sospendere il processo Ruby, perché l’imputato Berlusconi sarebbe indaffarato a preparare le elezioni, ecco che i due marpioni sono tornati alla carica, con questo nuovo stratagemma dilatorio, minacciando di rimettere il mandato se la Corte non avesse accolta la loro richiesta di sospendere il processo.
Il lampante obiettivo è ancora una volta quello di evitare che il Tribunale giunga a sentenza, a carico dell’imputato Berlusconi, prima delle elezioni politiche.
Questa volta l’hanno spuntata grazie alla benevolenza della Corte che ha modificato il calendario delle udienze, di modo che si arrivi a sentenza solo dopo la consultazione elettorale
Ora, a parte il fatto che ieri, quando hanno presentata la loro richiesta al Tribunale, le liste del PdL non erano state ancora depositate, per cui le candidature di Ghedini e Longo non esistevano ma rappresentavano solo una eventualità, è lecito domandarsi quale sia la coscienziosità deontologica di questi due legali.
Ad esempio, se, per ipotesi, invece di patrocinare Berlusconi, Ghedini e Longo fossero stati i difensori di un povero cristo, rinchiuso nelle patrie galere, avrebbero preteso dal loro assistito di prolungare per oltre due mesi il suo soggiorno in carcere solo perché loro sarebbero stati più interessati alla campagna elettorale che a farlo assolvere ?
Semplicemente scandaloso ed intollerabile !
Tra l’altro, proprio Niccolò Ghedini, già deputato PdL nella legislatura che sta per concludersi, ha dato prova contraria nei cinque anni del mandato parlamentare, dedicandosi più alla sua attività di avvocato che non a quella politica, come dimostra il suo assenteismo, dai lavori parlamentari, che è risultato del 81,21%, un bel record !
Ciò nonostante, però, mentre lui era assorbito dalla sua redditizia professione forense, lo Stato gli liquidava regolarmente i compensi di parlamentare alla faccia di tutti i contribuenti italiani.
E poi c’è ancora chi, con impudenza, osa domandarsi perché i cittadini italiani, nei confronti della classe politica siano così incazzati e disgustati ?
Qualcuno s’illude davvero che sia sufficiente il vago maquillage delle liste elettorali per riconciliare con la politica gli italiani più avveduti ?

lunedì 21 gennaio 2013

La pagliacciata degli “impresentabili”


Folgorati da un improvviso sussulto di moralità, Berlusconi e Bersani si sono accorti solo in questi giorni che, per anni, hanno avuti compagni di viaggio indegni della loro amicizia.
Si potrebbe anche pensare “meglio tardi che mai”, se non si trattasse di un sussulto ignominioso, finalizzato solo ad infinocchiare gli elettori, presentandosi come moralizzatori della politica.
Comportamenti così fasulli da far sganasciare per le risa.
Possibile che per anni, Berlusconi e Bersani abbiano vissuto, a gomito a gomito, con individui disdicevoli senza rendersene conto ?
Possibile che questi individui, solo nelle ultime settimane, siano arrivati a commettere misfatti così gravi da essere messi all’indice ed esclusi dalle liste elettorali ?
Ma dai ! Berlusconi e Bersani chi vogliono prendere in giro ?
È vero, purtroppo, che le vicende degli ultimi venti anni insegnano che i due non faranno fatica a far bere anche queste loro fandonie ai molti gonzi che popolano le nostre contrade.
La verità è che, a seguire il vai e vieni delle indiscrezioni, ci si renda conto che non si tratti di scelte fatte per moralizzare la politica, ma più rozzamente per compiacere le faide che agitano i loro partiti, se è vero che, come ha dichiarato un anonimo dirigente PdL, ci sono “troppe cambiali da pagare, accumulate in questi anni”.
Per questo trovo strabiliante la dichiarazione rilasciata, ieri, da Berlusconi che si è detto in imbarazzo a dover chiedere un passo indietro a tante “persone per bene”, solo perché perseguitate dai magistrati.
E ti pareva che Berlusconi non tirasse fuori la persecuzione da parte della magistratura !
La verità è che, tra queste “persone per bene” c’è, ad esempio, Nicola Cosentino, accusato di collusione con la camorra e di riciclaggio di rifiuti tossici, già due volte salvato dal Parlamento che ha negata l’autorizzazione all’arresto, richiesta dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli.
Ora Cosentino, però, il passo indietro non lo vuole fare assolutamente perché, se perdesse l’immunità parlamentare finirebbe dietro le sbarre.
Un’altra “persona per bene”, che non ha nessuna intenzione di fare un passo indietro, è Alfonso Papa coinvolto nell’inchiesta sulle attività illecite dell’associazione P4; se non altro Papa i suoi 100 giorni dietro le sbarre se li è già fatti.
Altre due “persone per bene” che, invece, hanno deciso di fare un passo indietro sono Marcello Dell’Utri, già condannato in primo grado a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, e  Claudio Scaiola, indagato dalla Procura per quella sua casa romana che sarebbe stata pagata da altri “a sua insaputa”.
E Bersani ? Beh, almeno Bersani si è guardato bene da definire integerrimi i 3 suoi sodali esclusi dalle liste del PD, o da accusare di persecuzione i Magistrati.
Comunque, anche i personaggi, esclusi dalle liste elettorali del PD, non sono proprio irreprensibili.  
Mirello Crisafulli è rinviato a giudizio per abuso d’ufficio (si sarebbe fatto pavimentare a spese della Provincia la strada che porta alla sua villa), Antonio Papania ha patteggiato 2 mesi e 20 giorni di reclusione (per compravendita di posti di lavoro), e Nicola Caputo è indagato (nella inchiesta sui rimborsi erogati dal fondo per la comunicazione).
La vera pagliacciata sta nel fatto che i nomi, sui quali sono stati puntati i riflettori come “impresentabili”, costituiscono solo alcune delle 116 “persone per bene” che siedono nel Parlamento Italiano pur se indagate, o sotto processo, o semplicemente salvate da prescrizione, e sulle quali la scopa moralizzatrice non è passata.

domenica 20 gennaio 2013

Campagna elettorale che mortifica gli italiani


Ormai mancano solo 35 giorni alla apertura dei seggi e, nella campagna elettorale, a predominare è l’assenza di chiare indicazioni sui programmi che le formazioni politiche dovrebbero proporre agli elettori.
È una campagna elettorale rissosa, imbastita con dissertazioni prive di prospettiva politica ma straripanti di livore, e questo a dispetto della preoccupante situazione economica e sociale del Paese.
Da sinistra a destra sembrano dei tarantolati, tutti ossessionati dalla frenesia di scagliare i loro attacchi contro Monti e la sua coalizione, come se il Professore fosse l’unico avversario.
Ed i tarantolati non si rendono conto che, così facendo, portano fieno in cascina per Monti.
A tener banco, infatti, è quasi esclusivamente l’operato del governo tecnico che, come sostengono i politicanti di ogni colore, sarebbe all’origine di tutte le disgrazie dell'Italia.
Si ha quasi l’impressione che sull’Italia, il 16 novembre 2011, si sia abbattuto all'improvviso un ciclone devastante che ha distrutto un paradiso terrestre, nel quale il popolo italico se la godeva in letizia e serenità.
Probabilmente, fino a quella data, molti italiani, ma in particolare la classe politica, hanno vissuto in uno stato di letargo, per decenni, non rendendosi conto di quello che accadeva intorno a loro.
Eppure, proprio ieri, il Presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, intervenendo a Cervia si è detto preoccupato perché dal 2007 il nostro Paese ha persi 7 punti percentuali di PIL, l’attività manifatturiera ha subito un calo del 25%, e l’occupazione si è impoverita di 567.000 posti di lavoro.
Dove erano in questi anni i nostri politicanti ?
Di cosa s’interessavano i nostri governanti ?
Verosimilmente hanno dormito sonni profondi per svegliarsi, di soprassalto, solo nel novembre 2011 quando, colti dal panico, hanno sbolognato il timone del Paese nelle mani di Monti votando, disciplinati, tutti i provvedimenti che il Professore ha sottoposti loro.
La preoccupazione che l’Italia potesse fare la fine della Grecia, ed il rischio di commissariamento che si poteva leggere tra le righe della lettera inviata dalla BCE all’allora premier Berlusconi, il 5 agosto 2011, ha gettata la classe politica nel panico.
Proprio per questo lascia perplessi assistere oggi, al masochismo con cui i politicanti di quella stramba maggioranza patchwork, che ha sostenuto il governo Monti, sconfessino gli stessi provvedimenti votati da loro.
Davvero una deprimente e mortificante campagna elettorale.