Flavio Tosi, sindaco di
Verona, indubbiamente è uno dei pochi rappresentanti leghisti che si è guadagnato
un buon credito di affidabilità, avendo dimostrato, pur se condizionato dal suo
ruolo politico, di non parlare a vanvera.
Tosi nei giorni scorsi
in un’intervista al quotidiano “La Stampa”, accennando all’accordo che Maroni e
Berlusconi hanno stretto, in vista delle prossime elezioni politiche, ma
soprattutto della corsa alla presidenza della regione Lombardia, ha dato per
scontato che “passate le elezioni ognuno
va per la sua strada, salvo l’ipotesi, francamente improbabile, che si vinca”.
Ora, è molto probabile
che Tosi sia tra i pochissimi leghisti a conoscere i veri contenuti del “patto
marosconi” per cui, se si è lasciato andare ad un’affermazione così chiara, è
lecito supporre che nel contratto matrimoniale, tra Lega e PdL, siano già
previste data e modalità del futuro divorzio.
Si sarebbe trattato,
quindi, solo di un matrimonio per rozzi interessi che non imporrebbe neppure l’obbligo
di fingere la convivenza.
Quali, però, gli
interessi, così determinanti, da obbligare ad una unione artefatta ?
Dal canto suo, Maroni
era consapevole che il sogno di accomodarsi alla scrivania più importante del
Pirellone sarebbe stato assolutamente irrealizzabile senza l’appoggio del PdL.
Berlusconi, invece, era
certo che, in Lombardia ed in Veneto, il PdL non avrebbe avuta alcuna speranza
di sottrarre al PD quei seggi che la nefanda legge elettorale assegna come
premio di maggioranza, per il Senato, senza un patto con la Lega.
Per Maroni, però, l’ostacolo
da superare, prima di stringere qualsiasi accordo con il PdL, era la forte contrarietà,
di larga parte della dirigenza e della base leghista, a partecipare ad una
colazione il cui candidato premier fosse ancora Berlusconi.
Ma, l’attrazione di
Maroni verso il Pirellone, e la frenesia di Berlusconi nell’impedire che il PD
possa avere la maggioranza anche al Senato, erano così incombenti da convincere
i due a trovare una via d’uscita, a qualunque costo.
Si trattava, in
pratica, di trovare il modo per vendere alla base leghista un eventuale
accordo, evitando che la Lega dilapidasse il suo consenso elettorale.
Dopo un fasullo tira e
molla, durato giorni e giorni, finalmente si è arrivati all’annuncio pomposo di “habemus papam”, diffuso nell’etere
dallo stesso Berlusconi.
Tutto alla luce del
sole ?
Probabilmente no, se
vogliamo dare credito alle parole di Flavio Tosi.
Ad esempio, la scelta
di non indicare il nome del candidato premier, ma di rinviarne l’indicazione solo
dopo le urne, dovrebbe far sorgere qualche dubbio.
Verosimilmente, resosi
conto che la sua candidatura a premier non sarebbe stata digerita dalla base
leghista, Berlusconi, pur di avere la chance di raggiungere il pareggio al
Senato, si è rassegnato al ruolo di federatore della coalizione.
Ai leghisti Maroni ha
potuto favoleggiare, così, di averla avuta vinta sul candidato premier e di
aver fatto accettare, al PdL, che il 75% delle tasse pagate dai lombardi
resteranno in Lombardia.
La Lega sembrerebbe
non aver subiti eccessivi contraccolpi, mentre le possibilità, per Maroni, di ottenere
la presidenza della Lombardia sono invece lievitate moltissimo.
Berlusconi, quasi
certamente, otterrà in Lombardia ed in Veneto il premio di maggioranza al
Senato, con i relativi seggi in regalo e nell’eventualità che la coalizione vincesse
le elezioni, sarà il PdL, come partito maggiore, ad indicare Berlusconi come
premier, facendosi beffe della buona fede dei poveri leghisti che hanno creduto
a Maroni.
L’ipotesi che possa
essere Alfano il candidato premier è una panzana colossale, dal momento che gli
manca “quel quid”, come ha detto Berlusconi.
Forse,
anche per questo Tosi prevede che, dopo le elezioni, ognuno andrà per la propria
strada.
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