venerdì 25 gennaio 2013

Maroni al Pirellone e Berlusconi a Palazzo Chigi


Flavio Tosi, sindaco di Verona, indubbiamente è uno dei pochi rappresentanti leghisti che si è guadagnato un buon credito di affidabilità, avendo dimostrato, pur se condizionato dal suo ruolo politico, di non parlare a vanvera.
Tosi nei giorni scorsi in un’intervista al quotidiano “La Stampa”, accennando all’accordo che Maroni e Berlusconi hanno stretto, in vista delle prossime elezioni politiche, ma soprattutto della corsa alla presidenza della regione Lombardia, ha dato per scontato che “passate le elezioni ognuno va per la sua strada, salvo l’ipotesi, francamente improbabile, che si vinca”.
Ora, è molto probabile che Tosi sia tra i pochissimi leghisti a conoscere i veri contenuti del “patto marosconi” per cui, se si è lasciato andare ad un’affermazione così chiara, è lecito supporre che nel contratto matrimoniale, tra Lega e PdL, siano già previste data e modalità del futuro divorzio.
Si sarebbe trattato, quindi, solo di un matrimonio per rozzi interessi che non imporrebbe neppure l’obbligo di fingere la convivenza.
Quali, però, gli interessi, così determinanti, da obbligare ad una unione artefatta ?
Dal canto suo, Maroni era consapevole che il sogno di accomodarsi alla scrivania più importante del Pirellone sarebbe stato assolutamente irrealizzabile senza l’appoggio del PdL.
Berlusconi, invece, era certo che, in Lombardia ed in Veneto, il PdL non avrebbe avuta alcuna speranza di sottrarre al PD quei seggi che la nefanda legge elettorale assegna come premio di maggioranza, per il Senato, senza un patto con la Lega.
Per Maroni, però, l’ostacolo da superare, prima di stringere qualsiasi accordo con il PdL, era la forte contrarietà, di larga parte della dirigenza e della base leghista, a partecipare ad una colazione il cui candidato premier fosse ancora Berlusconi.
Ma, l’attrazione di Maroni verso il Pirellone, e la frenesia di Berlusconi nell’impedire che il PD possa avere la maggioranza anche al Senato, erano così incombenti da convincere i due a trovare una via d’uscita, a qualunque costo.
Si trattava, in pratica, di trovare il modo per vendere alla base leghista un eventuale accordo, evitando che la Lega dilapidasse il suo consenso elettorale.
Dopo un fasullo tira e molla, durato giorni e giorni, finalmente si è arrivati all’annuncio pomposo di “habemus papam”, diffuso nell’etere dallo stesso Berlusconi.
Tutto alla luce del sole ?
Probabilmente no, se vogliamo dare credito alle parole di Flavio Tosi.
Ad esempio, la scelta di non indicare il nome del candidato premier, ma di rinviarne l’indicazione solo dopo le urne, dovrebbe far sorgere qualche dubbio.
Verosimilmente, resosi conto che la sua candidatura a premier non sarebbe stata digerita dalla base leghista, Berlusconi, pur di avere la chance di raggiungere il pareggio al Senato, si è rassegnato al ruolo di federatore della coalizione.
Ai leghisti Maroni ha potuto favoleggiare, così, di averla avuta vinta sul candidato premier e di aver fatto accettare, al PdL, che il 75% delle tasse pagate dai lombardi resteranno in Lombardia.
La Lega sembrerebbe non aver subiti eccessivi contraccolpi, mentre le possibilità, per Maroni, di ottenere la presidenza della Lombardia sono invece lievitate moltissimo.
Berlusconi, quasi certamente, otterrà in Lombardia ed in Veneto il premio di maggioranza al Senato, con i relativi seggi in regalo e nell’eventualità che la coalizione vincesse le elezioni, sarà il PdL, come partito maggiore, ad indicare Berlusconi come premier, facendosi beffe della buona fede dei poveri leghisti che hanno creduto a Maroni.
L’ipotesi che possa essere Alfano il candidato premier è una panzana colossale, dal momento che gli manca “quel quid”, come ha detto Berlusconi.
Forse, anche per questo Tosi prevede che, dopo le elezioni, ognuno andrà per la propria strada.

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