Da Orazi e Curiazi
in poi, senza dimenticare Guelfi e Ghibellini e neppure Capuleti e Montecchi,
nel nostro Belpaese sembra sia sufficiente esprimere liberamente il proprio pensiero
per essere subito etichettato come partigiano di questa o quella fazione in
campo.
Così, da quando ho
avuta la peregrina idea di dar vita a questo blog, di volta in volta sono stato
etichettato, dai lettori, come berlusconiano, montiano, renziano, grillino.
Eppure, ai lettori
più abituali credo sia evidente come, per colpa di quello spirito indipendente
che si è impadronito di me da oltre mezzo secolo, non ho l’abitudine di fare
sconti a nessuno quando vedo, ascolto o leggo qualcosa che inquieta la mia
personalissima prospettiva.
A volte capita che
mi soffermi perfino a compiacermi di qualcuno o di qualcosa.
Sarà merito, o
colpa, degli educatori che mi hanno inculcato il desiderio di schierarmi a
favore dei più deboli e degli emarginati, senza essere un comunista, a condividere
le logiche dell’economia mercantile, senza necessariamente piegarmi alle dottrine
liberiste, a rispettare chi è diverso da me per cultura, religione, colore
della pelle, etc., anche quando la diversità mi risultasse non comprensibile.
Mi scuso per questa
lunga premessa ma, da alcuni giorni, i miei post critici nei confronti di Renzi
e dei suoi inciuci nazareni, hanno fatto sì che alcuni lettori, renziani e
berlusconiani, mi appiccicassero l’etichetta di grillino.
In verità, a Grillo
ed al M5S ho già avuta occasione di dedicare post non certo indulgenti.
Il fatto è che da
qualche settimana ho la sensazione che la situazione del nostro Paese stia
scivolando fuori controllo, esattamente come lo era nell’agosto del 2011 quando
l’Italia, sotto procedura d’infrazione dell’UE per debito eccessivo, era presa
di mira dai mercati finanziari, lo spread toccava i suoi massimi e la BCE
dettava al governo Berlusconi interventi da attuare e scadenze da rispettare.
Spero di sbagliarmi,
ma le parole che Mario Draghi ha rivolte all’Italia, qualche giorno fa, mi
sembra suonino come una esortazione se non proprio come un richiamo.
D’altra parte, il
faraonico programma di interventi dei primi cinque mesi di governo, annunciato
da Renzi alle Camere nel chiedere la fiducia, è praticamente fermo al palo.
Governo e Parlamento,
infatti, hanno persi questi cinque mesi per dilaniarsi in scontri sopra le
righe su due temi, legge elettorale e riforma del Senato, che di certo non
aiutano la ripresa economica del Paese, checché ne dica Renzi.
Il PIL continua a
rimanere sotto zero, il tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile non si
arresta, le imprese sono in difficoltà, le persone in stato di indigenza
aumentano giorno dopo giorno.
Con il pretesto strumentale
che i tagli di spesa sono prerogativa della politica, anche le proposte della spending review sono finite nel
cassetto.
Insomma, lo scenario
non rassicurante ha indotti importanti commentatori stranieri a manifestare preoccupazioni
sul futuro dell’economia italiana, mentre proprio oggi l’agenzia di rating
Moody’s ha riviste al ribasso le previsioni del PIL ed al rialzo le stime di
deficit e debito.
Renzi da par suo ha
reagito alle critiche al grido di “ghe
pensi mi”, malcostume ereditato dal suo compagno di merende al Nazareno.
L’agenda parlamentare
dei mesi autunnali, però, prevede già, per la Camera, l’esame in prima lettura
della riforma del Senato, mentre nell’aula di Palazzo Madama arriverà la nuova
legge elettorale.
Visti i precedenti
si tratta di due impianti legislativi il cui esame impegnerà per giorni e
giorni sia deputati che senatori.
Che ne sarà, perciò,
delle riforme economiche necessarie al Paese?
Ora è vero che a
forza di decreti legge e di voti di fiducia il governo Renzi potrebbe
accelerare l’emissione di provvedimenti legislativi, ma è altrettanto vero che
affinché questi diventino operativi occorre che siano predisposti i decreti
attuativi, punctum dolens della
macchina legislativa.
A fine luglio, ad
esempio, lo stock di provvedimenti attuativi in attesa di definizione ammontava
ad oltre 500, tra i quali comparivano ancora molti lasciati in eredità sia dal
Governo Monti che da quello Letta.
Ora mi domando, ma per il bene dell’Italia non sarebbe
stato meglio che Renzi scegliesse come sua priorità la riforma di questo autentico
freno al processo legislativo rinviando a giorni meno angosciosi sia la legge
elettorale che la riforma del Senato?
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