Per otto mesi si è
trastullato tra comparsate televisive e viaggi da un capo all’altro del mondo
per autopromuoversi.
Per otto mesi ha trasformato
il Parlamento in un agorà per la masturbazione mentale di deputati e senatori
costretti a disquisire di voti di preferenza, liste bloccate, soglie di
ingresso, premi di maggioranza, senatori nominati od eletti, e di altre bazzecole
del genere.
Ha fatto il piacione
con Angela Merkel sperando di essere ammesso nel clan di coloro che reggono i
destini dell’Europa.
Ha dimostrato di
essere un innovatore da operetta quando, di fronte alle proposte di spending
review elaborate da Cottarelli, se l’è fatta sotto e non ha trovato di meglio
che licenziarlo.
I media hanno avuto
il loro da fare, in questi otto mesi, a star dietro alla fiumana di annunci di cambiamento
che lui mitragliava ad ogni piè sospinto.
Mentre lui era
indaffarato nel pavoneggiarsi in ogni dove il Paese procedeva nel suo progressivo
inesorabile declino.
Il debito pubblico
ha continuato a crescere, la disoccupazione soprattutto giovanile è arrivata a
livelli da incubo, il numero delle imprese che hanno chiusi i battenti si è ingrossato
giorno dopo giorno, gli italiani in povertà relativa o assoluta hanno superati
i sei milioni, e si potrebbe continuare.
Dopo otto mesi, nel
carniere di Matteo Renzi e del suo governo non c’è, in concreto, una sola
riforma che serva al Paese, non c’è un solo provvedimento in grado di
contrastare la crisi, non c'è nessun reale intervento per combattere con efficacia
malaffare, corruzione, sprechi, evasione fiscale.
Insomma solo
valanghe di annunci, dichiarazioni e bla bla bla.
Improvvisamente, però,
dopo otto mesi Matteo Renzi scopre che in Italia esiste un “problema lavoro”, e decide di puntare i piedi perché il Senato,
correndo pancia a terra, approvi in “24
ore 24” una abborracciata riforma del lavoro, senza discutere e sottomettendosi
all’ennesimo voto di fiducia.
In realtà a Renzi interessa
unicamente potersi pavoneggiare, mercoledì 8 ottobre al vertice milanese dell’Unione
Europea, esibendo una riforma del lavoro qualunque, anche se campata in aria ed
inattuabile.
Una lampante prova dell’esibizionismo,
del dilettantismo e della superficialità con cui Matteo Renzi si rapporti con
le difficili e gravi scelte di cui il nostro Paese avrebbe bisogno in una fase
così drammatica.
Protagonismo, dilettantismo
e superficialità che, guarda caso, ritroviamo anche nell’annuncio di puntare all’aumento
dei consumi, da gennaio 2015, inserendo nelle buste paga dei lavoratori dipendenti
il TFR (detto anche liquidazione o
buonuscita),.
È evidente che Renzi
ignori cosa significhi il TFR per i lavoratori e per le imprese, non avendo lui
mai lavorato in una fabbrica o in un ufficio.
Ignora, ad esempio,
che il TFR è fatto da soldi dei lavoratori, per cui non spetta certo né a lui né
al suo governo decidere cosa i lavoratori debbano farne e quando lo possano
utilizzare.
Ignora, allo stesso
modo, che il TFR costituisca una fonte effettiva di finanziamento per le
imprese, soprattutto piccole e medie.
Una fonte di
finanziamento, ogni anno rivalutata per i lavoratori, il cui ammontare è di molti
miliardi di euro.
Miliardi che se
sottratti alla gestione delle imprese potrebbero provocare il tracollo di molte
di loro.
D’altra parte, dato
e non concesso che il Governo riesca a convincere il sistema bancario a
surrogare il venir meno del TFR, le imprese otterrebbero finanziamenti
sostitutivi sì, ma gravati di esosi interessi.
Renzi ignora, altresì,
che per superare momenti eccezionali di difficoltà delle loro famiglie, molti
lavoratori ricorrono alla anticipazione fino al 70% del TFR maturato.
Ignora, infine, che la
liquidazione rappresenta per molti lavoratori, al momento di andare in
pensione, un gruzzoletto di denari che, ad esempio, può garantire una vecchiaia
più serena, o permettere di far proseguire gli studi ai figli od aiutarli nel
caso, molto diffuso, siano disoccupati, etc. etc.
Ecco perché, nonostante
il pressapochismo pericoloso ed angosciante di Renzi, nonostante gli evanescenti
ed inconcludenti otto mesi del suo governo, si rimane sconcertati nell’apprendere
dai sondaggisti che continua ad essere accreditato di un buon consenso
popolare.
Ora, è pur vero che se volgiamo uno sguardo alla
storia del nostro Paese ci rendiamo conto che milioni di italiani hanno osannate
le parole stentoree con cui dal balcone di Palazzo Venezia venivano trasformati
in carne da cannone, e che, cinquanta anni dopo, ancora milioni di italiani si
sono fatti abbindolare dalle lusinghe di un imbonitore brianzolo però, per la
miseria, “errare humanum est, perseverare
autem diabolicum” !
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