Non si era ancora
spento l’eco della vanagloriosa conferenza stampa, con cui Enrico Letta
aveva voluto fare il bilancio dei suoi otto mesi da Presidente del Consiglio,
che tra capo e collo gli è piombata la figuraccia del cosiddetto “decreto salva Roma”.
Di fatto, una realtà inclemente lo ha fatto precipitare impietosamente dalla indorata nuvoletta sulla quale la sua smisurata vanità lo aveva fatto accomodare.
Quel birichino di Giorgio Napolitano, infatti, nell’augurargli buone feste gli aveva anche fatto sapere che mai e poi mai avrebbe posta la sua firma sotto l’osceno “decreto salva Roma”.
Così, precipitosamente, Enrico Letta si è visto costretto a ritirare quel nefasto decreto sul quale il suo governo ci aveva anche messa la faccia ponendo la fiducia.
Eppure, che il “decreto-legge 31 ottobre 2013, n. 126, recante misure finanziarie urgenti in favore di regioni ed enti locali ed interventi localizzati nel territorio” fosse una ripugnante accozzaglia di compiacenti strenne natalizie per i soliti amici degli amici, era evidente anche ai più sprovveduti.
Solo lui, Enrico Letta, non se n’era accorto, oppure aveva creduto di potersi prendere gioco, ancora una volta, degli italiani.
Fortunatamente i parlamentari pentastellati si sono resi conto della beffa e, com’è nel loro stile non certo da gentleman, hanno messa in piedi una gazzarra d’inferno.
D’altra parte mi domando come mai a sdegnarsi non siano stati i parlamentari di tutti i partiti di fronte al vergognoso tentativo, del PD, di far passare, alla chetichella, il provvedimento teso a ridurre i contributi pubblici ai Comuni impegnati nella lotta al gioco d’azzardo e nel contrasto alla diffusione, sui loro territori, delle slot machine.
Un provvedimento spregiudicato, per scoraggiare altri Comuni a seguire l’esempio.
Un avvertimento di stampo terroristico in guisa “colpirne uno per educarne cento”.
Se l’emendamento fosse passato si sarebbe trattato di un generoso regalo alla lobby del gioco d’azzardo, a conferma di quanto parlamentari e partiti siano “sensibili” alle “munifiche” istanze di questa o quella lobby.
Una vera indecenza !!!
Non meno indecente, però, mi sembra anche il tentativo di impedire che le diverse istituzioni interessate, Camera, Senato, Comuni, possano disdettare i contratti con affitti d’oro, pagati a privati per beni immobili di loro proprietà.
Già, perché tra gli scandalosi costi della politica ci sono da considerare, oggi, anche 48 milioni di euro, oltre ad una decina di milioni per servizi ed utenze, che Camera, Senato e Comune di Roma, sborsano per affittare lussuosi uffici, nel centro di Roma, da assegnare a deputati e senatori.
Dal 1997, infatti, un signore romano baciato dalla Dea Fortuna, un certo Sergio Scarpellini, affitta i suoi immobili alla Camera, al Senato ed al Comune di Roma, ovviamente senza aver partecipato ad un bando pubblico, avendone ricavato oltre 369 milioni di euro.
In cambio, però, il signor Scarpellini riconosce che: “durante la campagna elettorale vengono qui bianchi, rossi e verdi e noi un contributo lo diamo sempre”.
Contributi che Scarpellini ha calcolato in oltre 650.000 euro, in tredici anni !
Da cittadino contribuente, non posso fare a meno di pormi due domande.
Con tutti i soldi che sgraffignano, ogni anno, dalle casse dello Stato, non dovrebbero essere i partiti a pagare gli uffici romani dei loro deputati e senatori ?
E poi, con gli oltre 369 milioni di euro, pagati a Scarpellini in questi anni, quanti uffici avrebbero potuto acquistare e mantenere Camera, Senato e Comune di Roma ?
Già, ma io sono così sciocco da ragionare come un buon padre di famiglia e, sicuramente, sbaglio.
Di fatto, una realtà inclemente lo ha fatto precipitare impietosamente dalla indorata nuvoletta sulla quale la sua smisurata vanità lo aveva fatto accomodare.
Quel birichino di Giorgio Napolitano, infatti, nell’augurargli buone feste gli aveva anche fatto sapere che mai e poi mai avrebbe posta la sua firma sotto l’osceno “decreto salva Roma”.
Così, precipitosamente, Enrico Letta si è visto costretto a ritirare quel nefasto decreto sul quale il suo governo ci aveva anche messa la faccia ponendo la fiducia.
Eppure, che il “decreto-legge 31 ottobre 2013, n. 126, recante misure finanziarie urgenti in favore di regioni ed enti locali ed interventi localizzati nel territorio” fosse una ripugnante accozzaglia di compiacenti strenne natalizie per i soliti amici degli amici, era evidente anche ai più sprovveduti.
Solo lui, Enrico Letta, non se n’era accorto, oppure aveva creduto di potersi prendere gioco, ancora una volta, degli italiani.
Fortunatamente i parlamentari pentastellati si sono resi conto della beffa e, com’è nel loro stile non certo da gentleman, hanno messa in piedi una gazzarra d’inferno.
D’altra parte mi domando come mai a sdegnarsi non siano stati i parlamentari di tutti i partiti di fronte al vergognoso tentativo, del PD, di far passare, alla chetichella, il provvedimento teso a ridurre i contributi pubblici ai Comuni impegnati nella lotta al gioco d’azzardo e nel contrasto alla diffusione, sui loro territori, delle slot machine.
Un provvedimento spregiudicato, per scoraggiare altri Comuni a seguire l’esempio.
Un avvertimento di stampo terroristico in guisa “colpirne uno per educarne cento”.
Se l’emendamento fosse passato si sarebbe trattato di un generoso regalo alla lobby del gioco d’azzardo, a conferma di quanto parlamentari e partiti siano “sensibili” alle “munifiche” istanze di questa o quella lobby.
Una vera indecenza !!!
Non meno indecente, però, mi sembra anche il tentativo di impedire che le diverse istituzioni interessate, Camera, Senato, Comuni, possano disdettare i contratti con affitti d’oro, pagati a privati per beni immobili di loro proprietà.
Già, perché tra gli scandalosi costi della politica ci sono da considerare, oggi, anche 48 milioni di euro, oltre ad una decina di milioni per servizi ed utenze, che Camera, Senato e Comune di Roma, sborsano per affittare lussuosi uffici, nel centro di Roma, da assegnare a deputati e senatori.
Dal 1997, infatti, un signore romano baciato dalla Dea Fortuna, un certo Sergio Scarpellini, affitta i suoi immobili alla Camera, al Senato ed al Comune di Roma, ovviamente senza aver partecipato ad un bando pubblico, avendone ricavato oltre 369 milioni di euro.
In cambio, però, il signor Scarpellini riconosce che: “durante la campagna elettorale vengono qui bianchi, rossi e verdi e noi un contributo lo diamo sempre”.
Contributi che Scarpellini ha calcolato in oltre 650.000 euro, in tredici anni !
Da cittadino contribuente, non posso fare a meno di pormi due domande.
Con tutti i soldi che sgraffignano, ogni anno, dalle casse dello Stato, non dovrebbero essere i partiti a pagare gli uffici romani dei loro deputati e senatori ?
E poi, con gli oltre 369 milioni di euro, pagati a Scarpellini in questi anni, quanti uffici avrebbero potuto acquistare e mantenere Camera, Senato e Comune di Roma ?
Già, ma io sono così sciocco da ragionare come un buon padre di famiglia e, sicuramente, sbaglio.
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