Sarà
di certo una mia lacuna ma, con il trascorrere dei giorni, mi riesce sempre più
difficile capire cosa si prefigga il nostro Presidente della Repubblica,
Giorgio Napolitano.
Eppure,
riconosco in lui un politico di straordinaria esperienza, che gode di innegabile
prestigio internazionale e può contare sulla stima ed il rispetto di ampia
parte dell’opinione pubblica.
Il
suo primo settennato, disseminato anche di momenti non facili, lo ha gestito con saggezza, equilibrio, imparzialità, ed in alcune
circostanze perfino con coraggio.
Però,
da quel lunedì 22 aprile, quando davanti alle Camere ha prestato giuramento per
il secondo mandato, Giorgio Napolitano mi sembra aver cambiata molto la sua
percezione del ruolo, mutando comportamenti e serenità di giudizio.
Dopo
il prevedibile fallimento di Bersani, incapace di dar vita ad un governo,
fallimento peraltro che ha concluso il primo settennato, Napolitano si è
presentato alle Camere con un discorso molto duro, bacchettando i partiti per
la incapacità nel portare a termine le riforme e per la inadeguatezza a
rinnovarsi in linea con il mutare del Paese.
Un
discorso che faceva ben sperare per quello che ne avrebbe potuto seguire.
Invece,
nel giro di qualche giorno è apparso chiaro che Napolitano, con le sue scelte,
avrebbe disattese, lui per primo, le linee tracciate dal discorso di
insediamento.
Ad
esempio, il Capo dello Stato aveva indicato alle forze politiche l’obiettivo di
dare stabilità all’azione di governo, per affrontare di petto la grave crisi
economica e procedere con le riforme.
Per
ottenere stabilità, visto il peso delle forze in campo, sarebbe stato logico dar
vita ad un “governo di scopo”, affidato ad una personalità non di partito, con
un programma preciso, chiaro e rigoroso, preventivamente concordato ed
approvato dai gruppi parlamentari.
Invece
no!
Napolitano
ha scelta l’arrischiata strada delle “larghe intese”.
Una
strada sulla quale, lo sapevano anche i sassi, incombeva la spada di Damocle di
una possibile condanna definitiva di Berlusconi, padrone e despota di uno dei
partiti di governo.
Mi
domando: è stato un errore di valutazione prospettica, oppure Napolitano si
proponeva di mettere al riparo Berlusconi con un salvacondotto?
Bisogna
riconoscere che ad intuire quello che sarebbe accaduto sia stato proprio
Berlusconi, imponendo a Letta, prima che la Cassazione si pronunciasse, di cancellare
l’IMU per offrire al PdL un argomento di sicura presa sugli elettori, in caso
di campagna elettorale.
Fatto
sta che, dopo pochi mesi, la sentenza della Cassazione è puntualmente arrivata,
terremotando l’azione di governo.
Con
la condanna definitiva di Berlusconi e la sua probabile, ma non certa,
decadenza da senatore, l’obiettivo della stabilità andrà, di fatto, a farsi
friggere.
Se
poi prendiamo atto che, in questi mesi, il governo Letta non ha fatto
praticamente nulla, né per contrastare la crisi economica che attanaglia il
Paese, né per promuovere le auspicate riforme strutturali, è facile prevedere
che il Capo dello Stato rischi di ritrovarsi con un pugno di mosche in mano, avendo puntato sul cavallo sbagliato.
Ma,
ad accrescere le difficoltà nel cogliere il senso del secondo mandato di
Napolitano, concorrono alcune sue indecifrabili esternazioni.
Ad
esempio, dopo due giorni che a Berlusconi, già pregiudicato, era stato permesso
di diffondere, in pratica a reti unificate, il suo video messaggio per
reiterare la solita solfa di accuse ed offese nei confronti della Magistratura,
Giorgio Napolitano, alla LUISS, partecipava all’iniziativa in ricordo di Loris
D’Ambrosio.
Nel
suo intervento, Napolitano ha accennato che il rispetto, per la Magistratura, è
“spesso travolto nella spirale di
contrapposizione tra politica e giustizia, che da troppo anni imperversa nel
nostro Paese”, ma poi ha invitati i magistrati ad avere “una attitudine meno difensiva e più propositiva
rispetto al discorso sulle riforme di cui la giustizia ha indubbio bisogno”.
Neppure
un cenno al degrado in cui sono precipitati i rapporti istituzionali nel Paese,
un Paese che permette, ad un pregiudicato, di aggredire, in televisione, i
magistrati che lo hanno giudicato.
Un’aggressione
che, facilmente, si replicherà nei prossimi giorni se Berlusconi, invitato dal
fido Bruno Vespa, parteciperà a “Porta a
Porta”.
Inorridisco
al solo pensiero che tanta permissività, da parte del Capo dello Stato, possa essere
d’esempio per concedere ad altri pregiudicati di inveire contro i loro giudici,
magari in televisione.
Mi
domando se sia giustificabile tollerare, da parte di Giorgio Napolitano, tutto
questo pur di non compromettere le ormai vacillanti “larghe intese”.
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