giovedì 26 settembre 2013

Un indecifrabile Giorgio Napolitano

Sarà di certo una mia lacuna ma, con il trascorrere dei giorni, mi riesce sempre più difficile capire cosa si prefigga il nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Eppure, riconosco in lui un politico di straordinaria esperienza, che gode di innegabile prestigio internazionale e può contare sulla stima ed il rispetto di ampia parte dell’opinione pubblica.
Il suo primo settennato, disseminato anche di momenti non facili, lo ha gestito con saggezza, equilibrio, imparzialità, ed in alcune circostanze perfino con coraggio.
Però, da quel lunedì 22 aprile, quando davanti alle Camere ha prestato giuramento per il secondo mandato, Giorgio Napolitano mi sembra aver cambiata molto la sua percezione del ruolo, mutando comportamenti e serenità di giudizio.
Dopo il prevedibile fallimento di Bersani, incapace di dar vita ad un governo, fallimento peraltro che ha concluso il primo settennato, Napolitano si è presentato alle Camere con un discorso molto duro, bacchettando i partiti per la incapacità nel portare a termine le riforme e per la inadeguatezza a rinnovarsi in linea con il mutare del Paese.
Un discorso che faceva ben sperare per quello che ne avrebbe potuto seguire.
Invece, nel giro di qualche giorno è apparso chiaro che Napolitano, con le sue scelte, avrebbe disattese, lui per primo, le linee tracciate dal discorso di insediamento.
Ad esempio, il Capo dello Stato aveva indicato alle forze politiche l’obiettivo di dare stabilità all’azione di governo, per affrontare di petto la grave crisi economica e procedere con le riforme.
Per ottenere stabilità, visto il peso delle forze in campo, sarebbe stato logico dar vita ad un “governo di scopo”, affidato ad una personalità non di partito, con un programma preciso, chiaro e rigoroso, preventivamente concordato ed approvato dai gruppi parlamentari.
Invece no!
Napolitano ha scelta l’arrischiata strada delle “larghe intese”.
Una strada sulla quale, lo sapevano anche i sassi, incombeva la spada di Damocle di una possibile condanna definitiva di Berlusconi, padrone e despota di uno dei partiti di governo.
Mi domando: è stato un errore di valutazione prospettica, oppure Napolitano si proponeva di mettere al riparo Berlusconi con un salvacondotto?
Bisogna riconoscere che ad intuire quello che sarebbe accaduto sia stato proprio Berlusconi, imponendo a Letta, prima che la Cassazione si pronunciasse, di cancellare l’IMU per offrire al PdL un argomento di sicura presa sugli elettori, in caso di campagna elettorale.
Fatto sta che, dopo pochi mesi, la sentenza della Cassazione è puntualmente arrivata, terremotando l’azione di governo.
Con la condanna definitiva di Berlusconi e la sua probabile, ma non certa, decadenza da senatore, l’obiettivo della stabilità andrà, di fatto, a farsi friggere.
Se poi prendiamo atto che, in questi mesi, il governo Letta non ha fatto praticamente nulla, né per contrastare la crisi economica che attanaglia il Paese, né per promuovere le auspicate riforme strutturali, è facile prevedere che il Capo dello Stato rischi di ritrovarsi con un pugno di mosche in mano, avendo puntato sul cavallo sbagliato.
Ma, ad accrescere le difficoltà nel cogliere il senso del secondo mandato di Napolitano, concorrono alcune sue indecifrabili esternazioni.
Ad esempio, dopo due giorni che a Berlusconi, già pregiudicato, era stato permesso di diffondere, in pratica a reti unificate, il suo video messaggio per reiterare la solita solfa di accuse ed offese nei confronti della Magistratura, Giorgio Napolitano, alla LUISS, partecipava all’iniziativa in ricordo di Loris D’Ambrosio.
Nel suo intervento, Napolitano ha accennato che il rispetto, per la Magistratura, è “spesso travolto nella spirale di contrapposizione tra politica e giustizia, che da troppo anni imperversa nel nostro Paese”, ma poi ha invitati i magistrati ad avere “una attitudine meno difensiva e più propositiva rispetto al discorso sulle riforme di cui la giustizia ha indubbio bisogno”.
Neppure un cenno al degrado in cui sono precipitati i rapporti istituzionali nel Paese, un Paese che permette, ad un pregiudicato, di aggredire, in televisione, i magistrati che lo hanno giudicato.
Un’aggressione che, facilmente, si replicherà nei prossimi giorni se Berlusconi, invitato dal fido Bruno Vespa, parteciperà a “Porta a Porta”.
Inorridisco al solo pensiero che tanta permissività, da parte del Capo dello Stato, possa essere d’esempio per concedere ad altri pregiudicati di inveire contro i loro giudici, magari in televisione.
Mi domando se sia giustificabile tollerare, da parte di Giorgio Napolitano, tutto questo pur di non compromettere le ormai vacillanti “larghe intese”.

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