Solo tra una quindicina
di giorni saranno rese pubbliche le motivazioni del disposto con cui il
Tribunale della Libertà di Reggio Calabria ha decisi gli arresti domiciliari
per Claudio Scajola e, invece, la custodia in carcere per Chiara Rizzo.
Sono accusati entrambi
di aver favorita la latitanza di Amedeo Matacena, marito di Chiara Rizzo ed ex
deputato di Forza Italia, condannato con sentenza definitiva a cinque anni per
concorso esterno in associazione mafiosa.
Infatti, dal 6 giugno
2013, giorno in cui la Corte di Cassazione ha emessa la sentenza definitiva, il
pregiudicato Matacena è latitante a Dubai.
Secondo i magistrati
di Reggio Calabria, sarebbero stati la moglie, Chiara Rizzo, ed il suo compagno
di partito ed ex ministro Claudio Scajola ad averne favorita e mantenuta la
latitanza.
Dopo aver appresa e seguita
questa vicenda attraverso i media, la decisione del Tribunale della Libertà ha
provocato in me, uomo della strada, non solo stupore, ma anche il sospetto che,
in Italia, si sia affermato ormai il postulato che la giustizia NON debba
essere uguale per tutti.
Oddio, il sospetto si era
già insinuato in me, come un tarlo, scompigliando le mie reminiscenze di codici
e pandette, quando un altro tribunale, quello di sorveglianza di Milano, aveva convertito
in un ridicolo servizio sociale, di quattro ore settimanali, l’anno residuale
di detenzione che un altro pregiudicato, Silvio Berlusconi, avrebbe dovuto
scontare, a seguito della condanna definitiva per frode fiscale.
In verità, se fino ad
ieri poteva essere solo un sospetto, da oggi, con la decisione del Tribunale
della Libertà, temo che il sospetto si sia trasformato in evidenza.
Trovo inquietante,
infatti, apprendere dai media che nei confronti di Chiara Rizzo e Claudio
Scajola, accusati entrambi di aver aiutata la latitanza di un pregiudicato, il
magistrato non solo abbia adottati due provvedimenti differenti, ma ne abbia addirittura
invertita la gravità.
Mi riferisco al fatto
che Chiara Rizzo abbia si facilitata la fuga ed aiutata la latitanza di un
pregiudicato, ma si trattava pur sempre di suo marito, condizione questa che dovrebbe
essere considerata come una attenuante, umanamente comprensibile e
giuridicamente valida.
Invece no, per Chiara
Rizzo il magistrato ha disposto la permanenza in carcere.
Lo stesso magistrato,
però, ha disposti gli arresti domiciliari per Claudio Scajola che,
obiettivamente, nella latitanza di Amedeo Matacena ha svolto un ruolo più composito,
compromettendosi in iniziative ed atti sicuramente più gravi.
Scajola, infatti, non
solo ha agevolata fin dall’inizio la latitanza ma, servendosi delle relazioni internazionali
intrecciate come ex ministro del governo Berlusconi, ha cercato di organizzare
il trasferimento di Matacena da Dubai in Libano e di fargli ottenere una condizione
personale che lo mettesse al riparo dalla richiesta di estradizione.
Scajola ha giustificati
agli inquirenti i suoi laboriosi maneggi sostenendo che, trattandosi di un
amico e compagno di partito, aveva avvertito come suo dovere aiutare la
latitanza di Matacena.
C’era da attendersi,
forse, che queste spiegazioni costituissero delle aggravanti, sennonché l’ex sindaco
di Imperia, ex deputato ed ex ministro, Claudio Scajola, negli ultimi giorni ha
confessato di essere stato indotto ad aiutare il latitante Matacena anche da una
infatuazione per la signora Rizzo.
Ohibò ! Vuoi vedere che, turbato da questa motivazione
romantica, il magistrato ha voluto punire la ignara seduttrice e lenire,
invece, le sofferenze di quel meschinello sedotto e non ricambiato?
Perlomeno, questa è la
interpretazione con la quale vorrei dare un senso alla strana decisione del Tribunale della
Libertà.
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